Manuale Tellus
Luciano Angelini. Anniversario della morte di John Keats, il pił leopardiano dei poeti inglesi
23 Febbraio 2021
 

200 anni fa il 23 febbraio 1821 moriva a Roma il poeta inglese John Keats: «It comes like ice», disse all’amico pittore Severn che l’assisteva mentre esalava l’ultimo respiro. Era nato a Finsbury (Londra) il 31 ottobre 1795 da genitori di origine modesta. Keats era un giovane robusto, tanto che nell’estate del 1818 con l’amico Charles Brown intraprese un tour a piedi di oltre 600 miglia attraverso il Distretto dei Laghi e tutta la Scozia, il solo libro che avesse con sé era la Divina Commedia tradotta dal Cary. Era molto legato ai fratelli Tom e George e alla sorellina Fanny così come agli amici.1 La morte era di casa: a 7 anni muore il fratellino Edward di solo un anno, a 8 il padre per una caduta da cavallo, a 15 la madre di tubercolosi e a 23 il fratello Tom sempre di tubercolosi. Come vincere la morte sarà l’ardua impresa della sua poesia. A 14 anni Keats decide di aggiudicarsi tutti i premi di letteratura messi in palio dalla scuola alla fine di ogni semestre. Vi riesce dedicando interamente il tempo libero alla traduzione di migliaia di versi dal latino e dal francese, in particolare di Virgilio e di Fènelon. Inizia anche la traduzione integrale in prosa dell’Eneide. Dei poeti inglesi amò Spenser, Milton e soprattutto Shakespeare; studiò l’italiano attraverso la poesia dell’Ariosto. I poeti erano per lui i grandi della terra, e la poesia la sua aspirazione. Nel 1810 lascia la scuola e inizia l’apprendistato in chirurgia e farmacia. Nel 1816 abbandona la professione di medico appena intrapresa per dedicarsi completamente alla poesia.

«Mi accorgo che non posso vivere senza la poesia, l’eterna poesia»,2 scrive all’amico Reynolds.

Tre anni dopo nell’inverno del 1819 si ammala di tubercolosi. Nel 1820 con l’aggravarsi della malattia il medico gli consiglia il clima italiano. Gli amici fanno una colletta per pagargli il viaggio e il soggiorno in Italia. Il 13 settembre Severn decide di accompagnarlo. Il 18 partono. Dopo un mese di viaggio in condizioni estremamente disagevoli lungo la costa atlantica, la nave giunge a Napoli e deve sottostare a dieci giorni di quarantena nel porto. A metà novembre il poeta è a Roma e prende alloggio con Severn in Piazza di Spagna 26; dopo tre mesi muore. È sepolto a Roma nel Cimitero Protestante.3 Sulla tomba l’epigrafe che Keats stesso dettò all’amico Severn: Here lies one Whose name was writ in water. Oggi la casa dove trascorse gli ultimi giorni della sua breve vita è sede della Keats-Shelley Memorial House.

La poesia sarà lo scopo e la ragione di vita di Keats. La Grecia (l’urna greca) e la Natura (il canto dell’usignolo) con gli affetti del Cuore le fonti d’ispirazione: è lì dove sgorga spontanea la poesia. «Se la Poesia non viene naturalmente come le Foglie all’albero, meglio che non venga affatto».4 «L’Invenzione è la Stella Polare della Poesia, come la Fantasia le Vele, e l’Immaginazione il Timone».5

Intensity6 e negative capability7 costituiscono il cardine della sua filosofia. «Non sono mai riuscito a capire finora come si possa conoscere la Verità di una cosa attraverso un ragionamento logico, e tuttavia accade». «Oh per una vita delle Sensazioni, piuttosto che del Pensiero!»8

Imagination e feeling sono i concetti fondamentali della sua poetica: «Non sono sicuro di niente se non della Santità degli affetti del Cuore, e della verità dell’Immaginazione. Ciò che l’Immaginazione coglie come Bellezza deve essere verità, che esistesse prima o no, perché ho delle Passioni la stessa idea che ho dell’Amore: che sono tutte, al massimo della loro intensità, creatrici di pura Bellezza».9

L’Immaginazione non solo riflette la realtà, ma la illumina; e attraverso la sua visione getta una nuova luce sul mondo. Il tema della bellezza torna e ritorna in tutte le opere di Keats, ma la bellezza che abita il suo cuore conosce il dolore: di un bel volto di Dea, nell’Hyperion, dirà:

«how beautiful, if sorrow had not made

Sorrow more beautiful than Beauty’s self»10

 

Opere: le Odi, considerate dei capolavori: Ode to Psyche, Ode to a Nightingale, Ode on a Grecian Urn, Ode on Indolence, Ode on Melancholy, To Autumn; La Belle Dame Sans Merci, una bellissima ballata, capolavoro di grazia e di finezza; i Poemi: Endymion, Isabella, Hyperion (A Fragment), The Eve of St Agnes, The Eve of St Mark, The Pot of Basil, tratto da una novella del Boccaccio, Lamia, The Fall of Hyperion, l’opera teatrale Otho the Great; Canzoni e Sonetti.11

The Letters of John Keats,12 raccolte poi in volume, sono un classico nel suo genere, ed essenziali per comprendere e apprezzare pienamente la sua poesia: mettono in luce una forte personalità che lotta con una visione della vita umana essenzialmente tragica. Le lettere dedicate a Fanny Brawne, la donna di cui s’innamorò profondamente e che non poté mai sposare perché povero, sono uno sconcertante documento di struggente passione:

- “Vorrei poter credere nell’immortalità”.

- “Voglio che tu sappia quanto sono infelice per amor tuo”.

- “Il pensiero di lasciare la signorina Brawne è atroce – il senso dell’oscurità che s’approssima – eternamente vedo la sua figura che eternamente svanisce.”

- “La convinzione che non la rivedrò mai più mi uccide”.

- “Posso sopportare di morire, non posso sopportare di lasciarla. Dio! Dio! Dio!”

Tema dominante delle Odi è la contrapposizione tra caducità e sofferenza umana da un lato, e immortalità della bellezza dall’altro:

dall’Ode to a Nightingale (o dell’immortalità promessa dalla Natura):

Was it a vision, or a waking dream?

Fled is that music: – Do I wake or sleep?13

dall’Ode on a Grecian Urn14 (o dell’immortalità promessa dall’Arte):

Beauty is truth, truth beauty,” – that is all

Ye know on earth, and all ye need to know.15

L’Urna greca o il Canto dell’usignolo sopravvive all’uomo, e il pensiero di questa verità è una consolazione per il poeta, pur nella pena che è vivere e che non cessa mai:

Still wouldst thou sing, and I have ears in vain—

To thy high requiem become a sod.16

Ma il sogno di una visione di bellezza del mondo all’apparir del vero: la morte del fratello Tom e il presagio della propria fine imminente, svanisce. E sempre più vivo si fa nella poesia di Keats il senso della fugacità di quella bellezza che fu l’unica ragione della sua vita. Ora è Beauty that must die, è la Bellezza che deve morire: tutto è dolore, persino la gioia, persino la bellezza e il piacere. Tutto finisce nel nulla ineluttabilmente.

Par di sentire Leopardi di A Silvia:

All’apparir del vero

Tu, misera, cadesti: e con la mano

La fredda morte ed una tomba ignuda

Mostravi di lontano.

 

Ode alla Malinconia17

I

No, no, non andare al Lete, né torcere

L’acònito, dalle forti radici, per il suo succo velenoso;

Né porgere la tua pallida fronte al bacio

Dell’àtropa, rosso grappolo di Proserpina;

Non fare il tuo rosario di bacche di tasso,

Né lasciare lo scarafaggio, né la falena della morte essere

La tua lugubre Psiche, né la civetta lanuginosa

Una compagna nei misteri del tuo dolore;

Perché ombra su ombra verrà troppo assonnatamente

E annegherà la vigile angoscia dell’anima.

 

II

Quando lo scoppio della malinconia cadrà

Improvviso dal cielo come una nuvola piangente,

Che ristora tutti i fiori col capo reclinato,

E nasconde la verde collina in un sudario d’Aprile,

Sazia allora il tuo dolore con una rosa mattutina,

Oppure con l’iride che fa l’onda con la sabbia impregnata di sale,

O con la varietà delle tonde peonie;

O se la tua fanciulla una forte ira dimostra,

Imprigiona la sua dolce mano, e lasciala sfuriare,

E pasciti a fondo a fondo dei suoi occhi senza pari.

 

III

Ella dimora con la Bellezza - la Bellezza che deve morire;

E con la Gioia, la cui mano è sempre sulle labbra

Per dire addio; e vicino al Piacere che fa male,

Mutando in veleno mentre la bocca sugge come l’ape:

Sì, nel tempio stesso del Piacere

La velata Malinconia ha il suo altare sovrano,

Benché non vista se non da colui la cui strenua lingua

Sa schiacciare il grappolo della Gioia contro il suo fine palato;

La sua anima gusterà la tristezza del suo potere,

E sarà tra i suoi cupi trofei appesa.

 

Le Odi nel loro disperato anelare all’eternità sembrano trovare una catarsi serena nell’Ode all’Autunno, l’ultima e forse la più perfetta, anche per il suo straordinario rigore formale, e nonostante riproponga il tema della caducità della pur bellissima realtà della vita:

Where are the songs of spring? Aye, where are they?

Think not of them, thou hast thy music too –18

«Era un Greco», disse di Keats il poeta P. B. Shelley.

Nei suoi versi laboriosissimi «trema il disio de la bellezza antica», Gabriele D’Annunzio.

«A thing of beauty is a joy for ever», del poema Endymion l’incipit. Un verso che come un lume brilla nella notte: goditi la vita! è eterna.

 

Luciano Angelini

 

 

1 «But what, without the social thought of thee,/ Would be the wonders of the sky and the sea?» “Ma senza il socievole pensiero di te/ cosa sarebbero le meraviglie del cielo e del mare?” Dal sonetto To my brother George.

2 Lettera a Reynolds, 18 aprile 1817.

3 Per desiderio di Keats stesso il Severn si recò a vedere il luogo dove fra breve l’amico doveva essere sepolto. «Egli espresse piacere, ricorda il pittore nelle sue memoria – alla mia descrizione della località di Caio Cestio per l’erba e per i molti fiori, specialmente per le innumerevoli violette – anche per un gregge di capre e pecore ed un giovane pastore – tutto questo lo interessava intensamente. Le violette erano i suoi fiori preferiti e si rallegrò nell’udire che ne erano coperte le tombe. Mi assicurò che già sentiva sopra di lui le violette fiorite ». (Elena Buonpane, John Keats. Liriche scelte, Società Editrice Dante Alighieri p.a., 1969).

4 «That if Poetry comes not as naturally as the Leaves to a tree it had better not come at all» (Lettera del 27 febbraio1818).

5 Lettera, A Benjamin Bailey, 8 ottobre 1817.

6 “L’eccellenza dell’arte consiste nell’intensità, che sa dissolvere ogni sgradevolezza, tenendola ben stretta alla Bellezza e alla Verità”. Lettera a George e Thomas Keats, 21 dicembre 1817.

7 La capacità negativa e cioè quando un uomo è capace di essere nell’incertezza, nel mistero, nel dubbio senza l’impazienza di correre dietro ai fatti e alla ragione. (Lettera a George e Thomas Keats, 21 dicembre 1817).

8 Lettera, A Benjamin Bailey, 22 novembre 1817.

9 «I am certain of nothing but of the holiness of Heart’s affections and the truth of Imagination — What the Imagination seizes as Beauty must be truth — weather it existed before or not — for I have the same Idea of all our Passions as of Love they are all in their sublime, creative of essential Beauty». (Lettera a Benjamin Bailey, 22 novembre 1817).

10 Hyperion, I, 35 sg., “come bello, se il dolore non avesse fatto il Dolore più bello della stessa Bellezza”.

11 Dal sonetto Bright star dedicato a Fanny, ha preso il titolo il film del 2009 scritto e diretto da Jane Campion su gli ultimi tre anni di vita di Keats.

12 Le frasi o i brani delle lettere riportati nel testo sono presi dal libro Letters of John Keats edito da R. Gittings, Oxford.

13 “Fu una visione, o un sogno ad occhi aperti?/ Svanita è quella musica: – Sono sveglio o dormo?”

14 L’ispirazione gli è venuta dopo aver visto al British Museum i celebri fregi del Partenone, gli Elgin Marbles.

15 «“Bellezza è verità, verità bellezza,” – è tutto ciò/ Che sapete sulla terra, e tutto ciò che avete bisogno di sapere». È nella bellezza che per Keats s’identifica l’essenza e la ragione del mondo.

«La “verità” di cui si tratta non è tale che sia individuabile in termini logici, nello stesso modo la “bellezza” è niente più e niente meno ciò che colma di sensi umani il cuore, unica risposta possibile a una pena, che non cessa perciò. Un interrogativo infinitamente ansioso, e infinitamente capace di un’austera, labile e risorgente consolazione, sul destino dell’uomo che passa, circondato da segni che consolarono prima di lui, e consoleranno dopo di lui, altri a lui simili». Eurialo De Michelis in Keats poesie, Newton Comton Editori, 1979.

16 “Tu canteresti ancora, ed io avrei orecchie invano –/ Al tuo alto requiem divenuto una zolla”.

17 Traduzione di Luciano Angelini.

18 “Dove sono i canti di primavera? Ehi dove sono?/ Non pensare a loro, tu pure hai la tua musica –”


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