Pianeta jazz e satelliti
Roberto Dell’Ava. Il leggendario ed oscuro Hasaan
30 Gennaio 2020
 

Da poco è stato ristampato l'album del trio di Max Roach con il leggendario Hasaan Ibn Alí al pianoforte, unico album inciso dal pianista americano. Ben Ratliff, critico statunitense, ha scritto le note del libretto per la ristampa e a me è parso interessante riprenderle, almeno in parte, perché la vicenda umana di Hasaan merita di essere raccontata anche se purtroppo solo in parte. Credo infatti che anche tra gli appassionati sopra gli “anta” l’album del trio di Roach sia poco conosciuto, e ancor meno il pianista di Philadelphia.

 

 

Ero nel mio seminterrato a suonare, e lui è passato e ha bussato alla finestra”, ha detto di recente il sassofonista Odean Pope, ricordando la prima volta che ha incontrato il suo amico Hasaan Ibn Ali.

All'epoca avevo circa 16 anni. Sono andato alla porta. Mi ha chiesto se mi sarebbe piaciuto esercitarmi con lui. Quindi gli ho detto di sì. Abbiamo stretto un'ottima relazione, praticando quasi ogni giorno insieme. Era così avanzato su concetti armonici, concetti melodici, concetti ritmici, che aveva difficoltà a lavorare con chiunque. Ma ero davvero interessato a quello che stava facendo, perché era veramente qualcosa di diverso”.

Tutto questo avveniva intorno al 1954. Hasaan, sette anni più grande di Pope, nato William Henry Langford, viveva a quattro isolati di distanza a North Philadelphia con i suoi genitori. Aveva lavorato sulla strada alla fine degli anni '40 con il trombettista rhythm and blues Joe Morris, sotto il nome di Count Langford, ma a questo punto suonava localmente – il Sahara, il Woodbine, club privati a North Philly, occasionalmente un lavoro a New York. Era un teorico; gli venne in mente di usare gli intervalli di quarta invertiti per creare una struttura per l'improvvisazione (he had an idea about using inverted-fourth intervallic relationships to create a structure), e sostiene Pope (così come il musicista e scrittore DeSayles Gray) che Coltrane in seguito utilizzò quel concetto in gran parte del suo lavoro tardivo.

In ogni caso, le idee di Ali hanno preceduto il mercato. Stilisticamente, era in sintonia con i pianisti che suonavano bebop – ammirava in modo specifico Elmo Hope e Thelonious Monk – e i bebopper erano interessati a frasi fratturate e dissonanze irrisolte, ma anche nel loro contesto Ali rappresentava un estremo. A partire dal 1948 circa, quando cambiò il suo nome, divenne del tutto inadeguato per commissioni in sala da ballo ma anche nelle jam session. Qualunque fosse lo standard ricercato per il lavoro – R&B, standard, bebop – avrebbe turbato melodie conosciute con fantasie frastagliate o avrebbe creato confusione con la sua musica non convenzionale. “Non riusciva a guardare indietro”, ha detto il bassista Jymie Merritt, che ha suonato spesso con lui in concerti a due. “Stava andando sempre più lontano dal conosciuto”.

Negli anni '50 e nei primi anni '60, Pope e Ali suonavano regolarmente nella sala principale della casa di Hasaan a 2406 North Gratz Street. (Altri musicisti abituali nella sala principale in quegli anni, secondo Pope e altri, erano i bassisti Jimmy Garrison, Eddie Mathias e il sassofonista John Coltrane.) Si esercitavano dalle nove del mattino fino a mezzogiorno, a quel punto il padre in pensione di Hasaan portava cibo e bevande. Dopo pranzo, Pope e Ali dopo aver giocato qualche partita a scacchi, riprendevano a suonare dalle due alle cinque; a quel punto sua madre, una domestica, arrivava a casa. Dava a Hasaan un po' di soldi e sigarette, poi papa e Ali si vestivano e uscivano. “Avevamo circa tre o quattro case in cui suonavamo”, ha ricordato Pope, “e ci davano un paio di dollari, caffè, torte e cose del genere. Questo era allora il nostro lavoro”.

 


 

La vita e la carriera di Hasaan Ibn Ali, riscostruita sui ricordi di storie come quella raccontata da Pope – e sono rimasti pochi altri musicisti che ne possono aggiungere – era prevalentemente di dimensione locale e priva di documenti audio e video. Morì nel 1980. Max Roach trio with the legendary Hasaan, registrato per l'Atlantic nel 1964 e realizzato grazie alla costanza di Roach, fu un'eccezione straordinaria. È un disco che è rimasto probabilmente più un esempio di estemporaneità nella carriera del batterista più di quanto non sia stato assorbito dalla tradizione jazz. È l'unica registrazione di Hasaan pubblicata durante la sua vita. (Ha fatto un'altra sessione con un quartetto per l'Atlantic un anno dopo; quei nastri, a lungo persi, sono stati trovati di recente. Forse il suo momento deve ancora arrivare e noi lo speriamo fervidamente.)

La conoscenza del disco rispetto ad un pubblico più vasto risale a quando è apparso per la prima volta su CD nei primi anni '90. Ma l'oscurità non è un aspetto che concerne la musica; è un problema di distribuzione. Molti musicisti hanno almeno sentito parlare di The Legendary Hasaan, soprattutto a causa del coinvolgimento di Roach o del bassista Art Davis, ma pochi parlano di Ali, perché si sa così poco – o forse perché evoca sentimenti troppo privati, complessi o singolari da condividere molto facilmente. Ad ogni modo, se si dichiarasse un legame causale tra Ali e Thelonious Monk, Ali e Cecil Taylor, Ali e Don Pullen, probabilmente staremmo inventando qualcosa. Ali non sembrava funzionare nel solito sistema di complessità e continuità del jazz. Aveva alcuni discepoli, ma non aveva un pubblico.

Ali, a metà degli anni '60, non era mitico o simbolico, imponente o esotico, era un enigma. La parola “leggendario” era, forse, un modo per i tipi di Atlantic di implicare che era un personaggio di un gruppo di influenti musicisti di Filadelfia ma che era del tutto sconosciuto al di fuori di quel gruppo. Il titolo dell’album evoca Genius of Modern Music, il primo long playing di Monk per la Blue Note nel 1951, quando Monk non era molto conosciuto al di fuori della sua cerchia. E, come inizialmente con Monk, la stampa jazz tradizionale ha avuto poco tempo e poca attenzione per Hasaan. Harvey Siders, critico di Down Beat, ha dato al disco due stelle e mezza: lo ha definito “monodimensionale, aggiungendo che “se Ali ha un lato poetico, non lo si può ascoltare in questo debutto”.

Ali sembra essere stato orgoglioso della sua enigmatica reputazione. Sembra che indossava le sue cravatte in modo che penzolassero a soli quattro pollici dal nodo e di ciò ne aveva fatto un segno distintivo; Heath e Merritt sono convinti che Hasaan tagliava le cravatte in quel modo con le forbici.

Ci sono alcune lettere di Hasaan a Max Roach negli archivi di Roach presso la Library of Congress, scritte in una calligrafia ornata e spiraleggiante. Una sembra essere in cerca di aiuto nella ricerca di una casa discografica. Nelle note di copertina originali di questo disco, Alan Sukoenig cita Hasaan: “il primo musicista che io abbia mai ascoltato da vicino, a parte Art Tatum, che ha proposto questa azione creativa della musica... è Elmo Hope”. Sukoenig nel 2018 raccontava che le osservazioni di Hasaan riportate sulla copertina dell’album non erano scritte, come si poteva ipotizzare, bensì scandite lentamente, al telefono, per dettatura.

Forse Hasaan era un po’ oscuro e sfuggente, ma questo disco suggerisce il contrario: urgente e vivido, collettivamente pieno, ricco di scambi organizzati. Ali è preparato, la musica è assertiva e Roach è pronto a ricambiarlo. E, come ha suggerito il batterista Nasheet Waits, forse tutta quella estraniazione dai contesti battuti era una forma di applicazione dell'ordine. Roach potrebbe aver agito come un arrangiatore, contribuendo a dare alle composizioni di Ali il maggior numero possibile di forme. Stava aiutando un uomo oscuro a diventare condivisibile.

Nelle sue note di copertina originali, Sukoenig descriveva Hasaan in studio che inizia a suonare prima di togliersi il cappotto. Jymie Merritt ha visto Hasaan pochi giorni dopo, prima di partire per tornare a casa. “Era l'inizio della stagione fredda, e aveva lasciato il soprabito da qualche parte”, ha ricordato. “Gli ho chiesto, dove sono i soldi che hai guadagnato? Li hai messi in un posto sicuro? Non aveva un nichel. Si era in qualche modo spogliato di ogni centesimo che aveva. Non aveva soldi né soprabito. Gli diedi il mio e lo rimandai a Filadelfia. Mi sono reso conto che non potevo fare molto altro per aiutarlo”.

 

Roberto Dell’Ava

 

 

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