Diario di bordo
Paul Kagame. Perché il Ruanda ha abolito la pena di morte
31 Agosto 2007
 

L’abolizione della pena di morte in Ruanda ha motivazioni straordinarie che sono proprie della situazione ruandese ma anche legate a considerazioni di portata universale.

 

La storia recente del Ruanda fino al 1994, l’anno in cui oltre un milione di vite umane vennero soppresse adopera di un genocidio di Stato, è stata caratterizzata da politiche settarie e violente in ragione delle quali la morte era divenuta uno strumento di “governo” degli affari nazionali. Lo Stato post-coloniale e coloro i quali lo hanno amministrato hanno potuto fare quel che volevano della vita umana, dal momento che abitualmente eliminavano oppositori politici, uomini d’affari, intellettuali e spesso interi settori della comunità ruandese. Questo per dire come la cultura dell’impunità si fosse così radicata nel nostro Paese. In un tale contesto, assicurare pace, stabilità e giustizia per il bene comune era una questione del tutto irrilevante per lo Stato, i suoi leader, le istituzioni e i suoi funzionari. Al contrario, questo gruppo di potere riteneva in definitiva fosse più importante salvaguardare se stesso piuttosto che proteggere la popolazione ruandese. Lo Stato in Ruanda aveva praticamente abdicato al suo ruolo classico di concepire e promuovere principi e valori che esaltano la vita umana così come di guidare lo sviluppo socio-economico, culturale e politico a sostegno della vita stessa, per trasformarsi invece in una macchina per uccidere fondata sull’egoismo.

 

Uno stato permanente di crisi come quello esistente in Ruanda prima del 1994, come tutti ben sanno, può portare o a ulteriori catastrofi oppure creare le condizioni per porvi fine. Come spesso accade in alcuni momenti critici nella storia del mondo, quel che è avvenuto nel nostro caso è che si è verificata la seconda condizione: i ruandesi hanno sconfitto la leadership responsabile del genocidio, il suo Stato e la cultura dell’impunità.

 

È stato questo lo straordinario contesto ruandese che ha consentito l’abolizione della pena di morte. Il progetto per un nuovo Ruanda sin dal 1994 è stato quello di edificare uno Stato riconciliato, unito, democratico e prosperoso in cui la leadership nazionale incessantemente mobilita e dispiega talenti e abilità per migliorare la vita delle persone, non distruggerla. La morte come strumento di controllo e il ruolo che essa ha avuto nel perpetuare la cultura dell’impunità non ha più spazio in Ruanda, essendo contraria alla nostra visione di stabilità, pace, prosperità e modo di governare democratico.

 

Non è stato certamente facile raggiungere il consenso del nostro paese sull’abolizione della pena di morte, proprio in ragione del fatto che la nostra storia è stata una storia di divisione. Nel genocidio del 1994, per esempio, migliaia e migliaia di ruandesi hanno perso i loro cari, mentre altri hanno avuto i loro parenti in prigione in attesa della pena di morte per crimini legati al genocidio.

 

Queste erano alcune delle situazioni estreme e il contesto nel quale si è svolto il dibattito sulla abolizione della pena di morte nel nostro paese. Tuttavia, i ruandesi si sono incamminati deliberatamente in un percorso volto a costruire un consenso nazionale che è iniziato alla fine degli anni ’90, quando il nostro paese è venuto fuori dallo stato di emergenza, e ci ha portato, attraverso l’adozione della Costituzione ruandese nel 2003 e il conseguente dialogo nazionale, alla abolizione della pena di morte. Noi eravamo determinati a relegare al nostro passato il Ruanda dell’insicurezza, dei milioni di rifugiati, della povertà e della violenza. Dalle discussioni interne ai partiti politici, i dibattiti alla Camera e al Senato, gli scambi di idee nell’ambito delle più alte istituzioni culturali e di villaggio in villaggio, abbiamo avviato un dialogo che ci ha condotti dove siamo ora: al rifiuto della pena di morte.

 

Da un punto di vista universale, poi, noi ci siamo uniti a quei paesi e a quei popoli del nostro continente e del mondo intero che non riconoscono alcun valore alla pena capitale. E incoraggiamo molti altri paesi in Africa e nel mondo a porre fine a questa pratica.

 

In questo contesto, devo dire che un certo numero di paesi aveva in passato sollevato obiezioni a estradare cittadini accusati di genocidio in considerazione del fatto che sarebbero stati messi a morte. Se questi paesi ora cambiano la loro posizione a questo riguardo e rimandano indietro le persone coinvolte perché siano processate in Ruanda, noi accoglieremmo positivamente tale decisione poiché senza dubbio contribuirebbe ad affermare il senso di giustizia nel nostro paese.

 

Lasciatemi concludere ringraziando l’organizzazione umanitaria Nessuno tocchi Caino per avermi onorato della richiesta di scrivere questa prefazione al suo Rapporto Annuale, e per avermi insignito del Premo “L’Abolizionista dell’Anno” per il 2007. Accetto con umiltà entrambi i riconoscimenti in nome del popolo del Ruanda che sta partecipando ogni giorno alla costituzione di un paese unito e prospero.

 

Paul Kagame

Presidente della Repubblica del Ruanda

 

 

NOTA. Prefazione al volume La pena di morte nel mondo. Rapporto 2007, a cura di Elisabetta Zamparutti, Reality Book, 18 euro.


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