Caso Riccio: ha prevalso la ragione contro l'inquisizione!
23 Luglio 2007
 

Il non luogo a procedere per il medico Mario Riccio (foto), l'anestesista che interruppe sotto sedazione la ventilazione meccanica a Piergiorgio Welby, è una buona notizia, che riapre uno spiraglio di ottimismo in una vicenda sintomatica dello Stato italiano, dove reato e peccato rischiano ogni giorno che passa di confondersi sempre di più.

Ricordiamo, infatti, che si era arrivati all'“imputazione coatta” nei confronti dell'anestesista da parte del Gip, Renato Laviola, il quale respingendo la richiesta di archiviazione della Procura di Roma aveva parlato di un «sacro inviolabile e indisponibile» diritto alla vita. «Un limite invalicabile da tutti gli altri diritti», compreso quello costituzionale dell'autodeterminazione, fissato nell'articolo 32 della Carta, secondo cui nessuno può essere obbligato al trattamento sanitario.

Quelle parole accompagnate dall'imputazione coatta facevano intravedere un processo inquisitorio: un giudice che vuol condannare senza l'accusa, un processo senza un reato (nemmeno per la Procura), ma con la pena già scritta da un giudice accusatore.

Alla fine di questo episodio, la ragione è per fortuna tornata a prevalere nel Tribunale di Roma con la decisone del Gup, Zaira Secchi, che ha prosciolto con formula piena il Dr Riccio perché il fatto non costituisce reato!

Ora la parola torna alla politica, che ha un solo compito: far rispettare l'articolo 32 della Costituzione anche per quando il paziente non è in grado di esprime la propria volontà (a differenza dei casi di Welby o di Nuvoli), che può essere rispettata appieno attraverso il testamento biologico. Ecco perché credo profondamente che serva non una legge comunque, ma una buona legge!

 

Donatella Poretti


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