Diario di bordo
Della Vedova. Il caso Riccio-Welby e il rapporto medico-paziente
09 Giugno 2007
 

Desta molto sconcerto e qualche timore la decisione del Gip di Roma che ha disposto, contro il parere della Procura, l’imputazione del dottor Mario Riccio (nella foto, con Marco Cappato), il medico che ha assistito negli ultimi momenti di vita Piergiorgio Welby, per omicidio del consenziente. Se un Tribunale italiano decidesse di condannare un medico che dà corso alla esplicita e consapevole decisione di un paziente di sospendere un trattamento sanitario, la condanna sancirebbe il principio generalizzato della “obbligatorietà” dei trattamenti sanitari, che come è noto contrasta in maniera totale con il dettato dell’art. 32 della Costituzione, e cancellerebbe per ogni paziente la possibilità di imporre un limite all’accanimento terapeutico. 
Dal punto di vista sostanziale il principio dell’obbligatorietà delle cure “rivoluzionerebbe” (ovviamente in negativo) i rapporti tra medico e paziente, trasformando il primo in un assoluto padrone del corpo e della vita del secondo, e distruggendo quello che è oggi, per legge, il fondamento di qualunque relazione terapeutica, cioè il principio del “consenso informato”.

Lo scontro aperto sui temi del testamento biologico e più in generale dell’eutanasia, non può finire per travolgere anche un principio basilare come quello che nessuno può, almeno fin tanto che la lucidità lo sorregge, essere sottoposto a trattamenti sanitari coercitivi. C’è da augurarsi che i giudici non subiscano la pressione del confronto politico in atto, che sul piano della fattispecie giuridica va lasciato distinto dal “caso Welby”.

 

Benedetto Della Vedova


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