Oblò svizzero
Daniele Dell’Agnola: Intervista a Glauco Mauri in scena in Ticino con ‘Delitto e castigo’
29 Gennaio 2007
 
 

Il mondo dell’informazione, carburato dall’audience, racconta, a volte commenta in modo spettacolare scandali finanziari, scismi politici, reati, guerre, delitti, fatti dell’uomo che in un qualche modo toccano la collettività. Per conoscere una dimensione “straordinaria”, che metta a nudo l’uomo e la sua fragilità (evitando magari i reality, che rappresentano una “non narrazione” di gente ordinaria), è però necessario leggere quei testi che tendono a «relegare l’attualità al rango di rumore di fondo, ma nello stesso tempo di questo rumore di fondo non possono fare a meno»: i classici. Delitto e castigo è uno di quei libri che «esercitano un’influenza particolare sia quando s’impongono come indimenticabili, sia quando si nascondono nelle pieghe della memoria mimetizzandosi da inconscio collettivo o individuale». Sono parole di Italo Calvino, Perché leggere i classici, ed. Mondadori, Milano 2006, pp. 5-13.

Diciamo subito che Delitto e castigo, nella versione teatrale di Glauco Mauri (Porfirij) e con Roberto Sturno nei panni di Raskolnikov, in scena venerdì e sabato a Locarno, ieri a Chiasso, è un bellissimo mosaico di dialoghi, monologhi, introspezione, pensiero che, giustamente, mette al centro l’uomo e le sue fragilità, le sue pene, più che l’azione del delitto.

 

Incontro Glauco Mauri alle otto meno un quarto. Camerino. Quest’uomo ha alle spalle migliaia di spettacoli; Shakespeare, Beckett, Ionesco, Pirandello, Sofocle: il suo curriculum è illuminato di classici letti, discussi, rielaborati, restituiti al pubblico nella meravigliosa dimensione della messinscena teatrale. Nel caso di Delitto e castigo si trova però ad operare su un testo narrativo complesso.

 

Come vive queste esperienze di rilettura scenica che… «…trovi mastodontiche, presuntuose e irrealizzabili?»

Per un uomo di teatro che già nel 1954 ebbe grande successo interpretando Smerdjàkov nei Fratelli Karamazov? Direi di no… «Vede, innanzitutto io credo che sia giusto, in un momento di penuria drammaturgica mondiale, portare sulla scena dei testi che possono parlare dei problemi di tutti i tempi, e che possono essere resi in scena con la sensibilità dell’uomo di oggi. Io amo molto rivisitare i classici in maniera non devastante, ma con la libertà che deve avere un interprete. Registra quell’affare?».

Certo. Non interpreta ma registra.

«Ho navigato per anni nel meraviglioso universo di Dostoevskij, autore che insieme a Beckett, Shakespeare mi ha formato anche come uomo. Quando ero studente a Pesaro rimasi colpito da una frase tratta dai Fratelli Karamazov che ho inserito in Delitto e castigo, quando Dimitri dice al fratello “Il Diavolo e Dio sono sempre in lotta fra di loro, il loro campo di battaglia è il cuore degli uomini”. Mi aveva colpito questa immensa e tenera comprensione che Dostoevskij ha per l’uomo, impasto di luce e fango. La società a volte ci plasma a commettere certi delitti…».

Il tormento, la pena di Raskolnikov non le fa pensare a Kafka, allo scontro tra il signor K. del Processo con le strutture della società e delle leggi? «Sì. Prima di decidere con Roberto Sturno di fare Delitto e castigo, ero proprio indirizzato sul Processo: Roberto sarebbe molto adatto nel Processo, stupenda opera di estrema attualità… poi abbiamo deciso per Delitto e castigo».

Come trasportare, dunque, la pagina scritta alla scena? «Ho preso una sezione del romanzo, cercando di metterci alcuni dei problemi che Dostoevskij espone nei suoi romanzi. Nel 1864, in gravi difficoltà finanziarie dovute a perdite al gioco, scrisse al direttore del giornale Russkij Vestnik, ottenendo un anticipo per la pubblicazione a puntate del suo nuovo romanzo Delitto e castigo. “Si tratta del resoconto psicologico di un delitto”, spiega. Sono partito da questo per inquadrare l’opera» .

Nel mettere in scena l’opera, ha interpretato Raskolnikov come superuomo?

«Raskolnikov è l’uomo. Roberto Sturno (con il quale lavoro da ventisei anni), affrontando il personaggio, mi parlava della difficoltà nel chiudere in un cerchio il personaggio. Raskolnikov è l’uomo con tutte le sfumature: dalla tenerezza alla rabbia, alla disperazione, la solitudine, l’amore, il dubbio».

 

Daniele Dell'Agnola

(da La Regione Ticino, lunedì 29 gennaio 2007)


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