Sì, viaggiare
L. Canova. Diario albanese – 7. In quella città
15 Agosto 2007
 

lunedì, 13 agosto 2007

Caric-amici

 

Arrivati in quella città, la confusione ti trascinava dentro, come la polvere ammucchiata, in fretta in fretta, dalla paletta spazientita sul pavimento. Traffico, smog, palazzi come funghi matti che crescono un po’ ovunque: la sensazione piacevole di un caldo disordine umano.

Mentre passeggiavi sotto il Sole afoso, tra i cassonetti arrugginiti ai bordi delle strade, la corrente saltava.

Senza preavviso.

Allora vedevi i piccoli omini, gestori degli alimentari, smaomettare contro qualunque Dio e contro il governo, finalmente uniti nella bestemmia ecumenica; intere legioni di formaggi battevano in ritirata per l’improvvisa defezione della fanteria frigorifera; le vecchine che vendevano zucche, sul marciapiede, continuavano invece come se nulla fosse.

Solo un ventaglio ritmava ora la solita indifferenza, quasi che il black out avesse reso il Sole più cocente.

 

Eppure quella città era magica perché non solo gli oggetti funzionavano con l’elettricità: anche le persone, infatti, sembravano alimentate a batteria.

Così, se stavi ordinando un caffé al bar e toglievano la corrente, il cameriere si fermava nell’atto di porgerti la tazzina, e tornava diligente dietro il bancone, a braccia conserte in modalità stand-by, in attesa di nuove energie.

Capitava, ancora, che l’innamorato in procinto di ricevere una risposta dalla sua bella, si trovasse improvvisamente di fronte alle labbra di lei, bloccate, semichiuse, non si sa se sul punto di negarsi o di concedere un bacio liberatore.

Per la città vedevi poi omini per aria, incapaci di controllare il proprio volo scomposto; o signori distinti che si coprivano la testa con una cuffia fotovoltaica, prima di procedere a singhiozzo per effetto di nuvole passeggere che rallentavano il loro cammino.

I primi passi degli uomini solari o eolici ridavano insomma speranza per un futuro dell’umanità finalmente rinnovabile.

C’era chi fingeva normalità, nella città ad energia intermittente: quando arrivava il black out, si mettevano uno zaino e, ronzando fastidiosamente per le strade, predicavano la funzione rigeneratrice dei generatori.

E ancora, l’impiegato sul punto di essere rimbrottato dal capo, sfruttava la sua batteria al litio per stracciare la lettera che il datore di lavoro, bloccato in una perfetta stasi di licenziamento, impugnava tra le mani.

Nelle poche chiese, trovavi infine qualche signora, vestita a lutto, inginocchiata mentre pregava e forse pensava tra sé: l’energia a progetto è un viatico sicuro per una salvezza a tempo indeterminato?

E chi lo sa: affacciato sul balcone, coi gomiti sempre appoggiati ai suoi sogni, il poeta non sembrava scalfito in preda ad un’inerziale malinconia marmorea.

Così, arrivato in quella città, cominciavi a comprendere che ne venivi travolto e conquistato, rapito nella musica diversa di un mondo all’incontrario, felice di bloccarti, qualunque cosa tu stessi facendo, nella sospensione di un sogno che hai appena iniz…

 

Luciano Canova

 

P.S. Il balkan blog va in leggera pausa. Spero di riuscire a postare nei prossimi giorni, baci abbracci buon ferragosto.


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