Lo scaffale di Tellus
Marisa Cecchetti. “Giochi d’ombre” di Daniela Dawan
21 Gennaio 2022
 

Daniela Dawan

Giochi d’ombre

Giunti Editore, 2022, pp. 204, € 14,00

 

Milano 2019. Quattro adolescenti e una zia sono i protagonisti di Giochi d’ombre, di Daniela Dawan, nata e vissuta dieci anni a Tripoli in Libia, arrivata in Italia durante la Guerra dei sei giorni, ora Giudice della Suprema Corte di Cassazione, dopo aver viaggiato a lungo all’estero.

Una avventura, quella dei quattro studenti, vissuta in un fine settimana nel palazzo di Antonio, già sede di un monastero fino al 1700, che si apre con la bellezza del chiostro quattrocentesco a doppio loggiato e con i giardini di piante secolari dove erano stati gli orti dei monaci.

Nina è una ragazza impegnata per la difesa dell’ambiente, che sfila nei cortei dei Fridays for Future, di famiglia modesta; ha un gemello schizofrenico, al momento ricoverato in psichiatria.

Antonio, che li accoglie nel palazzo antico, è orfano di entrambi i genitori fin da piccolo, cresciuto dalla zia paterna Delfina. Lei è una donna aperta alle problematiche attuali, pronta a sfilare nei cortei, grande affabulatrice che calamita l’attenzione dei ragazzi con la storia di un monaco, certo Gunotto da Pavia, costretto a nascondersi al tempo dell’Inquisizione perché amante dell’alchimia e seguace del pensiero di Giordano Bruno, scomparso nelle segrete del monastero. Antonio ama i classici, Aiace è il suo modello per la vita.

Olivia è una bella ragazza bionda ammirata e corteggiata, di famiglia borghese lacerata da continui litigi tra i genitori, che lei non riesce a giustificare. Vuole frequentare l’Università a Londra. Grande amica di Omar.

Omar è figlio di genitori marocchini, moro e ricciuto, gira in Vespa, non ha una grande passione per lo studio e da grande vuole fare l’artista, “principe bello e irraggiungibile” agli occhi di Oliva che ne è innamorata.

Nina invece freme per Antonio, ma a lui interessano solo le donne del mito.

Il fine settimana li trascina in una impresa proibita, nel sottosuolo del monastero, oltre una vecchia botola a cui la zia ha proibito di avvicinarsi. Lei infatti ha già vissuto l’emozione della stanza delle ombre, con “figure inconsistenti che salgono dalle profondità della terra attraverso le fessure di una vecchia botola”. Tuttavia il richiamo della proibizione vince sulla paura.

Tra realtà, immaginazione ma soprattutto autosuggestione, inizia questa discesa in un mondo sotterraneo, buio, gelido, solo con l’aiuto di una torcia che mette in luce il passato con i suoi protagonisti più sventurati.

Si fanno incontri inattesi che riportano alla luce storie d’amore tragiche, prove reali della peste del milleseicento, laghetti sotterranei popolati da pantegane, documenti di chi ha fatto la campagna di Russia, rifugi antiaerei della seconda guerra mondiale. Si rivivono storie come se fossero attuali.

Tra esitazioni e incertezze la paura non riesce comunque a frenare i nostri quattro, che vagano tra i cunicoli, ormai ben lontani dal luogo di partenza.

Ma proprio in quell’isolamento, lontani dalla vita reale, in quel silenzio carico di odori di umido e di putrefazione, la percezione della realtà si modifica, le pareti si animano di ombre che silenziose si muovono, anche di ombre familiari, anche con un teschio in mano, poi silenziose scompaiono, quasi in una apertura sull’Ade virgiliano.

Sono la proiezione dei desideri, delle aspettative, della fervida immaginazione? Sono frutto di autosuggestione?

Simbolicamente la Dawan, in quello che ha tutte le caratteristiche di un romanzo per la fascia adolescenziale, offre invece la possibilità di riflettere sulla realtà che cade sotto i nostri occhi, sulla vita-sogno, sul mito della caverna di Platone.

La discesa nel sottosuolo è una discesa nel loro profondo: in mezzo a quella oscurità dove la torcia indica la strada, qualcuno si allontana in un meandro sconosciuto, ma arriva la salvezza. Solo lì i ragazzi trovano la giusta dimensione per svelare i propri sentimenti, per sopportare le delusioni, per accettare le differenze, per affrontare le verità.

Nella risalita dalla “caverna”, fra l’altro non facile, che rimanda ad Alice di Lewis Carroll, si scoprono diversi, capaci di affrontare la realtà e soprattutto di accettarla.

 

Marisa Cecchetti


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