Oblò cubano
Castroenterite. Come prevenire e (possibilmente) curare, in Italia, la terribile pandemia
07 Dicembre 2007
 

Ci sembra interessante riproporre all'attenzione, dal nostro Oblò cubano, un pezzo di un paio d'anni fa di Guido Vitiello, originariamente intitolato: «Il Libro nero di Cuba, un toccasana per la castroenterite». L'occasione viene dalla encomiabile riproposizione, il mese scorso, da parte di Spirali (edizioni che si stanno meritoriamente contraddistinguendo a questo riguardo) del libro Contro ogni speranza di Armando Valladares di cui Vitiello menziona l'obliata edizione SugarCo degli anni '80. Nel documentarci in proposito, l'occhio ci è cascato appunto sull'articolo che vi riproponiamo integralmente di seguito, con gli altrettanto interessanti rimandi, in particolare al saggio scritto dallo stesso Vitiello per MondOperaio. (e.s.)

Armando Valladares scontò ventidue anni nelle disumane carceri politiche di Fidel Castro soltanto per avere espresso le sue idee contrarie al marxismo-leninismo. Prigioniero ribelle, di profonde convinzioni cristiane e democratiche, rifiutò i piani di riabilitazione del regime comunista. Questo gli costò brutali rappresaglie, isolamento e manganellate. Anche la famiglia subì persecuzioni. Gli furono negati gli alimenti per quarantasei giorni allo scopo d'infrangere la sua resistenza. Finì sulla sedia a rotelle e ci rimase per otto anni. Amnesty International lo prese in adozione come prisionero de conciencia. Governanti, intellettuali e stampa di tutte le parti del mondo occidentale chiesero la sua libertà. Soltanto nel 1982 il presidente francese François Mitterrand riuscì a strappare a Castro la libertà del poeta Armando Valladares. Questo libro più che un computo delle personali disavventure del valoroso autore è un vibrante racconto drammaticamente informativo sul gulag delle Americhe: le prigioni del castro-comunismo a Cuba. (Spirali Edizioni)

Armando Valladares

Contro ogni speranza

22 anni nel gulag delle Americhe dal fondo delle carceri di Fidel Castro

Spirali Edizioni, 2007, pagg. 400, € 25,00

 

 

Il “Libro nero di Cuba”,
un toccasana per la castroenterite

 

«Gli intellettuali di tutto il mondo a favore di Cuba nella CDH», titolava trionfalmente Granma, organo del regime castrista, il 15 marzo scorso. E il guaio è che aveva pressapoco ragione. Ricordate? In attesa del verdetto della Commissione dei Diritti Umani dell’Onu a Ginevra (in spagnolo, CDH) duecento intellettuali, artisti e intrattenitori avevano vergato un appello in difesa di Fidel Castro e della sua ultraquarantennale dittatura, contro l’“aggressione” degli Stati Uniti che premevano per una condanna – poi arrivata.

Tutti malati di castroenterite, avrebbe detto il grande e compianto Guillermo Cabrera Infante: «Malattia del corpo (ti rende schiavo) e dell’essere (ti rende servile)», che «soffrono indigeni e stranieri – alcuni di questi ultimi con una curiosa allegria».

Tra i duecento firmatari – uno per ogni prigione castrista, si potrebbe osservare – c’erano gli immancabili amici personali di Castro (Gianni Minà, Frei Betto, Ignacio Ramonet, Marta Harnecker); un buon numero di antiamericani compulsivi (Danielle Mitterrand, Tariq Ali, Eduardo Galeano, Ernesto Cardenal); un paio di allegri buontemponi (Red Ronnie, Manu Chao); un direttore d’orchestra che collabora da anni con il – come altro chiamarlo? – Minculpop cubano (il maestro Claudio Abbado) e una trafila di Nobel.

L’appello, pubblicato originariamente da El País di Madrid, ripeteva le solite sciocchezze (rectius: Castronerie): che a Cuba non si torce un capello ad anima viva (niente torture, desaparecidos o esecuzioni extragiudiziali) e che la Revolución ha portato con sé tante belle conquiste sociali: sanità, istruzione, cultura... i famosi logros, le Opere del Quarantennio strombazzate come solo la bonifica delle Paludi Pontine lo fu.

Negli stessi giorni, con assai meno clamore, usciva il Libro nero di Cuba (Guerini e Associati, 202 pagine, 17,50 euro). Il volume, a cura di Reporter senza frontiere e di altre ong, finalmente documenta per il lettore italiano la spietatezza del sistema repressivo castrista: le retate contro i dissidenti, le intimidazioni e le violenze ai giornalisti cubani e a quelli stranieri, l’arsenale della “repressione ordinaria”, la rete capillare di spie e informatori al servizio del regime, le leggi liberticide, la sistematica negazione dei diritti del lavoro. Checché se ne dica, è un piccolo evento editoriale: per trovare qualcosa di altrettanto autorevole, duro e sistematico bisogna fare un salto indietro di una ventina d’anni, alla benemerita effervescenza anticomunista degli editori vicini al Psi craxiano, nei primi anni ottanta. Sembra impossibile, ma dopo quarantasei anni suonati di dittatura – con tutto il “corollario” di feroci persecuzioni contro le minoranze politiche e sessuali, campi di prigionia e di lavori forzati, fucilazioni che si contano a migliaia – è quasi impossibile in Italia procurarsi un libro non dico buono, ma appena passabile su Cuba. Solo monumentali agiografie di Castro – come quella “consentita” di Claudia Furiati, uscita per il Saggiatore – e pie commemorazioni di un guerrigliero passato a miglior vita nell’ottobre del 1967. Requiescat.

 

L’arte del contrappunto: un omaggio al maestro Abbado

Per ciascuna delle sciocchezze allineate nella lettera-manifesto dei chierici (chierici traîtres, va da sé), Il Libro nero di Cuba contiene una risposta secca e inoppugnabile. È troppo forte la tentazione di trattare i due documenti come su una partitura musicale. Eccovi perciò un piccolo esercizio di contrappunto che il maestro Abbado potrebbe apprezzare.

«Non esiste un singolo caso di scomparsa, tortura o esecuzione extra-giudiziaria», scrivono i duecento, e la Rivoluzione ha consentito il «raggiungimento di livelli di salute, educazione e cultura riconosciuti internazionalmente». Benissimo.

 

Cuba è un modello di gestione della sanità? Sentiamo Human Rights Watch (HRW): «I detenuti cubani nel loro insieme non hanno diritto che a un minimo di cure mediche. I prigionieri politici, su ordine delle autorità, non hanno diritto ad alcuna cura. Questa discriminazione è particolarmente orrenda quando sono state proprio le guardie carcerarie o il consiglio dei detenuti a provocare le ferite che necessiterebbero di essere curate». Questo per limitarsi alla ciliegina. Per il marciume dell’intera torta, vi rimando al libro-inchiesta del 2000 Salud pública cubana: otro perfil a cura di CubaNet, la rete dei giornalisti indipendenti cubani (lo si può ordinare in rete su www.cubanet.org).

Grandi avanzamenti nella cultura e nell’istruzione? Come no! HRW ricorda che nella retata del marzo 2003 ci sono andati di mezzo anche i bibliotecari indipendenti (qui il loro sito), che si arrabattano per diffondere un po’ di cultura libera in quel cimitero dell’intelligenza che la Cuba di Castro, come ogni sistema socialista, edifica per i suoi sudditi. La repressione è stata durissima anche contro di loro, ma ai nostri filototalitari basta che i cubani imparino tecnicamente a leggere e scrivere. Pazienza se poi non potranno leggere né scrivere nulla che sia anche vagamente sgradito al regime. In quel caso si apriranno per loro le porte del carcere, dove potranno comunque dedicarsi a un’altra grande conquista della Revolución: lo sport! Ecco a voi, da Granma, un bell’articolo sulla Prima Olimpiade dei Penitenziari.

 

Ancora: sostengono i duecento che a Cuba non si pratica la tortura. A quanto pare era un’esclusiva di Pinochet e Videla, e oggi di Bush e Rumsfeld. Ma è così? «Occasionalmente», si legge nel rapporto di HRW, «la polizia cubana o le guardie carcerarie rafforzano l’aspetto punitivo dell’isolamento con una serie di angherie di tipo sensoriale: li tengono nella più assoluta oscurità, bloccano il sistema di ventilazione, tolgono letti e materassi, sequestrano i vestiti e gli effetti personali dei detenuti, vietano qualsiasi tipo di comunicazione fra detenuti in isolamento, riducono ulteriormente le razioni alimentari già scarse. Le autorità penitenziarie cercano anche di annullare la percezione del tempo dei prigionieri, lasciando accesa la luce delle celle ventiquattr’ore su ventiquattro, alterando l’ora segnata dagli orologi, o diffondendo in continuazione musica ad altissimo volume». Aggiungete il caldo torrido e le zanzare, e gli esperti non hanno dubbi: questi trattamenti possono essere «assimilati alla tortura fisica e psicologica».

 

Be’, però, i diritti sociali… almeno quelli sono garantiti. Il comunista Marco Rizzo, che a suo tempo definì “errori veniali” le condanne inflitte ai dissidenti (1450 anni di carcere comminati complessivamente!), ha dichiarato al Corriere della Sera le sue preferenze in materia di sistemi politici e sociali: «Da parlamentare potrei permettermi di dire Usa, se fossi operaio sceglierei Cuba». Buon per lui. Sentiamo cosa scrive Pax Christi Olanda, a proposito dei fortunati operai cubani: «I lavoratori cubani non hanno il diritto di fondare dei propri sindacati, né di fare sciopero né di pretendere migliori condizioni di lavoro né di criticare i regolamenti del luogo di lavoro, e nemmeno di lamentarsi dei loro superiori». Per giunta, «I lavoratori cubani che fanno parte dei sindacati indipendenti – quindi illegali – vengono licenziati». Ma che problema c’è, tanto provvede per loro il sindacato unico, il CTC: «In realtà posso difendere i miei colleghi solo fino a un certo punto», dichiara un delegato del personale. «Se i lavoratori si mettono contro lo Stato, non posso fare niente per loro. Se li difendessi perderei il posto».

 

Le tre leggi di Murphy sull’editoria italiana e Cuba

Pezzo dopo pezzo, il manifesto dei duecento è sbugiardato per quel che è: un esempio di maldestra propaganda per un regime abominevole. Ma quanti saranno raggiunti da questo potente antidoto? Che ne sarà, insomma, di questo Libro nero di Cuba? Quanto se ne parlerà, quanto servirà – come scrive il segretario generale di Reporter senza frontiere Robert Ménard nella durissima prefazione – a scuotere gli «ultimi sostenitori di una delle più tenaci dittature del mondo»? L’autorevolezza delle ong che hanno contribuito – Amnesty International e Human Rights Watch tra le altre – dovrebbe mettere al riparo il volume dalle solite accuse di partigianeria politica. Insomma, difficilmente sentiremo dire che si tratta di loschi mercenari al soldo della Cia. Ma il rischio peggiore è un altro.

 

Fino ad oggi, in Italia, i libri su Cuba (e in generale sull’America Latina: il caso del Chiapas e degli zapatisti sta a dimostrarlo) sono stati sottoposti a tre implacabili “leggi di Murphy”:

1. Se è un libro serio, non uscirà (la lista è potenzialmente infinita; ma basterà citare il formidabile reportage Castro’s Final Hour del premio Pulitzer Andrés Oppenheimer, uscito in tutto il mondo tranne che in Italia – e a Cuba).

2. Se uscirà, l’autore sarà screditato in tutti i modi (caso di scuola: Contro ogni speranza di Armando Valladares, uscito per SugarCo negli anni ottanta, che venne trattato più o meno come Kravchenko negli anni cinquanta).

3. Se l’autore non è screditabile, il libro sarà ignorato (esempio: nel 2003 Guerini e Associati – sempre lui – aveva pubblicato Nel nome di mio padre di Ileana de La Guardia, figlia del colonnello Antonio de La Guardia, fatto giustiziare da Castro a coronamento di una pubblica farsa staliniana, di cui il libro svelava i retroscena… Un libro importante, di cui si era parlato molto in Francia e nel resto d’Europa. Ebbene, chi se n’è accorto?).

Il Libro Nero di Cuba è un ottimo candidato per arricchire la lista dei libri sottoposti alla legge numero tre.

 

Vorrei chiudere con un piccolo aneddoto personale. Qualche anno fa mi capitò di scrivere per MondOperaio un saggio sull’editoria italiana e l’America Latina. Si intitolava “Il doganiere invisibile. I libri sull’America Latina fermati alle nostre frontiere” (chi fosse interessato può leggerlo qui – file pdf, ndr). Per l’occasione consultai la più appassionata e generosa combattente per la libertà di Cuba, Laura Gonsalez. «Perché» le chiesi un pomeriggio, «i libri seri e importanti su Cuba non arrivano quasi mai in Italia? Perché gli editori non comunisti – o addirittura anticomunisti – non si prendono la briga di pubblicarli? Cosa c’è dietro? Disattenzione o censura?».

«Disattenzione censoria», fu la risposta sibillina di Laura.

Disattenzione censoria: il probabile destino di questo coraggioso Libro nero.

 

Guido Vitiello

(da Notizie radicali, 23 maggio 2005)


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