Arte e dintorni
Maria Paola Forlani. Il Rinascimento di Pordenone
31 Ottobre 2019
 

Secondo una voce che godette di un certo credito tra i contemporanei “Pordenone”, Giovanni Antonio de’ Sacchi, questo il suo vero nome – esuberante, sorprendente, eclettico protagonista della stagione artistica della prima metà del Cinquecento, non solo in Friuli e in Veneto ma in un più ampio contesto padano – sarebbe morto avvelenato dal suo eterno rivale, Tiziano, mentre si trovava a Ferrara su richiesta del duca Ercole II, che gli aveva commissionato una serie di cartoni per arazzi.

Di leggenda in realtà si tratta, ma capace di farci percepire da un lato le tensioni e lo spirito di “concorrenza” – per usare un’espressione cara a Vasari – che dovettero caratterizzare il mondo artistico dell’epoca, dall’altro la fama e il valore già allora riconosciuti al Pordenone, in grado di far ingelosire perfino il sommo Tiziano. Era dunque tempo che, a distanza di oltre trent’anni dall’ultima mostra dedicatagli, si organizzasse una nuova rassegna che permettesse non solo di fare il punto degli studi, ma anche presentare l’artista da un diverso punto di vista: non più egemone in un ambito provinciale, bensì grande tra i grandi del suo tempo.

Curata da Caterina Furlan e Vittorio Sgarbi, con l’organizzazione di Villaggio Globale International, la spettacolare mostra ospitata negli spazi della Galleria d’Arte Moderna/Parco Galvani sarà aperta fino al 2 febbraio 2020, così, il pubblico può ammirare, accanto a quaranta dipinti e disegni dell’artista, quasi altrettante opere spettanti a esponenti di spicco della pittura veneta e padana del XVI secolo: da Giorgione, Sebastiano del Piombo, Lotto, Romanino a Correggio a Dosso Dossi, Savoldo, Moretto, Schiavone, Bassano, Tintoretto e altri ancora.

Fanno parte integrante del percorso espositivo un cospicuo numero di dipinti conservati in Duomo e presso il Museo Civico di Pordenone, dove sono presentati in un rinnovato allestimento, insieme con una selezione di stampe, libri e documenti d’archivio.

È un “viaggio” affascinante quello proposto al visitatore, non privo di sorprese ed emozioni, perché Pordenone, senza rinnegare il suo background veneziano, ha saputo assimilare e rielaborare con assoluta originalità gli stimoli provenienti non solo dalla cultura figurativa centro-italiana e in particolare da Michelangelo e Raffaello, ma anche dal mondo d’oltralpe e dall’ambito padano.

Il risultato è una pittura potente, caratterizzata da un vigoroso plasticismo e ricca di effetti illusionistici, che susciteranno, già all’epoca, una vasta eco non solo a Venezia, ma anche in aerea padana.

Le numerose opere in mostra, comprese imponenti e delicate pale provenienti da chiese e parrocchiali, oltre a scandire il percorso dell’artista (dalla giovanile paletta della sacrestia di Santa Maria della Salute a Venezia, proveniente dal castello di San Salvatore di Collalto, alle fondamentali opere delle chiese di Susegana e Torre di Pordenone, fino alla Madonna e santi della cattedrale di Cremona, su commissione dell’arciprete Giacomo Schizzi) permettono di comprendere appieno il ruolo svolto dal Pordenone nella precoce introduzione in ambito veneto di stilemi provenienti da culture figurative diverse, seguendo lo sviluppo della sua arte. Ma non solo.

Com’è risaputo, egli esercitò un notevole influsso oltre che in Friuli (dominato, dopo la sua morte, dal genero e allievo Pomponio Amalteo), anche su diversi artisti veneziani della generazione successiva, quali Giulio Licino, Tintoretto, Jacopo Bassano e Giovanni Demio. Senza dimenticare che stando a Vasari, egli avrebbe insegnato “il buon modo di dipingere ai Cremonesi”.

Con importanti prestiti concessi dai vari musei italiani e stranieri, la mostra si è dunque posta un obbiettivo che la differenzia dalle precedenti, del 1939 e del 1984, incentrate sul Pordenone e sull’ambiente friulano mostrare, attraverso le sue opere più significative, alcune delle quali mai esposte prima in Friuli, un artista in dialogo con alcuni tra i più importanti esponenti nella cultura figurativa del suo tempo.

Ecco allora la possibilità di confrontare nientemeno che la Nuda di Giorgione – prestito eccezionale delle Gallerie dell’Accademia di Venezia – con la Madonna della Loggia dei Civici Musei di Udine, frammentaria superba opera del Pordenone su cui s’incentra il dibattito dei suoi contatti con Roma e sul rapporto con il Maestro di Castelfranco, oltre che testimonianza dell’attività del Pordenone frescante; ecco ancora l’Eterno Padre del de’ Sacchis – lunetta superiore di un’Annunciazione già nella chiesa udinese di San Pietro Martire con il Padre Eterno benedicente del Boccaccino (prestato dal Museo “Ala Ponzone” di Cremona) databile tra il 1525 e il 1530 e dunque spettante a un momento in cui i punti di riferimento del cremonese sono Tiziano e per l’appunto il Pordenone.

Cuore spettacolare della mostra sono le monumentali portelle della chiesa veneziana di San Rocco (San Cristoforo e San Martino), esposte accanto alla grande pala realizzata da Lorenzo Lotto per la basilica di Loreto, San Cristoforo tra i santi Rocco e Sebastiano, dove evidenti appaiono i richiami al gigantismo del Pordenone, che forse ebbe modo di incontrare a Venezia sullo scorcio degli anni Venti.

Tuttavia “l’apice del patetismo espressivo” lo si raggiunge con la grande Deposizione proveniente dalla chiesa dei Francescani di Cortemaggiore, affiancata dal Compianto eseguito da Correggio per la cappella del Bono, nella chiesa parmense di San Giovanni Evangelista.

Nello spazio esagonale ricavato a pianoterra della Galleria d’Arte Moderna, oltre a tali dipinti, trovano posto altre opere provenienti da Cortemaggio e alcuni frammenti di un Compianto di Guido Mazzoni conservati nei Musei Civici di Padova, che dimostrano come Pordenone abbia saputo infondere nuova linfa in una tradizione figurativa particolarmente radicata in area padana.

Non poteva mancare naturalmente il riferimento alla “concorrenza” con Tiziano, con l’esposizione della paletta con I santi Caterina, Rocco e Sebastiano, dipinti da Pordenone per l’altare dei Corrieri nella chiesa veneziana di San Giovanni Elemosinario, posta dal Vasari in relazione al San Giovanni elemosinario del Vecellio – opera satura di calore e atmosfera – collocata sull’altar maggiore della stessa chiesa. Ulteriori confronti sono proposti con artisti dell’aerea bresciana, come Romanino e Moretto, mentre la prova dell’importanza della lezione raffaellesca è affidata a una copia ottocentesca della celebre Madonna di Foligno, spettante al pittore Enrico Bartolomei.

Il percorso espositivo si sostanzia anche di una serie di opere volte a evidenziare l’influsso esercitato dall’artista non solo in Lombardia e in Emilia, ma anche sugli esponenti della più giovane generazione in Friuli e in ambito veneto, accanto alle figure di Pomponio Amalteo, Giulio Licino e Giovanni Demio, emergono quelle di Tintoretto e di Jacopo Bassano.

A tale proposito, poiché nella Venezia del Cinquecento il Pordenone si era distinto anche come decoratore di soffitti, (tra cui quello perduto della Sala della Libreria in Palazzo Ducale), i curatori hanno ritenuto opportuno presentare in mostra anche alcuni esempi delle soluzioni proposte in questo ambito da Tintoretto – con uno degli scomparti del soffitto del palazzo di San Paternian, su commissione di Vettor Pisani – e da Vasari che, circa nello stesso periodo (1542), lavorò in palazzo Corner Spinelli.

Per quanto riguarda Jacopo Bassano, l’interesse per Pordenone si manifesta molto chiaramente nella pala asolana raffigurante Sant’Anna con la Vergine Maria bambina in trono e santi (1541) dello stesso Museo Bassano, che, insieme con il Martirio di santa Caterina (1544) dello stesso Museo, segna l’avvio delle sperimentazioni manieriste degli anni Quaranta.

Anticlassico, manierista, proto barocco, precaravaggesco: tutte etichette della critica stanno in realtà strette al Pordenone, artista dalla “lingua tumultuosa e gigante” – come ebbe a dire Longhi – che, attraverso Tintoretto, avrà comunque un ruolo importante nello sviluppo dell’arte barocca.

«Ecco il Pordenone» scrive l’Aretino nell’edizione veneziana della Cortigiana (1536) «le cui opere fan dubitare se la natura dà rilievo all’arte o l’arte alla natura».

 

M.P.F.


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