Lo scaffale di Tellus
Marisa Cecchetti. “Denti da latte” di Lana Bastašić
17 Novembre 2022
 

Lana Bastašić

Denti da latte

Traduzione dal croato di Elisa Copetti

Nutrimenti, 2022, pp. 128, € 18,00

 

È una società attraversata dalla violenza quella che scopriamo nei racconti di Lana Bastašić, scrittrice che vive a Banja Luka (Bosnia Erzegovina). Nata a Zagabria nel 1986, ha vissuto ancora piccola gli anni della fine della ex Jugoslavia, quando una bambina non ha piena consapevolezza di ciò che accade intorno ma lo respira nell’aria: guerre tra nazionalismi e confessioni religiose diverse che hanno seminato distruzione e trasformato in carnefici persone con cui fino ad allora c’erano stati rapporti di buon vicinato, o addirittura di parentela.

Violenza che entra negli occhi e nella mente di bambini e adolescenti -molte le bambine-, che si materializza nella cinghia facile dei padri, quella che lascia segni profondi, inevitabile come il destino. Non sempre legata agli anni della guerra, bensì insita nella cultura, se la cinghia di un padre colpisce forte al tempo dello sbarco sulla Luna e l’unica salvezza per due fratelli rimane la fantasia: “Sente un dolore alle costole mentre scende verso terra. Sa che il dolore è un buon segno. Appena si accorge che non gli fa male niente, che sono spariti i lividi e il labbro si è rimarginato, significa che suo padre non lo picchia da tanto tempo e che presto arriverà un nuovo turno”.

Violenza che si esprime nell’offesa e nella umiliazione continua che schiaccia i figli, spesso demotivati, depressi, disturbati, che mancano di riferimenti comportamentali ed etici, giovanissimi che si confrontano con la morte come se fosse una realtà virtuale, che non hanno sviluppato gli strumenti per riconoscere i confini tra il bene e il male.

Non c’è dialogo o confronto tra genitori e figli, solo obbedienza. Bambini e bambine che obbediscono ad adulti aggressivi, che provano sul proprio corpo le conseguenze di un eventuale e raro no, che diventano adulti prima del tempo accanto a madri rimaste sole, donne che affogano nell’alcool la paura, la solitudine e la miseria esistenziale.

C’è cupidigia nell’attesa della morte e della eredità di una vecchia zia, c’è aggressività nel linguaggio dei genitori, indifferenza nei confronti del dolore di persone e tanto più di animali. C’è il senso del proibito e della vergogna che fa di una bambina una dispensatrice di morte: “Lo colpì due volte alla testa prima che cadesse. Sulla pietra rimase una traccia di sangue, sul papà una traccia di terra. Giaceva di lato, come addormentato. E il suo membro esposto, rugoso e sporco come una talpa morta, imberbe, toccava il terreno fangoso”.

L’offesa personale indurisce il cuore di una adolescente a cui è offerta l’occasione della vendetta più disumana, senza apertura al perdono. E un pizzico di polvere di fungo velenoso che va a finire nel tè di una psicologa mal tollerata: “Corre al bagno a vomitare. Non le succederà niente, nel tè non c’era più di un pizzico di fungo. Avrà un po’ di vomito o di dissenteria e poi mi lascerà in pace”.

Scarsa la sensibilità degli adulti, assente il sostegno e la presenza delle madri nei momenti più difficili -anche all’arrivo del primo mestruo delle figlie, con il sangue che gocciola senza rimedio, inevitabile riferimento simbolico al sangue dei soldati.

Si incontrano piccoli che destano tenerezza nel loro vano tentativo di spiegare la vita, che non capiscono la volontà del Dio degli adulti, un Dio da cui si aspetterebbero il bene, ma se non è giusto, allora è meglio aprire la finestra e farlo volare via: “Dio spunta da sotto il letto e senza una parola vola fuori. La bambina chiude la finestra e si stende a letto. Finalmente può dormire serena. Nessuno la guarda più”.

È la bambina che ha cercato di salvare una fila di formiche sottraendole alla distruzione decretata dalla mamma: “Dio tace sempre. La madre dice che lui è sempre lì, che guarda sempre. Questo spaventa la bambina, nel buio della stanza, pensa che Dio forse sta in quell’angolo accanto all’armadio, oppure sotto il letto”.

Raramente ci scappa un sorriso: la nonna è morta, la sua dentiera è rimasta in un bicchiere e il suo gatto chiuso in camera riesce ad uscire. La bambina invece sta perdendo i denti da latte: “Il gatto sta davanti a me e mi guarda. Tra i denti tiene la protesi della nonna. Sembra quasi che il gatto rida. Lo guardo e lui mi guarda. Tiro fuori dalla bocca il dente caduto. Glielo mostro. Ma lui è un gatto e non sa nulla […]. Non mi vuole dare la protesi. È solo un dentino di latte. Non basta per fare cambio. Lo getto dalla finestra, lontano in cortile. Il gatto gli salta dietro. Porta fuori casa il sorriso della nonna”.

Un’infanzia ed una adolescenza negate, da cui ripartire, per elaborare le ferite e ricostruire con pazienza e fatica una umanità migliore.

 

Marisa Cecchetti


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