Diario di bordo
Mao Valpiana. Dopo la Perugia-Assisi. Facciamo a noi stessi l'appello per la pace
11 Ottobre 2007
 

Solitamente penso che la cosiddetta società civile non sia migliore della classe politica che la rappresenta. In fondo è vero che ogni popolo, per convinzione, per paura o per ignavia ha il governo che si merita. Ma domenica, in cammino da Perugia ad Assisi, c'era probabilmente il meglio dell'Italia di oggi. Non so quanti fossero i marciatori (chi dice centomila, chi il doppio: io li visti sfilare senza interruzioni per oltre quattro ore), ma è sicuro che si potevano vedere tantissimi giovani, e adolescenti, pieni di entusiasmo, vogliosi di essere protagonisti, sinceramente convinti di fare la cosa giusta.

Con il Movimento Nonviolento eravamo presenti a Santa Maria degli Angeli con gazebo, banchetto, furgone, e striscioni, per la distribuzione straordinaria di Azione nonviolenta, dell'invito al Congresso di Verona (1-3 novembre) e alla manifestazione antimilitarista e nonviolenta del 4 novembre (non festa ma lutto). Con la preziosa collaborazione di chi ha risposto all'appello rilanciato da questo stesso notiziario (fra tutti cito Raffaella, Piercarlo, Marco, Alberto, ma un grazie particolare va ai giovanissimi ed instancabili Benedetta e Luca!) siamo riusciti nell'intento di distribuire novemila copie della rivista fondata da Capitini.

È stato un modo per offrire ai marciatori (c'è stato un contatto diretto con almeno uno di loro ogni dieci o venti... e non è poco) l'opportunità di entrare in contatto con la proposta nonviolenta, perché c'è davvero bisogno di crescere dal generico pacifismo, alla nonviolenza specifica.

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Il limite di questa Marcia, infatti, è quello di rivolgersi ai governi (è stato ripetuto anche domenica nell'intervento conclusivo alla Rocca di Assisi) per chiedere a loro di fare la pace. Se è vero, come è vero, che c'è un'inscindibile correlazione fra mezzi e fini, come possiamo aspettarci scelte di pace da governi (compreso quello italiano attuale) che mantengono gli eserciti e le loro strutture, che finanziano missioni militari, che aumentano le spese belliche, che accettano il traffico illegale e legale di armi? Da scelte politiche di questo tipo, non possono che derivare politiche estere che sfociano e legittimano le guerre. È questa la semplice verità che abbiamo voluto trasmettere ai tanti giovani che ieri marciavano con serio impegno personale. Solo la proposta della nonviolenza può rompere il meccanismo e costruire con mezzi pacifici, soluzioni pacifiche.

La pace non verrà dai governi che utilizzano lo strumento militare, ma potrà venire solo dai popoli che rifiuteranno di collaborare con essi. È a noi stessi, dunque, che dobbiamo rivolgere gli appelli per la pace.

Liberiamo prima di tutto la nostra mente dalla sudditanza culturale nei confronti di chi, nei fatti, sostiene la guerra e la sua preparazione, e approfondiamo la nostra convinzione nella possibilità della nonviolenza di risolvere i conflitti senza armi e senza uccisioni.

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La nonviolenza non chiede ad altri di fare il primo passo. Il senso della Marcia dovrebbe essere proprio questo: io mi metto in cammino e altri si uniranno a me. È una perdita di tempo chiedere al governo di fare ciò che già sa che dovrebbe fare (anche in base alla Costituzione) e che non fa perché non vuole o non può. Da quanti anni chiediamo ai governi di ridurre le spese militari, e regolarmente, finanziaria dopo finanziaria, queste spese aumentano esponenzialmente? Insistere in questo errore di ingenuità diventa una colpa. Chiediamo a noi stessi, piuttosto, di non sostenere più chi queste spese decide ed approva. E, soprattutto, non paghiamo più per queste spese. Ecco il richiamo della nonviolenza, che ieri abbiamo cercato di comunicare.

Erano molti gli amici che chiedevano ed apprezzavano il materiale distribuito dal Movimento Nonviolento. Alcuni già conoscevano, almeno per il nome, la nostra rivista. Per altri era la prima volta. C'è anche da registrare, con dispiacere, che qualcuno dopo aver accettato la copia in omaggio, e averla appena sfogliata, la gettava a terra, con noncuranza ed inciviltà. Al richiamo che quella carta stampata è costata denaro e fatica, e che non si deve buttare via niente, e che se non interessa la si può restituire o regalare ad altri, a volte ci siamo anche sentiti rispondere con maleducazione. Perché certa gente partecipi alla Marcia della pace e con quale spirito, mi è difficile da capire. Purtroppo però questi casi non sono isolati: alla fine della marcia Santa Maria degli Angeli sembrava un immondezzaio: carte e rifiuti a terra dappertutto.

Sembrava un dopo partita alla stadio.

Quanta differenza con la marcia ideata e realizzata da Capitini, dove l'impegno era di lasciare l'ambiente che si attraversava, migliore di come lo si era trovato.

Ma c'è anche da segnalare chi si chinava a raccogliere le carte lasciate cadere da altri, e chi ha comunque voluto pagare la rivista donata “perché i soldi è meglio darli per la nonviolenza, piuttosto che per le armi”.

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Ultima annotazione, per la cronaca. Mentre noi distribuivamo la rivista, al tavolo del Movimento, a vendere i testi di Aldo Capitini e la spilla del fucile spezzato, c'erano Pietro Pinna ed Alberto L'Abate, che anche questa volta ci hanno insegnato cos'è lo spirito di servizio. Mentre questi due nostri maestri anziani, che hanno pagato l'essere pionieri della nonviolenza in Italia con il carcere e i processi, facevano i militanti di base al banchetto, quattro giovani ministri della Repubblica (impegnata nella missione militare in Afghanistan) si erano posizionati nella prima fila (della marcia per la pace), si facevano riprendere dalle telecamere e rilasciavano interviste.

La differenza c'è, e si vede.

 

Mao Valpiana

(da Notizie minime della nonviolenza in cammino, n. 239 del 11 ottobre 2007)


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