Arte e dintorni
Maria Paola Forlani. Ottilie Wilhemine Roederstein
05 Dicembre 2020
 

In una mostra che si tiene fino al 5 aprile 2021, la Kunsthaus di Zurigo ricostruisce approfonditamente la figura e l’opera di Ottoline Wihelmine Roederstein (1859-1937), la più importante pittrice svizzera fra Ottocento e Novecento, contemporanea di Holder e Amiet e ritrattista di valore. Nota ai tempi (nel 1912 aveva rappresentato la Svizzera alla mostra dell’associazione Sonderbund di Colonia), è poi caduta in un cono d’ombra, tanto che l’ultima antologica risaliva addirittura al 1938.

Nella rinnovata attenzione per le artiste donne, che caratterizza i nostri anni, era ora che si tornasse a parlare di Ottilie Roederstein, un’artista vissuta a cavallo fra Otto e Novecento e divisa fra il mondo svizzero e quello tedesco. Del resto era nata a Zurigo da genitori che venivano dalla Germania. I suoi primi quadri possono sembrare un po’ accademici, come Il vincitore coronato d’alloro e pronto a sguainare la spada che dipinge nel 1898, ma in realtà opere come quelle non erano diverse da quanto si faceva allora nel mondo svizzero-tedesco, che in maggioranza era rimasto estraneo al realismo e al simbolismo. Non bisogna dimenticare, poi, le difficoltà che in quel periodo incontravano le donne, quando volevano dipingere sul serio e non solo per passatempo salottiero. Ottilie le incontra anche lei, durissime, a cominciare dall’opposizione della madre, tanto che, appena potrà, aprirà a Francoforte la Schiller-schule, una scuola d’arte solo per ragazze.

Le opere migliori sono i ritratti. Nelle Tre età della vita, 1900, il tema allegorico si trasforma in un’analisi di tre diverse psicologie: ancora fiducioso il ragazzo, volitivo e con uno sguardo di sfida l’uomo maturo, rassegnato e senza illusioni l’anziano. Vivacissimo è poi il suo Autoritratto, 1904, dove Ottilie si rappresenta in vesti maschili, con un cappello che nasconde la capigliatura bionda e un cravattino. Rimangono sullo sfondo, quasi irriconoscibili, i fiori che all’epoca ricorrevano spesso nei ritratti di donne, quasi a sottolineare la condizione gradevolmente, ma passivamente decorativa.

 

M.P.F.


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