Diario di bordo
Tutti contro la dittatura che opprime la Birmania. Perņ gli affari sono affari
08 Ottobre 2007
 

È stata una bella marcia, quella di domenica, da Perugia ad Assisi; ed è commovente vedere che in duecentomila si stringono attorno a quei monaci che guidano la protesta e la rivolta nonviolenta contro i dittatori birmani.

Quei monaci incarnano, letteralmente, una religione della libertà; non sono diversi dai Montagnard in lotta da anni in Vietnam, e perseguitati tra la generale indifferenza – anche della chiesa romana, in altro impegnata – perché cristiani, credenti. Così simili, nella loro richiesta di libertà e democrazia a quei bonzi vietnamiti che negli anni Sessanta si uccidevano dandosi fuoco, e che non vennero ascoltati e aiutati dagli Stati Uniti e dal resto del mondo libero: loro, che costituivano l’unica, credibile alternativa ai vietcong comunisti e alla dittatura sud vietnamita. Non averli ascoltati e aiutati ha comportato quel che tutti sappiamo.

Religiosi che si battono per la e le libertà. Quella e quelle libertà che spesso vengono strangolate da altri “religiosi”: i mullah vaticani e i mullah talebani, fanatici e senza misericordia.

Ma torniamo alla Birmania, e alla lotta dei monaci. Ora che la marcia è finita, che siamo tornati a casa? Ecco cosa scrive, nel sito dell’agenzia “Lettera 22” Tiziana Guerrisi: «Mentre la diplomazia internazionale protesta per la repressione in Birmania, l’Italia continua a chiudere affari d’oro con la giunta di Than Shwe. Cifre da capogiro che nel 2006, tra import-export, hanno raggiunto gli oltre 120 milioni di euro coinvolgendo circa 360 aziende italiane».

Qualche giorno fa la CISL ha fornito un corposo elenco di ditte italiane che fanno affari con i dittatori birmani. In Italia giungono soprattutto legno, minerali preziosi e tessuti per l’abbigliamento, prodotti largamente impiegati che spiegano la presenza di imprese largamente conosciute dai consumatori italiani. Si parte dall’Oviesse, del noto gruppo Coin, che – nonostante un codice di condotta conforme alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e alle convenzioni sui diritti dei lavoratori dell’Organizzazione Mondiale del Lavoro - è legata al regime birmano da un fatturato di oltre 2,5 milioni di euro; il gruppo Auchan in Birmania ha comprato per oltre 460 mila euro; la Bulgari gioielli “vanta” un conto di circa 380 mila euro.

Altre imprese che importano il prezioso teak birmano, sono la Bellotti Spa (oltre 7 milioni di euro), la Nord Compensati Spa (2,4 milioni di euro), la Margaritelli e la Gazzotti che nel settore del legname vantano la certificazioni di ecosostenibilità “Fsc”, ma non mostrano altrettanta attenzione per i diritti umani. Per le esportazioni il giro di affari supera 60 milioni di euro, ma la presenza italiana si concentra in poche aziende concentrate nei settori meccanici e di difesa. Alla Danieli Officine Meccaniche Spa – specializzata in prodotti industriali nel settore dell’acciaio – il legame con il paese asiatico ha fruttato più di 55 milioni di euro, mentre l’Avio Difesa e Spazio, insieme agli altri settori di Avio Spa, ha mosso nel settore dei componenti aerospaziali militari e civili oltre 1,4 milioni di euro.

Abbiamo insomma un modo molto concreto per aiutare i monaci, Aung San Suu Kyi e tutti coloro che stanno lottando contro la dittatura. Se si vuole si può. Se si può, si deve.

 

Valter Vecellio

(da Notizie radicali, 8 ottobre 2007)


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