Diario di bordo
Don Abramo Levi (1920 – 2007). L’immensa energia dell’amore di Dio 
Omelia per il matrimonio di Giacomo e Chiara (1991)
Don Abramo Levi
Don Abramo Levi 
04 Ottobre 2007
 

Questo scritto inedito di don Abramo Levi è stato pronunciato da lui il 4 maggio 1991 nella Chiesa di San Filippo Neri a Vicenza per il matrimonio di una giovane coppia. Il prof. Lorenzo Calvi, padre dello sposo, l’ha conservato gelosamente ed ora lo offre ai lettori in ricordo dell’amico scomparso. Mi sono permessa di dare un titolo a queste due pagine sulla scia delle emozioni che mi hanno fatto provare, e che certo farà provare a tutti quanti lo leggeranno. L’immensa energia dell’amore di Dio che si manifesta nell’amore tra due persone... Trovo questo scritto meraviglioso, mi ha riportato alla lettura delle Confessioni di Sant’Agostino, così tremendamente intrise di una ricerca interiore che lo porta a scrivere parole che escono dalle pagine ed entrano nella testa. Così Abramo Levi nel suo messaggio d’amore che esplica in questa omelia. Un messaggio autentico: «L’amore semplicemente insiste. E questo non è già parabola, metafora di Dio?»

Ringrazio padre Camillo de Piaz (anche per i suoi scritti, di notevole valenza culturale e umana), Valerio Righini e Lorenzo Calvi per avere fatto pervenire questo scritto, che ho scelto di evidenziare per aiutare le parole in esso contenute ad avere la forza di uscire da queste pagine, anche se forse non ce n’era bisogno... (Cristina Culanti)

 

 

Omelia per il matrimonio

di Giacomo e Chiara

 

Vi ringrazio che abbiate lasciato a me di commentare, nel caso che lo avessi voluto, il vangelo delle nozze di Cana: una pagina di vangelo che è proprio come quel campo dov’è nascosto il tesoro, oppure quel baluginare di cristalli frammezzo ai quali brilla di luce appena un po’ più ferma e insistente la pietra preziosa.

Certo, nell’episodio delle nozze di Cana c’è tutto il repertorio di un festino di matrimonio: sposi, invitati, banchetto, vino – soprattutto vino, vino che c’è, vino che viene a mancare – e finalmente l’intervento di Maria: “Non hanno più vino” e l’intervento di Gesù, che tutti sanno.

L’aspetto prezioso di questo episodio – fra i molti che si potrebbero cogliere – è che qui si parla di nozze ma non di rito. Fosse stato adesso si sarebbe potuto dire: “Non si sa nemmeno se sia stato un matrimonio religioso o civile!”.

Allora, fortunatamente non c’erano simili problemi, e l’aggettivo “civile” conserva intero e rotondo il suo significato positivo. Maria e Gesù intervengono, ma non per dare crisma e veste religiosa a quelle nozze; al contrario, per risollevare il tono del festino con quell’apporto così insperato e sovrabbondante di vino.

Il bello, il religioso e, appunto, il prezioso dell’episodio è nascosto tra le pieghe dell’episodio stesso, come il tesoro nel campo e la pietra preziosa tra i cristalli.

Andiamo dunque alla ricerca, tenendo presente che siamo nel vangelo di Giovanni, dove i particolari più banali e terra terra sono una raffigurazione grafica e quasi un crittogramma del mistero.

Scrive dunque Giovanni che quelle sei giare, disposte fuori della sala per le abluzioni rituali, contenevano ciascuna due o tre misure (la misura o metreta equivale a circa 40 litri).

Qui non ci fermiamo perplessi: cosa vuol dire due o tre? Non si poteva essere più precisi, trattandosi di quantità consistenti, oppure tralasciare del tutto il particolare della capacità? Che senso avrebbe dire: Una botticella di due o tre ettolitri? Tanto vale che sia l’occhio a misurare!

Il testo non permette la fin troppo facile soluzione che di quelle sei giare alcune erano di due, altre di tre metrete. È scritto infatti “contenenti ciascuna due o tre metrete”.

Quel “due o tre” non avrà dunque un qualche altro senso?

S. Agostino, da quel genio che è, lo trovò subito.

Che significa dunque “contenente due o tre metrete”? Questa espressione ci fa pensare a un altro grande mistero… Quando è nominato il Padre e il Figlio, è come nominare due metrete: e quando s’intende lo Spirito Santo, se ne nominano tre. È come se dicesse: quando dico due, voglio che si intenda anche lo Spirito del Padre e del Figlio, quando dico tre enuncio più esplicitamente la Trinità.

E allora, chi può nominare il Padre e il Figlio, senza intendere anche l’amore del Padre e del Figlio? E quando si comincerà ad avere questo amore si avrà lo Spirito Santo. (S. Agostino – Sul Vangelo di Giovanni. Discorso IX)

Agostino ci ha detto quello che ci interessa per questa nostra caccia al tesoro e alla perla preziosa.

Ora possiamo procedere per conto nostro.

Qui i due non sono il Padre e il Figlio, ma sono gli sposi, siete voi, Chiara e Giacomo. Due o tre? Osserviamo bene il racconto di Giovanni, che non lascia adito a una soluzione univoca, che sarebbe così logica. Che sarebbe a dire: quelle giare infine contenevano o due o tre metrete. Qui invece non c’è l’out out (o due o tre), ma due o tre.

Non è questa la vostra condizione, oggi?

Di che colore è l’amore – si chiedeva una famosa scrittrice (Clarice Lispector). E rispondeva: È di colore neutro, cioè né maschile né femminile. L’amore siete voi, ma anche un terzo da voi. L’amore non esiste nel senso – Dio ve ne guardi! – di una terza persona. L’amore semplicemente insiste. E questo non è già parabola, metafora di Dio?

Si potrà dire che Dio esiste, come pare ovvio dire qui e adesso, per il fatto che ci troviamo nella Casa di Dio a celebrare un rito che lo reclama come protagonista. Ma si può dire anche che Dio non esiste. Non esiste alla maniera che esistono le altre cose. Ma chi può negare che Dio insista?

Uno spirito critico, ascoltando la prima lettura, potrebbe pensare: Qui vien gabellata come provvidenza di Dio quella che è solo una combinazione fortuita e in questo caso fortunata. Ma non sarà più così facile tirare in ballo il caso quando si leggerà che anche Giacobbe, il figlio di Isacco e Rebecca e gemello di Esaù, ripercorre la stessa strada e trova Rachele.

Si può dire, dunque, che Dio esiste a furia di insistere. Passando e ripassando sullo stesso solco si forma una strada e infine si scopre che quella è la strada del Signore.

Così è anche l’amore. Si scopre l’amore come si scopre Dio, insistendo su qualche cosa che all’inizio pare che neanche ci sia.

Questo pensiero me l’avete suggerito voi, Giacomo e Chiara, su all’Albergo San Fedele in Valtellina, mentre si beveva quel vino che si chiama Sfurzat, come a indicare una graduata insistenza di coltivazione che fa passare dalla dolcezza alla forza.

Questa graduata insistenza si crea un proprio calendario, delle proprie scadenze, sfociate in questo meraviglioso 4 maggio 1991.

Dio è in questi tempi e in queste scadenze assai più di quel che sia nella solita esistenza quotidiana. Non a caso lo stesso Giovanni, autore del Vangelo, scrive in una delle sue lettere: “Dio, nessuno l’ha mai visto, ma se ci amiamo…”.

Dove mai siamo stati condotti con il solo quel “due o tre” del vangelo delle nozze di Cana? Abbiamo trovato il tesoro nascosto.

Adesso vediamo se riusciamo a trovare anche la perla preziosa.

Sempre parlando delle giare, l’evangelista dice che i servi, al comando di Gesù, riempirono le giare fino all’orlo.

Qui di mistero pare proprio che non ce ne sia. Pare anzi che questa indicazione non abbia grande importanza, dato che non conosciamo bene la capacità delle giare.

Il senso, dunque, è nascosto sotto l’ovvietà di una annotazione casuale, puramente descrittiva. E il senso pare già che affiori dal semplice accostamento di queste due parole: “pienezza” e “misura”.

Ascoltate come suonano ampie, potenti, distese queste due parole in un testo classico di S. Agostino, e come esso sfiora senza mai perturbarla la vostra condizione di sposi.

«tu, il supremo, il migliore, il più potente, anzi l’onnipotente – il più misericordioso e il più giusto, il più segreto e il più presente, il più bello e il più forte, immobile e inafferrabile, immutabile che tutto muti, mai nuovo e mai vecchio, che ogni cosa rinnovi e porti a vecchiezza i superbi e non s’accorgono; tu che sei sempre in atto e sempre in quiete, senza bisogno accumuli, sostieni e riempi e proteggi, crei e nutri e porti a compimento, tu cercatore che di nulla manca. Ami e non ti scomponi, sei geloso e imperturbabile, ti penti e non provi rimorso, ti infurii e resti in pace, muti le opere ma non l’idea; accogli ciò che trovi senza aver mai perduto, ignori la miseria e godi dei guadagni, ignori l’avarizia e pretendi ad usura. Tu paghi i debiti senza dovere nulla, li condoni senza perdere nulla» (Confessioni, Libro primo 4,4).

Vedete un po’ se l’amore non fa pareggio della condizione di Dio e della condizione vostra. A questo testo voi potrete ricorrere ogni volta che vorrete trovare misura nella pienezza e pienezza nella misura.

E ora, a chi domandasse: può un amore durare tutta la vita? La risposta non dovrebbe suonare a modo di negazione o di affermazione, bensì a modo di esclamazione: Ma certamente!

La vita infatti, non è da immaginare come un contenitore che chissà se l’amore riuscirà sempre a riempire. Qui non è la capacità a determinare la pienezza ma è la pienezza a determinare la capacità.

Nessuna risposta, dunque, salvo quella che viene dalla parola di Dio.

In tempo di grande siccità, il profeta Elia si presentò a una povera vedova, che gli disse: – Ho solo un pugno di farina nella pentola e un po’ d’olio nell’orcio… Vado a cuocerla e poi moriremo.

Elia risponde: – Non rimarrà vuoto il tegame della farina, né l’olio scemerà nell’orcio fino al giorno in cui il Signore manderà la pioggia sulla terra.

Questa è la parola di Dio. Questa è promessa e scommessa vostra, oggi. Questa è l’attesa gioiosa di quanti siamo qui, oggi, parenti della sposa e dello sposo, amici, sposi di vecchia data, fidanzati che saranno presto qui al vostro posto.

Chiara e Giacomo, siete sostenuti oggi anche da quanti si inginocchiarono qui, in questa chiesa, per generazioni e generazioni, e la cui preghiera, che certamente rimane valida, si è come condensata e rappresa in questo spazio e territorio sacro.

 

(da Tirano & dintorni, settembre 2007)


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