Lo scaffale di Tellus
Giuseppina Rando. Nota a margine di “La misura del tempo” di Gianrico Carofiglio
01 Agosto 2020
 

Gianrico Carofiglio

La misura del tempo

Einaudi, 2019, pp. 288, € 18,00

 

La misura del tempo di Gianrico Carofiglio, secondo classificato alla LXXIV edizione del Premio Strega, un romanzo sui generis che accompagna il lettore in un affascinante viaggio ora tra i meandri insidiosi della giustizia, ora tra quelli non meno contorti dell’introspezione del sé intanto che il tempo, corrodendo persone e cose, distilla le umane vicende.

Un viaggio che si ripete nel tempo. Un tempo come entità che travolge e si dilata fino a scomparire.

Col passare del tempo alcuni luoghi della città – la pineta è uno di questi – mi ricordano sempre più intensamente sensazioni e fantasticherie del passato remoto. Un’epoca di stupore. Ecco certi luoghi della città mi fanno sentire nostalgia per lo stupore. Essere storditi dalla forza di qualcosa.

Mi piacerebbe tanto, se capitasse di nuovo. Forse potrebbe essere proprio lo stupore – se fossimo capaci di impararlo – l’antidoto al tempo che accelera in questo modo insopportabile… (p. 266)

Qual è la misura del tempo per l’autore? È ciò che opera catarsi e sublimazione, quel tempo che, come nel romanzo Le tre del mattino, diventa rimpianto, crescita, notte che fatica a far posto all’alba.

Leitmotiv del romanzo, il tempo segna, come in un crescendo, il raggiungimento di quella maturità che diventa negazione stessa del tempo perché in essa tutto diventa un eterno presente.

il tempo non è un’entità lineare così come l’invecchiamento non è un processo lineare… non è un’entità comprensibile. Nessuno lo capisce davvero. Nessuno è capace di definirlo…

Tempo declinato nel ricordo, privilegio di un’età che anche se trascorsa e apparentemente persa, vive ancora nel rimpianto dell’amore che, da amore per una donna, si trasforma in amore per la giovinezza perduta nella quale digressione e trasgressione lasceranno presto il posto ad una più matura, ma sempre vitale dimensione della vita.

Definirei La misura del tempo un bel romanzo di formazione in quanto trama, narrazione e personaggi sono funzionali ad esprimere valori etici in relazione ai temi della giustizia e alla sua applicazione. Carofiglio, infatti, si interroga sul ruolo della magistratura, sulla deontologia degli avvocati difensori, sul sistema giudiziario e sulle responsabilità di questi soggetti di potere nei confronti della società e degli individui.

Tempo nelle sue plurime sfaccettature. Il tempo giudiziario, il tempo della verità, il tempo della verde età, il tempo della maturità, il tempo dell’amore sono alcune delle dimensioni che Carofiglio analizza mediante le vite di Lorenza, di suo figlio e dell’avocato Guido Guerrieri (alter ego dell’autore) ormai più che cinquantenne.

Guido è cambiato, si percepiscono le infiltrazioni dello scorrere del tempo nel suo carattere; è divenuto molto riflessivo e si sente debole e dubbioso. Proprio a questo punto ricompare Lorenza che negli anni ’80 era stata, per un breve periodo, la sua compagna. Prenota un appuntamento lasciando solo il cognome e quando si presenta allo studio Guido non la riconosce subito, così tanto è cambiata. Della bella e affascinante donna di un tempo nulla è rimasto.

Dopo 26 anni, mostra marcatamente i segni del tempo: si arrangia con lavori precari, è una figura scialba, ingrigita, dimagrita, non è più la donna che ha fatto sognare e ingelosire l’avvocato, allora giovanissimo, ora più maturo, distaccato, quasi senza rimpianti.

Il tempo ha inesorabilmente cancellato ricordi e nostalgie, proprio quel tempo, scrive Carofiglio, che scorre lento in gioventù, pieno di avvenimenti e di novità, e che appare invece passare più velocemente nella vecchiaia, monotona, i giorni sempre uguali, una via che si restringe poco a poco in un sentiero senza sbocchi.

Di quel lontano, incorporeo e immutato ricordo di lei, ora, ne è rimasto solo un’insegnante sessantenne precaria, consumata dalla nicotina e dai debiti che ha dovuto contrarre per far fronte alle tante e ininterrotte spese legali necessarie per difendere il tanto amato e problematico figlio Iacopo, in prigione con l’accusa di omicidio.

Lorenza fa a Guido una disperata richiesta di aiuto: il processo di appello è alle porte e, reduce da una improduttiva difesa, vede nel suo vecchio amante l’unica possibilità per cercare di rendere giustizia a quel figlio che nel frattempo ha perso ogni fiducia nei confronti della legge e non vuole più collaborare.

L’avvocato Guerrieri decide di accettare l'incarico, nonostante gli sia subito molto chiaro che le speranze di ribaltare la sentenza siano ridotte al minimo.

Nel racconto, in prima persona, Gianrico Carofiglio dipana abilmente una trama introspettiva, caratterizzata da molte argomentazioni giudiziarie, magistralmente descritte.

Un romanzo che si rivela non la solita indagine investigativa, ma un inaspettato spaccato intimo nel quale vengono valorizzate le debolezze umane; uno sguardo malinconico al passato, ancorato a quei sogni, a quegli ideali che hanno origini lontane.

La figura dell’avvocato Guerrieri è così ben descritta che ogni lettore può intravedere riflessi della personalità dell’autore: un personaggio da sembrare reale, costantemente afflitto da dilemmi, vittima di debolezze e capace di piccoli atti d’eroismo.

Da evidenziare inoltre la bravura con la quale l’autore svolge il “processo d’appello” e l’analisi minuziosa della ricerca di elementi nuovi atti a capovolgere la precedente sentenza; altra prova del rigore con cui Gianrico Carofiglio ha svolto la sua professione di magistrato che nel romanzo palesemente ha preso il sopravvento sullo scrittore, nonostante lo stile fluido del libro. Una scrittura lineare e piacevole i cui piani temporali si avvicendano senza sosta coinvolgendo il lettore che si trova a condividere con l’avvocato Guerrieri dubbi e perplessità.

Non mancano pagine strettamente giuridiche che potrebbero tediare chi legge, sorpreso poi dal finale imprevisto e inimmaginabile che, come spesso accade in questo autore, lascia un retrogusto dolce amaro.

Da magistrato Carofiglio ha cercato continuamente la verità. Non sappiamo se l’abbia sempre trovata. Fa riflettere, tuttavia, la bella definizione di verità di Elias Canetti che l’autore inserisce a p. 265 del romanzo:

La verità è un mare di fili d’erba che si piegano al vento, vuol essere sentita come movimento. È una roccia solo per chi non la sente e non la respira.

 

Giuseppina Rando


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