In tutta libertà
Gianfranco Cercone. “Prova d'orchestra” di Federico Fellini
14 Marzo 2020
 

Si sa che l’apologo è una breve favola a carattere dimostrativo, costruita apposta per impartire un certo insegnamento morale. Ora, chi conosce il cinema di Federico Fellini, sa quanto l'indole di Fellini fosse fantasiosa, visionaria, traboccante di invenzioni, tanto da risultare a volte perfino ridondante. Eppure una volta anche Fellini tentò di riversare il suo talento fluviale nella misura stretta e logica di un apologo.

E il risultato di questo esperimento è un film del 1979, intitolato Prova d'orchestra, allegato in DVD la settimana scorsa al quotidiano la Repubblica (all'interno di una collana tutta dedicata a Fellini, uscita in occasione dei cento anni dalla sua nascita), ma disponibile anche gratuitamente sulla piattaforma digitale di Raiplay.

Prova d’orchestra è un breve film, che si svolge per intero in un unico ambiente: nell’antico oratorio di una chiesa: uno spazio dall’acustica eccellente, e per questo adibito a sala da concerti. Nel racconto vi si riunisce un’orchestra, appunto in occasione della prova di un concerto. Ma si immagina anche che una troupe televisiva effettui delle riprese di quella prova, e che un giornalista intervisti gli orchestrali.

Ebbene, tale inchiesta – naturalmente fittizia: il giornalista ha la voce dello stesso Fellini – serve a snidare un profondo malessere che cova in quell’orchestra, una discordia universale: perché ognuno dei musicisti ritiene il proprio strumento più determinante degli altri alla riuscita del concerto, e comunque più prezioso, più squisito, più artistico degli altri strumenti. Così, mentre, mettiamo, il flautista tesse le lodi del flauto, o il violoncellista del violoncello, i colleghi non risparmiano occhiate di scetticismo, o cenni di disprezzo, oppure dileggiano il musicista intervistato, o sovrappongono le proprie voci alla sua.

Quando poi entra nella sala il direttore d'orchestra e tenta, com'è suo dovere, di imporre la disciplina, di costringere gli orchestrali al rispetto della partitura, quella strisciante discordia si trasforma in un’aperta rivolta, in un’insurrezione dell’orchestra contro il direttore. Tanto che alla fine al suo posto, sul podio, viene issata una macchina per battere il tempo, un metronomo.

Fellini, sostengono alcuni, era un autore cattolico, e in effetti descrivendo questa specie di rivoluzione, in una sala sprofondata nelle tenebre, ma percorsa da bagliori accecanti, dà agli orchestrali l'aspetto di dannati in un girone dell'Inferno, invasati dallo spirito satanico della distruzione. Certi elementi un po’ spuri del racconto gli danno un'inclinazione reazionaria: il sindacalista dei musicisti, che sobilla le loro rivendicazioni, ha la faccia ottusa di un mastino; un musicista travestito, truccato da donna, agita lascivamente la lingua.

Ma al netto di questi elementi – forse più datati, più superficiali – ciò che conta è che il fattore che fa precipitare l’orchestra nel caos, è il culto di ogni musicista per se stesso, la sfrenata competitività, la frenesia di farsi valere a tutti i costi a spese degli altri.

Così, quando nella prima conclusione dell’apologo, avviene un fatto quasi miracoloso – un'enorme palla di cemento rompe le mura dell’oratorio, e in parte distrugge quell’antica sala da concerto – i musicisti improvvisamente tacciono mortificati, perché indovinano che quel misterioso agente di distruzione proviene dal loro stesso animo, materializza un loro difetto, una loro colpa.

Se fin qui l’apologo sembra condannare il narcisismo ossessivo, l’egomania, come causa di disgregazione, evidentemente non solo di un’orchestra, ma di un’intera società, c’è una seconda conclusione che è più ambigua, più inquietante.

Ammutoliti dalla catastrofe, i musicisti riprendono i loro posti nella sala, e ricominciano, sotto la guida del direttore, la prova del concerto, finalmente disciplinati e obbedienti. Ma i rimproveri del direttore diventano sempre più rabbiosi, più aspri, finché si trasformano in urla da dittatore tedesco.

Certo, la trasformazione di quella voce non rappresenta per Fellini un auspicio. Sovrapposta allo schermo nero, a conclusione del film, sembra evocare un nuovo incubo. È forse piuttosto un monito: che dalla follia non possa generarsi altra follia, e cioè: dal caos della società, un delirio autoritario.

Prova d’orchestra è per me un gioiello un po’ misconosciuto nella filmografia di Fellini, che vi consiglio di recuperare.

 

Gianfranco Cercone

(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 14 marzo 2020
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QUI la scheda audio)


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