Arte e dintorni
Maria Paola Forlani. Antonio Ligabue 
A Parma, Palazzo Tarasconi, fino al 27 dicembre
16 Maggio 2020
 

Tutta la pittura di Antonio Ligabue (Zurigo, 1899 – Gualtieri, 1965) è presente nella mostra autobiografica di Parma a Palazzo Tarasconi, aperta fino il 27 dicembre (ora, momentaneamente, chiusa per il coronavirus), a cura di Vittorio Sgarbi, Marzio Dell’Acqua e Augusto Agosta Tota.

Qualunque soggetto abbia messo sulla tela, che fosse un autoritratto o un animale selvaggio, un paesaggio o una scena di vita quotidiana, Ligabue ha dipinto in ultima analisi sempre e solo la sua anima, l’emarginazione e l’angoscia di una vita povera ed errabonda, la fatica e il dolore che illuminano magnificamente quel male di vivere che nel 1925 aveva descritto anche Eugenio Montale nel suo Ossi di seppia.

Reso celebre nel 1977, dodici anni dopo la sua morte, dal grande successo di uno sceneggiato in tre puntate mandato in onda dalla Rai, diretto da Salvatore Nocita e interpretato da Flavio Bucci, recentemente scomparso, Ligabue è stato il protagonista di una vita romanzata, accompagnata dalla presenza costante della miseria e della follia, che sembra uscita dalla penna di un grande scrittore. Proprio in questi giorni era uscito sugli schermi cinematografici un nuovo film biografico, Volevo nascondermi, con Elio Germano e la regia di Giorgio Diritti, mentre l’editore Chiarelettere ha mandato nelle librerie Il genio infelice, il romanzo della vita di Ligabue scritto dal giornalista Carlo Vulpio.

Antonio Ligabue nacque a Zurigo, in Svizzera, il 18 dicembre del 1899 da Maria Elisabetta Costa, originaria di Cencenighe Agordino (provincia di Belluno) e venne registrato all’anagrafe con il cognome della madre. Il 18 gennaio 1901 la madre si sposò con Bonfiglio Laccabue, che il 10 marzo successivo riconobbe il bambino dandogli il proprio cognome; Antonio, però, divenuto adulto, preferì essere chiamato Ligabue (per l’odio che nutriva verso il Bonfiglio).

Già da piccolo Ligabue non visse mai con la sua vera famiglia: infatti, sin dal settembre del 1900 venne affidato a Johannes Valentin Göbel ed Elise Hanselmann, una copia senza figli di svizzeri tedeschi, che l’artista considerò sempre come propri genitori.

A causa delle disagiate condizioni economiche e culturali della famiglia adottiva, furono costretti a continui spostamenti dovuti alla precarietà del lavoro. Quindi, l’infanzia del giovane Antonio fu caratterizzata da grandi disagi, ai quali si univano le malattie di cui era affetto (il rachitismo e il gozzo), condizioni che risultarono nella compromissione dello sviluppo fisico, mentale e psichico del futuro artista. Il carattere difficile e le difficoltà negli studi lo portarono a cambiare scuola varie volte: prima a San Gallo, poi a Tablat e infine a Marbach. Da quest’ultimo istituto, tuttavia, venne espulso dopo soli due anni, nel maggio 1915, per cattiva condotta. Nell’istituto, in ogni caso, Ligabue impara a leggere con una certa velocità, e pur non essendo capace in matematica e in ortografia, trova costante sollievo nel disegno. Ritornato nuovamente nella famiglia adottiva, si trasferirono successivamente a Staad, dove condusse una vita piuttosto errabonda, lavorando saltuariamente come bracciante agricolo.

Tra il gennaio e l’aprile del 1917, dopo una violenta crisi nervosa, fu ricoverato per la prima volta in un ospedale psichiatrico a Pfäfers.

Nel 1919, dopo aver aggredito la madre adottiva durante una lite, su denuncia della stessa, venne espulso dalla Svizzera. Venne inviato in Italia e il 9 agosto giunse a Gualtieri, luogo d’origine del padre Bonfiglio Laccabue. Tuttavia non sapendo una parola d’italiano, fuggì nel tentativo di rientrare in Svizzera, ma venne ritrovato e ricondotto a Gualtieri, dove visse grazie all’aiuto dell’Ospizio di Mendicità Carri. Successivamente continuò, come faceva in Svizzera, a praticare una vita nomade, lavorando saltuariamente come manovale o bracciante presso le rive del Po. Proprio in quel periodo incominciò a dipingere. L’espressione artistica, infatti dava sollievo alle sue ansie, mitigava le sue ossessioni e riempiva la sua solitudine.

Ma fu nel 1928 che, grazie all’incontro con Renato Marino Mazzacurati, che ne comprese l’arte genuina e gli insegnò l’uso dei colori a olio, Ligabue giunse alla scelta di dedicarsi completamente alla pittura e alla scultura.

Nel 1937 fu ricoverato nell’ospedale psichiatrico San Lazzaro di Reggio Emilia, a causa dei suoi stati maniaco-depressivi, che sfociavano talvolta in attacchi violenti autolesionistici o contro altri; in questo ospedale ci tornerà altre due volte. Dopo la sua seconda permanenza, venne fatto dimettere dallo scultore Andrea Mozzali, che lo ospitò a casa sua a Guastalla. Durante la seconda guerra mondiale fece da interprete alle truppe tedesche. Nel 1945, per aver percosso con una bottiglia un militare tedesco, dovette rientrare un’altra volta all’ospedale di Reggio Emilia. Uscito dall’ospedale, soggiornò alternativamente presso il ricovero di mendicità Carri di Gualtieri o in casa di amici.

Sul finire degli anni cinquanta ebbe inizio il periodo più prolifico per l’artista e, dopo la sua presenza in mostre collettive, presero avvio anche le prime mostre personali. Nel 1955, infatti, tenne la sua prima mostra personale a Gonzaga. Nel 1961, invece, si procedette all’allestimento dell’esposizione alla Galleria La Barcaccia di Roma, che ne segna la consacrazione nazionale.

Il 18 novembre 1962 l’artista fu colpito da una emiparesi e, dopo essere stato curato in diversi ospedali, trovò nuovamente ospitalità presso il ricovero Carri di Gualtieri, dove morì il 27 maggio 1965.

«Il rimpianto del suo spirito, che tanto seppe creare attraverso la solitudine e il dolore, è rimasto in quelli che compresero come sino all’ultimo giorno della sua vita egli desiderasse soltanto libertà e amore».

(Epitaffio sulla tomba di Antonio Ligabue a Gualtieri)

 

M.P.F.


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