Arte e dintorni
Maria Paola Forlani. Arte al femminile 3 
Huma Bhabha: The Company
15 Novembre 2019
 

C’è così tanta devastazione fisica in diverse parti del mondo che molte città vive sembrano degli scavi archeologici. Uno dei modi con cui amo avvicinarmi al passato è quello cinematografico, reimmaginandolo e proiettandolo verso il futuro come spesso solo il cinema fa.

Huma Bhabha

 

 

La galleria Gagosian presenta “The Company”, una mostra di nuove sculture e disegni di Huma Bhabha, aperta fino al 14 dicembre 2019. È la prima volta che l’artista pakistana espone a Roma.

Tramite espressivi disegni su fotografia e sculture figurative intagliate nel sughero e nello Styrofoan, realizzate con materiali di scarto e argilla, o fuse in bronzo, Bhabha esplora le tensioni tra tempo, memoria, e sradicamento. Tra fantascienza, resti archeologici, rovine romane e utopia postbellica l’artista trasforma la figura umana in totem ghignanti, allo stesso tempo figure inquietanti e sinistramente divertenti.

The Company è in parte ispirata a “La Lotteria a Babilonia” (1941), un breve racconto di Jorge Luis Borges nel quale una società immaginaria è sopraffatta dal sistema di una lotteria incombente che dispensa ricompense e punizioni. La lotteria è presumibilmente diretta dalla Compagnia, un segreto, forse inesistente organismo che decide i destini delle persone. La processione di sculture di Bhabha svela il potere di questa Compagnia misteriosa. Questa comprende un paio di grandi mani disarticolate dal corpo che sembrano fluttuare su piedistalli trasparenti; una figura seduta; e numerose figure in piedi di diverse dimensioni. I disegni su fotografia richiamano questi personaggi, che potrebbero provenire da un lontano regno futuristico così come da una civiltà perduta. Le figure in piedi sono intagliate in pile di sughero scuro, emanante un acre odore di terra, e dal suo opposto tecnico, lo Styrofoam. Questi materiali, dall’aspetto duro e compatto, come pietre erose e marmi appena estratti, sono in realtà leggeri e morbidi e permettono a Bhabha di scolpire in maniera rapida e spontanea senza rifiniture. Il processo scultoreo diventa così una sorta di flusso di coscienza dal quale emergono mostri alieni, divinità e kouros greci.

I visi delle sculture di Bhabha simili a maschere sono allo stesso tempo maestosi e conturbanti. Dipinti in sorprendenti toni pastello-azzurro, malva, rosa e verde –richiamano i graffiti, nei quali la sporcizia urbana si mescola a interventi pittorici dai colori brillanti. Con i loro lineamenti folli da cartone animato rafforzati da un profetico bipedismo, le sculture di Bhabha sembrano sia prendere in giro che mettere in guardia, in quanto riflessioni e testimoni dell’orgoglio e del potere umano, della venerazione e dell’iconoclastia.

Accostando cicatrici di guerra, il colonialismo e i traumi ad allusioni ad eventi attuali e ai media di massa, Bhabha ha a lungo sostenuto che il mondo sia un’apocalisse, creata sia dall’uomo che dalla natura: le sculture saccheggiate sembrano essere testimoni di una certa catastrofe alla quale sono riuscite a sopravvivere per raccontarne la storia. Come un faraone sul trono e un cyborg colpito da una pioggia di schegge di proiettili, una figura seduta è realizzata con argilla giallastra compressa in rete metallica, frammenti da Karachi la città natale di Bhabha, intrappolata in un fuoco incrociato di conflitti e internazionali.

Nei disegni di grande formato di Bhabha, le figure umane e non umane abitano lo spazio condiviso da fotografia, collage e gesti pittorici: i loro visi eterogenei e le forme indistinte sembrano infestare paesaggi, strade cittadine e siti architettonici. In uno di questi, un arco blu e beige interferisce su una fotografia che Bhabha ha scattato a Roma, ai Musei Capitolini, ad un’antica statua di un cane, con due Kouroi che incombono sullo sfondo.

Oltre alle sculture, l’artista pachistana realizza anche dipinti e disegni dai tratti espressionisti e dai colori violetti, che ricordano i graffiti di Jean-Michel Basquiat. Spesso Bhabha interviene pittoricamente sovrapponendo volti umani su immagini di animali, ritratti dei suoi cani o calendari con foto di ghepardi, coyote e lupi: «Adoro i cani e i lupi mannari», racconta. Nella mostra romana è esposta una serie di dipinti dove il cane, come il coyote di Joseph Beuys, è una sorta di mediatore tra il mondo dell’uomo e il regno della natura: «L’interazione di Joseph Beuys con il coyote nella performance I like America and America like me (1974) è per me un riferimento fondamentale». In mostra anche uno scatto di Huma Bhabha che ritrae un’antica statua di cane conservata ai Musei Capitolini, sorvegliata da due Kouroi bianchi. Proprio i ricordi legati a un viaggio di studio a Roma e l’impressione suscitata dai resti smembrati della statua colossale di Costantino I a Palazzo dei Conservatori sono all’origine del suo immaginario, popolato da personaggi che paiono testimoni scampati a una tragedia per raccontarne la storia.

 

Huma Bhabha è nata nel 1962 a Karachi, Pakistan, vive e lavora a Poughkeepsie, New York. I suoi lavori sono inclusi nelle collezioni del Museum of Modern Art, New York; Bronx Museum of Art; Centre Pompidou, Parigi; Collezione Maramotti, Reggio Emilia, Italia; e della Art Gallery of New South Wales, Sidney. Ha partecipato alla 56th Biennale di Venezia (2015); e al 57th Carnegie International, Carnegie Museum of Art, Pisttsburg, Pa (2018).

 

M.P.F.


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