Ritratti
Alberto Figliolia. Bruno Arcari, le cicatrici portate con orgoglio
03 Ottobre 2022
 

Il 1942, terzo anno di infausta guerra, si apre ad Atina, nel frusinate, con un lieto evento: la nascita di Bruno Arcari, che diverrà una delle glorie dello sport italiano. Pugilatore, 165 cm di tecnica, combattività, coraggio. La boxe potrà non piacere a tutti, susciterà remore disparate, ma non vi è alcun dubbio che i boxeurs non hanno mai storie banali.

73 incontri disputati, di cui ben 70 vinti (38 prima del limite), 2 soli perduti (mai per KO), 1 pareggiato a fine carriera contro il fortissimo Rocky Mattioli, futuro campione del mondo, un big a propria volta.

Superleggero, welter junior e welter. Campione italiano, europeo e mondiale. Un unico punto debole: le arcate sopraccigliari, alle quali gli avversari miravano e contro cui tentavano di accanirsi. Inutilmente, a parte il primo combattimento e il dodicesimo della sua carriera, poiché per Bruno, prese misure e precauzioni, fu da qui in poi una striscia ininterrotta di successi, escluso il pari sopra detto.

Il titolo iridato sarebbe arrivato nel ’70 contro il filippino Pedro the rugged (il ruvido) Adigue. Cintura poi difesa per 9 volte consecutive. Un match durissimo per entrambi. Bruno aveva in sé anche la rara virtù di saper soffrire, buttando il cuore oltre ogni ostacolo.

Sostanzialmente un imbattibile. Senza tirarsela mai. Schivo di carattere, mai spaccone, non amava abbandonarsi a dichiarazioni o sceneggiate di sorta, strane coreografie o comportamenti bizzarri ed eccentrici. Semplicemente combatteva: preciso, serio, lineare, intelligente. Ardente e sapiente. Onesto. Un sinistro micidiale. Spietato, ma senza odio. Abile in tutte le fasi della noble art. Un fighter senza paura, le cicatrici portate con orgoglio, come una prova della durezza dell’esistere e della resilienza necessaria.

Se la critica non lo amava del tutto, Bruno, il ciociaro adottato dalla magnifica Genova, era adorato dal pubblico. Nessun suo match lasciava delusi. Alcuni sostengono che egli sia stato il miglior pugile italiano. Più di Nino Benvenuti, tanto per dire, di cui non aveva il senso dello spettacolo (soprattutto fuori dalle corde del ring), la brillantezza della parlantina e lo splendore fotogenico, o di Duilio Loi o di Cleto Locatelli o di Primo Carnera. Invero tutti grandissimi, difficile fare una graduatoria. Di certo Brunetto sta nell’empireo. Fenomenale pugile e uomo, in tutta la sua umiltà, di formidabile spessore.

Ha virato la boa degli 80 Arcari, un gran bel traguardo. A lui un posto di assoluto riguardo nella memoria e nella Hall of Fame dello sport del Bel Paese e mondiale.

 

Alberto Figliolia


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