Lo scaffale di Tellus
Maria Lanciotti. “Fantascienza da bar” di Petra VoXo 
Raccolta di racconti senza scadenza
01 Luglio 2020
 

L'unica maniera per scoprire i limiti del possibile è avventurarsi poco al di là di essi nell'impossibile” (seconda legge di Clarke)

 

 

Una sala immersa in una luce blu, sul palco musicisti di diversa origine e connotazione planetaria, l’ingresso atteso del celeberrimo sassofonista dalla pelle blu, levigata, e inizia il concerto.

Ci troviamo alle prime pagine del libro di Petra Voxo Fantascienza da bar, raccolta di racconti quasi interamente ambientati su Ganimede ‒ il maggiore satellite di Giove o il prototipo di un mondo ideale? ‒ incerti se tuffarsi nella narrazione di storie aliene alla scoperta di altre dimensioni o trangugiarsi la lettura come un fantastico drink.

Una lettura, va detto, piuttosto impegnativa se intesa come un’escursione in altre dislocazioni, sorprendenti ma non spiazzanti, in un percorso disseminato di indizi e depistaggi dal sapore giallista ma non troppo, quasi a voler mimetizzare ‒ o minimizzare? ‒ l’intreccio di componenti tra l’umano e l’androide, tra biologia e biomimetica e insospettabili derivazioni e mutamenti che, paradossalmente, riconducono alla matrice comune, alla causa originaria di quel “soffio” chiamato anima, o psiche, appannaggio di ogni essere scientemente consapevole, qualunque sia la sua collocazione nell’universo.

Assassinio di un ex-terrestre al Broadway-Enfer il titolo del primo racconto, il più corposo della raccolta (qui accennato all’inizio), che partendo da un teatro a luci blu e l’entrata in scena di Aplavix Koxon, sassofonista di fama galattica, si tingerà di giallo e noir per rivelare segreti ignobili e crimini mostruosi di cui anche la memoria è stata cancellata, e con essa la genialità tipica di un mondo devastato. “Si è vestito da uomo che si traveste per non farsi riconoscere!” una battuta di Koxon, indicativa dei mascheramenti dei personaggi mossi dall’autrice, abile nel tendere trame, comunque sempre funzionali, con cui dovrà destreggiarsi il lettore.

Ero l’unica umana a inventare storie su un cimitero di borracce? altro fantasioso titolo per il secondo racconto, dove da un comune terrazzo o balcone, fra terrestri oggetti antiquati e umanissime affezioni, caracollare “nell’infinito bagliore di pianeti sconosciuti” e tra un black-out e l’altro in un “tempo nullico” ridarsi un senso e un obiettivo: “Quali mirabili improperi si addicono a chi trascorre il tempo senza sognare!”.

Non è che avessi voluto, mi hanno solo seguito e premuto zac. Che stronzi, il terzo titolo sulla storia di esodi senza ritorno e la colonizzazione di satelliti disabitati, con la nostalgia per il bene perduto ‒ eterno Eden ‒ e di quell’“azzurro terrestre” di cui solo resta memoria di dolore e senso di colpa per la deprecabile condotta umana che i colori li ha spenti. Il linguaggio degli ibridi si è fatto impronunciabile, ricorrente e triste il pensiero delle coppie UmanK nel rimpianto di quel che avrebbe potuto essere, mentre “La cosa più intima che fanno è piangere insieme”.

Seguono Intermittenza terrestre e altre storie, al lettore il piacere di scoprirle fino Sulla strada che porta, magari facendosi inserire ali di pollo presso la Sezione Cambiamenti Psicocorporei a Libera Scelta. A duemilacentosette chilometri nel deserto.

Tutti i racconti sono stati scritti dall’autrice ‒ nata a Roma negli anni ’80 ‒ nel 2009 e lasciati a maturare nel pc. E oggi che finalmente li ha portati alla luce, vigorosi, limpidi e freschissimi come appena concepiti, prova di una qualità che resiste nel tempo, non resta che ringraziarla e godere di un viaggio improbabile ricco di possibilità, a patto di saper volare anche senza ali e camminare anche tra le stelle. Sperando d’imbattersi “in sassi linguistici dalla provenienza indefinibile”, come nello stile di Petra.

 

Maria Lanciotti


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