Diario di bordo
Giovanni Bettini. Apriamo una discussione su tutta la marmellata istituzionale 
Contributo sulla proposta “Aggregare e fondere i comuni, abolire le comunità montane”
26 Febbraio 2007
 

Sull'iniziativa lanciata ad inizio anno, con relativo sondaggio on line, è pervenuto un contributo alla discussione di Giovanni Bettini (foto), che ben volentieri anticipiamo qui e che verrà poi pubblicato sull'edizione cartacea del Gazetin. L'occasione ci consente altresì di ricordare che l'invito alla discussione è aperto a tutti. (Es)

 

Ho molto apprezzato l’apertura sul Gazetin di una riflessione sulla opportunità di porre mano al superamento della frantumazione del territorio provinciale in settantotto Comuni, alla quale si sovrappongono cinque Comunità montane. È un tema assai indigesto per il teatrino politico provinciale al quale fa comodo il risiko di un migliaio abbondante di amministratori locali. E la stessa popolazione ama avere il sindaco, l’assessore, il consigliere comunale che abitano alla porta accanto. Tutti a portata di mano per il proprio permesso di costruire, per fare finte piste forestali che portano i fuoristrada alle villotte o villette le quali, su ex maggenghi e ex alpeggi, vanno sostituendo le mucche. Tutto questo in paesi-presepi, rispetto alla vicina metropoli, dove per agganciare un consigliere della tua zona (magari di centomila abitanti), pressoché privo di poteri decisori ed erogatori, ti devi davvero sbattere.

Dopo la provocatorietà di questo incipit bisogna certo ammettere la delicatezza della questione, sia sul versante politico-amministrativo che su quello socio-culturale. La riflessione si dovrebbe articolare secondo molteplici aspetti. Ne cito alcuni.

Nell’ultimo mezzo secolo i mutamenti nella struttura del territorio sono stati continui e profondi. I Comuni erano per lo più aggregati di case stretti attorno la fisionomia di nuclei ben identificati nello spazio agricolo di fondovalle o di versante. Le economie di sussistenza legavano organicamente gli insediamenti al loro intorno, alla vallata includente o soprastante. Si vedano ad esempio i paesi allo sbocco delle valli orobiche. Gli spostamenti per lavoro erano corti, oppure lunghissimi per frontalierato ed emigrazione. Gli acquisti erano nelle botteghe di paese o nei centri di mandamento; la mobilità di svago o tempo libero era ridottissima. Oggi l’assetto insediativo evolve verso saldature sempre più fitte di centri, verso lo sviluppo arteriale a nastro, verso la dispersione anche sui versanti pedemontani. Siamo alla città diffusa disegnata dai canali di mobilità. Gli ipermercati sono le nuove piazze. Le rotonde i nuovi quadrivi. Nuove centralità si delineano sempre più – in particolare secondo il motore del commercio – comprese ovviamente quelle agli estremi: la meta-città di Fuentes e l’assurdo Bengodi di Livigno. All’ombra di chiese e campanili abita una minoranza della popolazione. Dalla gran parte delle abitazioni escono a vari orari del giorno più auto, per spostamenti di papà, mamma, figli, nonni, secondo mappe di mobilità che sempre meno hanno a che fare con la dimensione comunale, perché passano e ripassano confini comunali.

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Il nuovo Titolo V della Costituzione rafforza il potere dei comuni nella direzione della sussidiarietà, vale a dire del principio che si propone di mitigare il centralismo tenendo il più possibile le decisioni entro l’organismo istituzionale più vicino ai cittadini. Si conferma e si rafforza da un lato la rilevanza delle funzioni che un comune comunque piccolo è chiamato a svolgere. Ma la possibilità dei piccoli comuni di svolgere tali funzioni, a partire dai servizi di base, è duramente messa in discussione dai tagli nel nuovo scenario della spesa pubblica e della limitata autonomia fiscale dei piccoli e piccolissimi comuni.

Questa situazione fa emergere il tema dell’intercomunalità e sono effettivamente in corso sul territorio nazionale, tra comuni, varie esperienze di forme associative: convenzioni, consorzi, unioni, variegate per funzioni, livello di formalizzazione, durata temporale. Si tratta di palestre molto importanti per una graduale ginnastica verso sensati accorpamenti da non rimandare alle calende greche. Regione e Provincia devono sostenere con finanziamenti e altre misure premiali tali esperienze evolutive. Oltre a queste forme di sussidiarietà orizzontale i raccordi tra piccoli comuni stanno diventando importanti nelle relazioni con gli enti sovraordinati e per progetti su fondi UE.

In un territorio nettamente alpino, come quello della provincia di Sondrio, i piccoli Comuni si trovano di fronte alla presenza di rilevanti problematiche ambientali (idrogeologiche, paesaggistiche, agroforestali) mentre gli uffici tecnici, spesso con personale a scavalco, sono fermi ad una tradizionale gestione edilizia. La debolezza dei piccoli Comuni facilità il decidere dall’alto.

Al 2005, delle 257 unioni comunali istituite a livello nazionale soltanto 11 riguardavano la gestione associata di funzioni in materia di pianificazione territoriale. Ma a fronte di nuovi impegnativi compiti di governo del territorio (come nel caso lombardo della legge regionale n. 12/2005) si impongono sempre di più.

 

Venendo alle Comunità montane va detto che la loro nascita, all’inizio degli anni ’70, era decisamente indirizzata a funzioni di programmazione e pianificazione urbanistica a scala sovraccomunale. Era infatti previsto il piano urbanistico di Comunità montana, in un quadro nel quale la Provincia era ancora il vecchio ente di stampo burocratico-prefettizio, con competenze scarse. La fase costitutiva delle due iniziali Comunità montane, della Valtellina (unica) e della Valchiavenna, furono assai vivaci proprio sul tema della programmazione territoriale, oltre che socio-economica. La Comunità montana della Valchiavenna riusci ad assumere un effettivo ruolo di programmazione proprio attraverso il proprio piano urbanistico e ciò ha contribuito ad una migliore gestione del territorio – assai palpabile – rispetto alla Valtellina (si confrontino i fondovalle…). Con la successiva riduzione delle Comunità montane ad una sorta di comprensori né carne né pesce questi organismi sono per lo più diventati una cerniera delle politiche della Regione, con compiti per lo più redistributivi e spartitori. Il rafforzamento della Provincia come organo di effettivo governo mette oggi in discussione il ruolo delle Comunità montane. È un tema su cui tornare qualora si voglia aprire una discussione su tutta la marmellata istituzionale (compreso BIM, organismi del Turismo, ATO prossimo venturo,…): una vera industria delle cariche ad elevato sgomitamento.


L’aspetto socioculturale dell’identità

Certamente l’aggregare e fondere i Comuni, abolire le Comunità montane si deve misurare con il tema socioculturale dell’identità. In questo caso, e limitandoci alla Valtellina, si dovrebbe parlare di sottomultipli della “valtellinesità”, tema già di suo impegnativo quanto ambiguo. Partire cioè dalla Fuentesitudine alla Pianteditudine (cosi diversa dalla Piateditudine), e via via cogliere ad esempio le differenza tra la Fusinitudine e la Cedraschitudine, piuttosto che la Montagnitudine rispetto alla Poggiridentitudine, fino alla incontrovertibile e inossidabile Livignitudine.

L’identità è questione sfaccettata. Dalle profondità ancestrali dell’animo umano al tradizionalismo prêt-à-porter. Forze politiche ed anche forze economiche ne lisciano il pelo. I sensi di appartenenza hanno prodotto civiltà e anche grandi disastri storici. Giuseppe De Rita, Aldo Bonomi e Luisa Bonesio hanno recentemente arredato il Notiziario della Banca Popolare di Sondrio con riflessioni che meritano attenzione. Di solito ci si guarda bene dal connettere l’amministrativismo pragmatico con i voli culturali. Ma perché non provarci?

I migliori auguri alla politica, alla quale non mancano le opportune virtù cardinali e teologali per “non” affrontare il problema: autotutela, prudenza, felpatezza, o addirittura… fingere di non vedere la realtà che cambia velocemente.

 

Giovanni Bettini

(per 'l Gazetin, marzo 2007)


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