Lo scaffale di Tellus
Marisa Cecchetti. “Alle corti dei re” di Alessandra Altamura
17 Gennaio 2023
 

Alessandra Altamura

Alle corti dei re

EIF, 2022, pp. 252, € 16,00

 

Le corti hanno costituito l’elemento tipico della campagna lucchese, con le unità abitative attaccate l’una all’altra, terratetto con la facciata rivolta a sud, che condividevano l’uso dei servizi come il forno, il pozzo, il rudimentale gabinetto, e con l’aia davanti dove si raccoglievano e si essiccavano granaglie e legumi. La gente lavorava la terra e viveva dei suoi raccolti.

Si estendevano in latitudine quando si costituiva un nuovo nucleo familiare -figli che si sposavano-, ragione per cui oggi le corti portano tutte il nome di una famiglia. In questo contesto abitativo Alessandra Altamura ambienta i suoi racconti.

Ora le famiglie delle corti non appartengono più allo stesso ceppo, rimangono sì gli orti da lavorare, ma si vive di altre entrate e spesso tra una unità e l’altra sono stati eretti dei bassi muretti divisori. Ma non è cambiato lo spirito, lo si respira nei racconti della Altamura che apre su questi ambienti periferici dove tutti si conoscono, dove ognuno è definito con un soprannome legato a caratteristiche fisiche o comportamentali, dove la grande distribuzione non fa ancora da padrona e il bar, anzi, il barino, è luogo di incontro e di sosta di uomini più o meno giovani. Soprattutto meno giovani, perché hanno un po’ di pensione e molto tempo libero, anche se portano avanti qualche lavoretto artigianale.

Seduti sulle sedie di fianco agli usci di casa trascorrono chiacchierando le ore più calde d’inverno, e in estate quelle meno calde che vanno verso il tramonto. Non è cambiata l’arte di sapere tutto di tutti -senza malizia e cattiveria, ovviamente!- come se un venticello portasse di corte in corte le informazioni.

Figurarsi lo stato d’animo di questi “cortigiani” quando il dilagare del virus, a inizio 2020, li costringe a stare chiusi in casa, a uscire solo per estrema necessità, a usare la mascherina protettiva dentro e fuori, a stare distanziati, a non poter più darsi un abbraccio nemmeno tra parenti. E a dimenticare il barino e le partite a carte. Ciò che prima sembrava un peso ora appare un dono: “Andare al supermercato per la spesa settimanale è l’unica uscita di Alfio e Irma e, se prima era un’incombenza, una faccenda da sbrigare più o meno come tutte le altre rogne della quotidianità, adesso è un momento atteso e desiderato: quel fugace e tuttavia indispensabile contatto con la realtà, sia pur velato da mascherine, visiere, guanti e sterilizzato dagli odori d’alcool dei gel igienizzanti”.

I racconti della Altamura riescono a entrare dentro le case di corte, a farci ascoltare le conversazioni, i dubbi, le domande senza risposta, la paura di chi sta dentro. Rinchiuso.

Ma non si limita a questo, infatti l’isolamento attiva il ricordo: nei racconti si recupera il vissuto delle persone, ma anche la storia locale, le tradizioni, le usanze, i riti carichi di fascino che talvolta rimangono solo nella mente dei più vecchi, anche se nel tempo si sono trasformati perdendo le caratteristiche originarie e svuotandosi di significato.

Quello che rende particolari i racconti è l’uso del dialetto inframezzato alla narrazione, con i dialoghi tra marito e moglie dietro le finestre chiuse, nel linguaggio più colorito e spontaneo, senza un limite alla fantasia creativa, un conversare che strappa sempre un sorriso, che il lettore attende per entrare anche lui dentro le stanze.

I proverbi rimangono a sintesi di saggezza popolare, ma il vernacolo raccoglie anche l’arguzia della gente e il desiderio di fare ancora una risata, nonostante tutto: – O Irma, lascia perde’, s’anderebbe volintieri a prende’ ir bombolone co’ la crema. Che dici, s’ha a anda’?

Un ni scherzi mia, c’ho da leva’ tutte le lezzore da casa-[…]Un lo vedi che sono tutta sgrendinata? Un so’ che mettimi.

Che t’ha a di’, o Irma, un ni fa nulla, mettiti la pelle da rovescio!

Le lezzore sono le ragnatele!

Il dialetto rende leggeri i racconti anche quando si affrontano problemi pesanti e dolorosi. Infatti la Altamura non si ferma alle corti, ma di lì parte per abbracciare le problematiche sociali e umane più scottanti e irrisolte, come lei fa di solito: sono gli emarginati, i migranti, i diversamente abili, i dimenticati da Dio e dagli uomini, tutti coloro che vivono nella violenza e nel bisogno, quelli a cui lei rivolge la sua preoccupata attenzione, in una denuncia costante dell’indifferenza, in una richiesta indiretta e continua di intervento per il cambiamento, per il superamento delle voragini che separano socialmente, economicamente e umanamente.

I dodici racconti lasciano l’immagine di una umanità dolorante- e non solo per il dramma del virus- e sono completati ciascuno da una poesia su ogni tematica: ne deriva una narrazione varia nel registro linguistico e nel ritmo, fatta di quadri che si accostano - quasi come le case di corte - insieme ad un alternarsi di sorriso e di consapevolezza del dolore.

 

Marisa Cecchetti


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