Arte e dintorni
Mario Barrai. Mi nascondo dietro il mio fiore 
Notevole mostra/installazione di Barbarah Guglielmana contro la violenza sulle donne
06 Aprile 2020
 

La poetessa-artista veicola il messaggio attraverso i suoi “Aforismana”

 

 

Nata vicino alla Svizzera, la poetessa e artista chiavennasca Barbarah Guglielmana avrà forse visto le filiformi figure che l’elvetico Alberto Giacometti disegnava e scolpiva, dalle quali prorompe un silenzioso urlo di metallo... O forse avrà visitato il Museo Etrusco di Volterra, nel quale è conservata l’eccezionale “Ombra della sera”, così battezzata dall’immaginifico D’Annunzio, linea antropomorfa che anticipa di un paio di millenni l’Espressionismo internazionale. O forse né l’uno né l’altro, Barbarah avrà tratto dalla propria inquieta sensibilità l’ispirazione per disegnare esilissimi ometti, e donnine riconoscibili da un gomitolo arruffato che suggeriscono capelli femminili, che costituiscono la base grafica dei suoi “Aforismana”, gioco di parole fra il suo cognome e gli aforismi, di cui Oscar Wilde è il genio insuperato.

Barbarah non è affatto nuova ai giochi e ai tormenti delle parole. Esordisce in poesia una quindicina d’anni fa, con gli slam poetry e le fanzine che ruotavano intorno al movimento culturale del “Sottovento” di Pavia, città in cui lavora come medico, e fa volontariato; scopre si possedere un animo tormentato e generoso, che la porta a dare tutta sé stessa nelle cause umanitarie, dalla professione alle ore libere spese per il Centro Antiviolenza “LiberaMente”, da Emergency all’ambulatorio per i migranti privi di cure, che fonda al Policlinico “San Matteo” di Pavia, per il quale è stata insignita, col suo piccolo ma battagliero e instancabile staff, del “San Siro”, l’onorificenza che annualmente il Comune conferisce ai cittadini meritevoli. Tale animo generoso e tormentato, che la porta a sentire/vivere al massimo grado le proprie emozioni, e a empatizzare la sofferenza altrui ovunque si trovi, e a impegnarsi per sanarla o alleviarla, la portano a scrivere potentissime poesie che scaturiscono direttamente dalla sua vita: non solo le esperienze del privato, ma anche quelle, drammatiche, delle persone con cui entra a contatto, per lavoro o volontariato.

Vita e poesia diventano un tutt’uno, e dalle prime raccolte autoprodotte, in cui si sente il rombo del magma in fondo al vulcano, ecco uscire tre volumi, di progressiva crescita artistica, in cui l’autrice getta sulla tela gioie e dolori, senza risparmiarsi, con sincerità e sempre senza paura di mettersi a nudo. Da Rondini come formiche (O.M.P., Pavia, 2009), passando per Davanti alla tenda (LietoColle, Faloppio-CO, 2014), fino ad Andavo per nuvole e onde (con foto di Anna Venturini, La Vita Felice, Milano, 2017), l’amore e il sesso, i ricordi d’infanzia e l’amata città di elezione, le malattie e la guerra, la natura e l’incantesimo delle piccole e grandi cose, l’ospedale e le ingiustizie sociali, sono esplosi in versi viscerali, possenti e delicati, femminili e dirompenti, veri e tangibili. L’anima viene sbattuta sulla tela come un dripping di Pollock, o gioisce con fiori in mano.

Oltre alla scrittura e ai numerosi reading, inizialmente a Pavia e Milano, poi dal nord al sud della Penisola, molto graditi al pubblico per intensità e genuinità, ma anche per freschezza, umiltà e simpatia, la dottoressa-poetessa ha sentito l’esigenza di esprimersi anche con altri mezzi. Dalla penna è uscita la linea di cui parlavamo all’inizio, forse magra dal punto di vista esistenziale, forse rappresentativa di umiltà, forse della nudità di fronte alla vita che è spesso tipica delle persone di elevata sensibilità e intelligenza? Questa linea, che si vede meditabonda in una delle sue prime apparizioni, la copertina di Rondini come formiche, col tempo si è evoluta nel binomio immagine + parole, per veicolare un messaggio, spesso in cortocircuito di senso: un aforisma, anzi un “aforismana”. Nel 2018 ne ha esposti alcuni nella Galleria “Avart” di Camogli (GE), poi in altre città, fino all’odierna iniziativa. Ma, prima di parlarne, facciamo ancora un passo indietro.

Un mese fa, scoppiata l’emergenza Covid-19, Barbarah si reca ai margini stradali di Codogno, bel Comune del Lodigiano, purtroppo assurto alla cronaca per gli sfortunati che hanno contratto il virus, e ha fatto una performance: giunta al confine della “zona rossa”, davanti al cartello segnaletico del paese, sovrappone al medesimo alcuni “aforismani”. Con questo gesto fa riflettere su termini come isolamento, maschere, malattia, che oggi sono purtroppo connessi alla pandemia, ma che fanno parte del quotidiano anche in tempi normali, ma con differenti significati; tale performance è documentata in un’intervista di Radio Popolare all’artista-poetessa, nel programma “Girasoli” del 7 marzo, in apertura.

Tale vena sociale ha dato vita, nuovamente, a un’iniziativa artistica, comparsa il 5 aprile sulla pagina facebook “Non Una Di Meno Pavia”, dal titolo I panni si lavano in casa. Barbarah ha disegnato a colori su singoli fogli, e poi appeso nella propria casa con mollette, come panni del bucato, “aforismane” femmine che indossano ironicamente, col loro corpo filiforme, un capo d’abbigliamento, associato a un’emozione; l’obiettivo è denunciare la violenza sulle donne, e contemporaneamente mostrare lati autentici della femminilità, fuori dagli stereotipi. Ecco una “linea” minuscola distesa dentro un paio di mutande rosse (“la vergogna”), a gambe incrociate in uno sproporzionato reggiseno giallo (“il pudore”), col capo reclinato e sui talloni in un vestitone rosa (“la fragilità”), e così via, affrontando l’isolamento, la paura, il senso di colpa, il dubbio, i desideri, il bisogno di protezione e il coraggio.

Lodevole iniziativa dal punto di vista sociale, perché è sempre doveroso sollevare l’attenzione sulla piaga della violenza sulle donne, spesso subita in casa, come suggerisce il titolo della mostra/installazione. Ma notevole anche dal lato creativo: oltre all’originalità dell’idea dell’esposizione in casa, che appunto richiama il tragico tema, si nota la capacità di trattare un tema così drammatico non solo con sensibilità, ma anche con fantasia, ironia, giocosità, tripudio di colori: all’arcobaleno degli abiti disegnati si unisce quello delle mollette, e di autentici indumenti intimi. Reggiseni raffinati e body floreali sembrano suggerire agli uomini un modo diverso di vedere le donne fuori dagli stereotipi dei mass media e delle consuetudini maschiliste. L’artista sembra voler comunicare che l’identità e la sessualità femminile sono estremamente particolari, misteriose, allusive, nascoste, sofisticate, interiori, eleganti… Difficilmente esprimibili dalle donne, e spesso con imbarazzo, per i pregiudizi, che le costringono a nascondersi dietro al loro fiore, come nello splendido verso di emily dickinson (i hide myself behind my flower).

Siamo lieti di segnalare questa coraggiosa, bella e utile installazione, e di salutare questa nuova fase artistica di Barbarah. Tornando al campo letterario, a nostro parere è una delle migliori poetesse a livello nazionale; ci auguriamo pertanto di veder presto pubblicata una sua nuova raccolta, e di vederle riconosciute, da un’ampia critica, le qualità che possiede. Auspichiamo che editori nazionali si accorgano di lei, e le diano lo spazio che merita.

 

Mario Barrai



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