Lo scaffale di Tellus
L'adorazione del piede. Alberto Figliolia intervista Berarda Del Vecchio
02 Marzo 2007
 

Berarda Del Vecchio

L’adorazione del piede

Alberto Castelvecchi Editore, 2006, pagg. 218, € 18,00

 

Berarda Del Vecchio, laureata in lettere e filosofia, 28 anni, romana. Scrive per una rivista di medicina on line. Ma, soprattutto, è l’autrice di uno dei più godibili, e felicemente “improbabili”, libri usciti negli ultimi mesi: L’adorazione del piede. Un “manuale” nelle cui pagine e nei cui agili capitoli e box, con un apparato iconografico straordinario, altra autentica forza del volume, c’è tutto, ma proprio tutto, sul piede: dai piedi nella letteratura e nell’arte, compresi quelli “indecorosi” delle figure dipinte dal Caravaggio, al loto d’oro, alias l’erotismo dei piedi cinesi; piedi sacri, profani e diabolici; calzature (tabi, zori e geta), tacchi a spillo e danzatori e balli d’ogni latitudine in cui il piede, calzato o meno, spicchi sovrano e s’esalti; i piedi nel cinema (gustosissima la citazione da Pulp Fiction di Tarantino: Morire per un massaggio ai piedi); “parlare con i piedi”; gli “adorabili feticci” e la psicanalisi; i piedi nei fumetti; riflessologia emozionale e massaggi; pediluvi e proverbi. Insomma, non manca nulla in questo vertiginosamente amabile e incantevole libro.

Berarda, qual è e com’è il rapporto che lei ha con i suoi piedi?

«Dopo averli nascosti durante l’adolescenza ora li vezzeggio con cura quasi maniacale. Faccio più pedicure che manicure».

Da quando ha iniziato ad avere quest’attenzione particolare alla nostra parte anatomica più distale e distante?

«In potenza c’è sempre stata. Da piccola mi ciucciavo l’alluce invece che il pollice. Da ragazza invece mi vergognavo di mostrare i piedi, così come la scollatura del seno. Invidiavo tutte le mie amiche che al mare mostravano i piedi senza problemi mentre io nascondevo i miei sotto la sabbia». Poi, evidentemente qualcosa è cambiato nella mente e nella consapevolezza.

Il suo libro è preciso e ironico e nient’affatto morboso...

«È stato difficile non farlo morboso. In realtà come scelta editoriale si sarebbe potuto puntare di più sulla morbosità, ma io ho pensato di sdoganare il feticismo del piede rendendo la narrazione più lieve e più leggera, toccando più argomenti e costruendo una sorta di piccola Bibbia del piede».

Quanto tempo ci ha messo a scriverlo?

«Fra ricerche e scrittura un anno e mezzo; nove mesi solo di scrittura, 6-7 ore ogni giorno».

Le reazioni che ha suscitato fra parenti, amici e conoscenti?

«Nessuno si aspettava un libro così ricco, colorato e interessante. Mia nonna e le sue amiche – interessanti le loro reazioni anche per la fascia d’età che rappresentano hanno detto che è molto bello. Erano abituate a chiamare i piedi estremità. Ora li hanno rivalutati».

Con le pagine de L’adorazione del piede lei compie un viaggio nella storia e in ogni aspetto della quotidianità in cui la nostra appendice la fa da protagonista...

«È una storia vista dal piede, dal basso verso l’alto. Un buon punto di vista. È stato bello straniarsi per vedere le cose da un’altra direzione».

Peraltro la veste iconografica del libro è di una fantastica ricchezza...

«È stata una mazzata quasi più dello scrivere. Fra me e il ragazzo che ha fatto l’editing e l’impaginazione abbiamo speso un mese e mezzo solo per la ricerca iconografica e le autorizzazioni legali o liberatorie».

I piedi come un tabù...

«Sono tuttora un tabù. Me ne accorgo quando mi chiedono l’argomento del libro. Se dicessi... L’adorazione della mano, le facce sarebbero diverse».

Nascondere o mostrare i piedi?

«Bisogna saper fare tutt’e due le cose, come per qualsiasi altra parte, considerata erotica, del corpo. E i piedi lo sono. Almeno per me. Forse per altri meno».

Perché coccolare i piedi?

«Intanto perché fa bene alla salute del corpo. I piedi sorreggono, in maniera classica, tutto il nostro peso e ci portano in giro. Già questo è un motivo sufficiente».

Scherzando, si potrebbe dire che è un libro fatto coi piedi, ma per una volta ciò ha dato luogo a qualcosa di ottimamente riuscito...

«Per una volta è andata bene. Si può cambiare il senso del proverbio».

E ora sta scrivendo qualcosa?

«Un altro libro, sempre per la Castelvecchi, ma di tutt’altra forma: una specie di autobiografia, un po’ caricata, una via di mezzo con un saggio. Un libro da leggere sotto l’ombrellone, per niente serio: s’intitolerà Sdraiami e uscirà nel prossimo giugno. In esso dirò in una maniera molto ironica e autoironica - sennò ci sarebbe da buttarsi sotto quello che le donne vorrebbero dagli uomini».

 

Alberto Figliolia


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