In tutta libertà
Gianfranco Cercone. “Prossima fermata: Fruitvale Station” di Ryan Coogler
16 Giugno 2020
 

Una volta i cineclub e i cosiddetti cinema d’essai proponevano rassegne di film. Oggi quelle sale sono quasi scomparse. Quelle superstiti sono chiuse per l'emergenza sanitaria. Ne fanno a loro modo le veci le piattaforme digitali. Per esempio Chili TV ha creato una sezione dal suo vastissimo catalogo, sotto il nome del movimento antirazzista “Black Lives Matter”.

Tra i titoli presenti in tale sezione, piuttosto nutrita, c’è un film americano indipendente, uscito anche nelle sale italiane un po’ in sordina qualche anno fa – ma al festival di Cannes aveva vinto un premio come migliore opera prima – il cui titolo italiano è: Prossima fermata: Fruitvale Station, diretto da Ryan Coogler.

È un film di finzione che prende spunto da un caso di cronaca in parte simile a quello in cui è stato vittima George Floyd.

Nella notte del 31 dicembre 2008, Oscar Grant, un ragazzo nero di 22 anni, fu ucciso in una stazione della metropolitana nella città di Oakland, in California, nel corso del suo arresto; mentre si trovava disteso a terra, prono, con il ginocchio di un poliziotto che gli premeva sul collo: ucciso, in questo caso, da un colpo di pistola sparato, a quanto pare accidentalmente, da un altro poliziotto bianco.

L’esito, tragico, della vicenda, è preannunciato dal film già in apertura, attraverso le immagini dell’omicidio riprese dal cellulare di un testimone.

Il film, a ben guardare, ha un’impostazione originale, che serve a evidenziare una verità semplice ma essenziale.

Ci si poteva forse aspettare un’analisi del razzismo che circolava nella città. Oppure un’idealizzazione, una specie di santificazione, della vittima. Ebbene, il film evita entrambe le strade, la prima delle quali sarebbe stata, anche da un punto di vista artistico, legittima. Ma il racconto evita di affrontare direttamente il tema del razzismo. Vi si riferisce scherzosamente quando mostra i biglietti d’auguri venduti in una cartoleria che mostra famiglie tutte composte di bianchi. Ma bianchi e neri perlopiù interagiscono amichevolmente nel corso del racconto. E anzi una delle scene più riuscite del film – che, in generale, ha la virtù di imitare la vita quotidiana senza dare un senso di artificio – si ha quando una piccola folla multietnica bloccata per un contrattempo in un vagone della metropolitana, festeggia allegramente tutta insieme, danzando e brindando, la fine dell’anno.

Il film non consiste in nient’altro che nella cronaca dell’ultima giornata di vita della vittima, dalla mattina alla notte, fino alle prime ore del giorno successivo. Una cronaca in cui abbiamo modo di fare conoscenza con il ragazzo, con sua moglie, con sua figlia ancora bambina, con sua madre, con altri parenti e amici.

Apprendiamo così che egli tradiva sua moglie, di cui pure era innamorato; che spacciava droga (per questo reato era anche finito in galera); che era stato licenziato dal supermercato in cui lavorava per le sue assenze ingiustificate; e che aveva nascosto il licenziamento alla famiglia.

Allo stesso tempo, però – forse perché l’ultimo dell’anno è il giorno dei buoni propositi – si era ripromesso di non spacciare più; aveva tentato, invano, di farsi riassumere al supermercato; aveva confessato alla moglie il proprio licenziamento e aveva ammesso di averla tradita. Forse nei giorni successivi avrebbe ripreso a spacciare e a mentire; o forse no. Ma ciò che importa è che il racconto ci immette nei suoi dubbi, in quella lotta interiore tra il bene e il male in cui consiste la vita morale di ogni individuo. Ed è proprio questo, credo, l’intento del racconto: attraverso la descrizione della sua intima moralità, ci dà il senso dell’individualità del personaggio, lo sottrae alla superficialità degli stereotipi o all’indefinitezza dell’anonimato.

Ora, cosa accade invece al momento del suo arresto, in seguito a un tafferuglio scoppiato all’interno della metropolitana non per sua responsabilità? Accade che, manifestamente, agli occhi dei poliziotti che sembrano come accecati dal furore, lui e i suoi amici appaiono soltanto come neri, come possibili teppisti o spacciatori. E se è possibile voler uccidere un nero, un teppista o uno spacciatore, sarebbe forse impossibile voler uccidere un individuo.

Il protagonista è efficacemente interpretato da un attore che in questa stagione cinematografica abbiamo avuto modo di apprezzare nel film Il diritto di opporsi – Michael B. Jordan; che si ritrova nei film successivi dello stesso autore, come ad esempio Creed.

 

Gianfranco Cercone

(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 13 giugno 2020
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