Pianeta jazz e satelliti
Roberto Dell’Ava. Ricordando Lee Konitz
12 Maggio 2020
 

Il carattere aspro di Konitz era proverbiale, tant’è che in questi giorni sui social è un florilegio di aneddoti di altri musicisti che hanno interagito con lui a vario titolo. Su tutto però è rimasta “famosa” la querelle con l’interpretazione di Braxton delle composizioni di Lennie Tristano. Ecco cosa ci racconta in proposito il libro di Andy Hamilton, Conversazioni sull’arte dell’improvvisazione:

 

Konitz non risparmia i colpi quando si tratta di musica che veramente non gli piace. Su The Wire del novembre 1999 avanzò critiche molto dirette all’assolo di Anthony Braxton su “April” da Eight (+3) Tristano Composition 1989. Queste critiche erano inconsuete in quanto venivano da un altro musicista, e su qualche forum su internet ci furono delle reazioni all’attacco. Ma riflettevano il suo appassionato impegno nello sviluppo della tecnica strumentale per suonare delle linee che siano belle.

Konitz: «Beh, credo che sia il peggior assolo che ho sentito nella mia vita. Non so quali siano state le sue vere intenzioni. Ci sono molte note sbagliate nella linea di Tristano, e il tempo è del tutto impossibile, non abbiamo mai suonato il brano a quella velocità. Quindi è chiaro che Anthony voleva fare sfoggio di qualche forma di velocità e tecnica.

Non ha nessun rapporto con la sezione ritmica, che se ne potrebbe andare tranquillamente da un'altra parte. Per qualche motivo lui a parole dice sempre bene della scuola di Tristano. Ogni volta che lo incontro mi canta i miei assoli e io non li riconosco mai. Tra me e me penso: “Mi domando se li suona anche sul sax”, perché non ci sono molti segni che ami semplicemente suonare una bella melodia, a tempo, con un bel suono. Io credo che questa sia una farsa. Credo sia un insulto alla memoria di Tristano.

(…) Io so per certo che Anthony non potrebbe mai suonare una bellissima linea, precisa, con un gran suono, nemmeno se ne andasse della sua vita. Questa è una abilità che io ho passato sessantacinque anni della mia esistenza a perfezionare, e non sarà mai perfetta! Ho grande rispetto per altre cose che può fare Braxton, ma questa mi ha preso in un momento sbagliato.

(...) Non mi piace criticare i musicisti in pubblico; ma in privato, o tra amici, devo esprimermi su quello che fanno. Charlie Parker non ha mai criticato nessuno in pubblico. E non lo fa neppure Sonny Rollins. Bisognerebbe essere rispettosamente onesti.

(...) Non credo di essere mai stato così critico verso qualcuno. Me la sono presa con Anthony Braxton perché era su un campo che conosco e suonava lo stesso mio strumento: ha toccato un punto dolente. Devo pensarci prima di parlare, ma a volte mi capita che le cose mi scappino dalla bocca».

 

Sulle sue radici ebraiche era netto. Ecco cosa racconta nel libro dedicatogli da Hamilton:

La musica ebraica non mi è mai piaciuta. (...) Ho provato, ma non ha mai funzionato sul serio.

Ho fatto un disco nel maggio 2000 per la Tzadik, l’etichetta di John Zorn, quella con la stella di Davide sulle note di copertina. Diceva di voler far uscire la mia natura ebraica. È una delle sue missioni nella vita. Mi ha mandato alcuni dischi della sua etichetta, tra cui in disco in solo di Steve Lacy, molto bello.

Ho letto le note di copertina, e Steve confessava di essere un ebreo che teneva nascosta la sua identità. Non l’avevo mai saputo, davvero. Alla fine si sentiva sollevato che finalmente fosse venuto fuori. E pensavo: “È questo quello che sto per fare? Vediamo un po’, mio padre si chiamava Abraham e mia madre Anna, e via dicendo”. Così abbiamo fatto il disco, e quando poi l’abbiamo ascoltato John ha detto: “Credo che lo metteremo nella sezione jazz, quello ebraico lo fai la prossima volta”. Quindi è uscito per la Diw con il titolo Some New Stuff.

(Tratto dal libro: Andy Hamilton, Lee Konitz. Conversazioni sull’arte dell’improvvisatore, Edt, 2010, pp. 368, € 20,00)


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