Arte e dintorni
Maria Paola Forlani. Signac, les harmonies colorčes
01 Marzo 2021
 

Alla fine del XIX secolo, in piena rivoluzione scientifica e tecnologica, il giovane Signac, insieme a Seurat e Pissaro, adotta la tecnica puntinista, che “scompone” i colori e regola l’accostamento di piccole pennellate sulla tela con un effetto vibrante e luminoso. La liberazione del colore dalla forma, fin quasi all’astrattismo, è ora raccontata in una mostra al Musée Jacquemart-Andrè.

Fu un po’ una rivincita della razionalità contro le passioni, il successo dell’ottimismo sugli impeti tormentati dei sentimenti. Fu la scienza che apriva i suoi sterminati confini suggestionando con le sue leggi il campo impulsivo dell’arte. La lampadina, il motore a scoppio, il telefono, il grammofono, il tram, l’automobile, la bicicletta stavano cambiando la vita di tutti i giorni ma erano solo le conseguenze più visibili di quel flusso inarrestabile di scoperte scientifiche e conquiste tecnologiche che attraversarono la seconda metà del XIX secolo.

Non è dunque un caso se nel 1884, mentre Parigi si preparava a celebrare il centenario della rivoluzione francese cominciando a innalzare la Tour Effel, simbolo della nuova tecnologia costruttiva basata sul ferro e sull’acciaio, tre giovani pittori sensibili al mutamento dei tempi fondarono una società di artisti indipendenti, pronti a “rivoluzionare” la tecnica pittorica attraverso principi scientifici. Così Seurat, Signac e Pissaro dettero vita a un piccolo gruppo, quello degli “impressionisti scientifici” che, facendo tesoro delle nuove leggi dell’ottica, non univano più i colori sulla tavolozza, ma applicavano i pigmenti puri direttamente sulla tela, uno accanto all’altro, attraverso piccoli tocchi di pennello e secondo precisi accostamenti. In questo modo secondo le moderne teorie del chimico Michel Eugéne Chevreul, è l’occhio stesso, guardando l’immagine dalla giusta distanza, a mescolare i colori, liberandone la luce. Non più dunque, la riproduzione spontanea e immediata della natura, come facevano gli impressionisti che dipingevano “en plein air”, catturando le sensazioni visive. Una pittura più meditata, riflessiva, invece, della realtà rispettava le proporzioni, ma la rendeva più astratta, ricostruendola intellettualmente nell’atelier. L’obiettivo finale doveva essere la liberazione del colore, la sua indipendenza rispetto alla forma, anche a scapito della gestualità dei protagonisti, in cui movimenti restavano rigidi. Nello stesso modo le emozioni non erano più legate al soggetto, ma dovevano trasformarsi in emozioni ottiche. Una rivoluzione artistica che non fu immediatamente compresa, ma che tuttavia non rinnegò mai la discendenza dei precursori impressionisti, tanto da riconoscersi nel nome di “neoimpressionisti”.

Sì alla tradizione, dunque, ma guardando il presente. Tanto che lo stesso Signac nel 1885 volle partecipare ad alcuni esperimenti sul fenomeno della riflessione della luce bianca svolti nella manifattura dei Gobelins, storico laboratorio tessile di Parigi specializzato in arazzi, di cui Chevreul era direttore. Ed è proprio a Paul Signac, anticonformista, ribelle, anarchico e pioniere del neoimpressionismo che il Musée Jacquemart-Andrè di Parigi dedica una mostra importante presentando un insieme di circa settanta opere riunite da più generazioni di una famiglia di grandi collezionisti. Dagli esordi agli anni eroici della “mescolanza ottica”, dalla vita parigina ai colori forti del Midi fino alla luce trasparente della laguna veneziana, dai disegni, alle tele e infine gli ultimi acquarelli, in una carrellata cronologica che riapre anche il dialogo con gli artisti che condivisero l’avventura neoimpressionista. Seurat, Pissaro, Cross, Luce sono solo alcuni dei nomi più famosi che hanno fatto la storia della “decomposizione” del colore, e che oggi si confrontano di nuovo nel grande palazzo parigino di boulevard Haussmann.

«L’opera di Signac è molto ricca. Se il suo approccio tematico si concentra su fiume mare e battelli, lui si appassiona anche a tematiche diverse. Non solo la pittura, dunque, ma anche l’acquarello e il disegno. Soprattutto il suo stile evolve dall’impressionismo al neoimpressionismo vicino a Seurat, poi a un secondo neoimpressionismo, più libero e più colorato», spiega Marina Ferretti, curatrice della mostra insieme a Pierre Curie, conservatore del Musée Jacquemart-Andrè. «Si è dunque imposto un percorso cronologico per consentire al visitatore di seguire questo progresso espressivo».

Ma in tutte le sue esplorazioni stilistiche, la ricerca della luce e la liberazione del colore per Signac restano sempre un chiodo fisso. Non a caso, da giovane viziato, figlio unico di famiglia benestante, destinato a un’attività professionale, interruppe bruscamente gli studi di architettura dopo aver visto la mostra di Claude Monet. Era il 1880 e quella determinazione a braccare anche il minimo riverbero di luminosità che ossessiona il maturo artista suggestionò anche il giovane studente che, proprio in quell’occasione, decise di diventare un pittore. Le sue prime opere avvengono dunque nel segno dell’impressionismo, con il pennello che accresce la luce attraverso il vacillamento dei suoi tratti sulla tela. Fu invece l’incontro con Seurat, quattro anni più tardi, ad aprigli una nuova strada, quella del “pointillisme”, che prevede piccoli tocchi di colori puri, mai sovrapposti e accostati secondo la precisione scientifica indicata da chimici e fisici del tempo (non solo Eugéne Chevreul, ma anche Charles Blan e Ogden Rood). Vale a dire che i colori primari – rosso, viola e arancione – avrebbero prodotto nell’occhio in maniera automatica le tinte intermedie e secondarie, aumentandone la brillantezza. Se questa era scienza, “avventurieri” artistici Seurat e Signac azzardarono la loro proposta. Che ebbe seguaci importanti ma trovò anche molte resistenze.

Basta pensare che nell’ottava e ultima mostra degli impressionisti in rue Lafitte a Parigi, nel 1886, a queste opere “puntilliste” venne lasciata l’ultima sala, anche perché sembra che Monet e Renoir si fossero rifiutati di esporre i loro quadri acanto a quelli dei neoimpressionisti. D’altronde proprio il termine “pointillisme” venne al tempo utilizzato in maniera derisoria e rifiutato dagli artisti stessi. Comunque questi furono solo ostacoli momentanei. In realtà agli inizi del XX secolo Signac si era già conquistato un posto d’onore in Belgio, Olanda e Germania. In Francia, nel 1915, verrà nominato pittore ufficiale della marina militare. «È allora considerato come uno dei padri fondatori della pittura moderna, accanto a Cézanne, Gauguin e Van Gogh», racconta Marina Ferretti, ricordando che proprio la liberazione del colore era in quel periodo al centro del dibattito artistico, come dimostra la nascita del fauvismo in Francia, quella dell’espressionismo in Germania, senza dimenticare l’avvento dell’astrazione.

 

M.P.F.


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