Pianeta jazz e satelliti
Roberto Dell’Ava. Il talebano brontolone
02 Ottobre 2019
 

Herbie Hancock – John McLaughlin – Stefano Bollani – Chuco Valdes – Archie Shepp – Mingus Big Band – The Messenger Legacy – Rymden – Nik Bartsch – Kenny Barron – Melanie De Biasio – Wooten Brothers – Enrico Rava – Delvon Lamarr – Uomini in Frac – Judith Hill – Paolo Fresu – Gianluigi Trovesi – Gianni Coscia – Enrico Intra – Ambrose Akinmusire – Patrizio Fariselli – Bosso/Guidi – Kokoroko – Kassa Overall – Hiromi – Spyro Gyra – Tuck & Patty – John Scofield e molti altri…

Lunga vita a JazzMi. Non mi posso però esimere da qualche riflessione: centinaia di artisti coinvolti ma, a parte qualche bagliore, direi che è un programma che lascia molto tiepidi. Nomi affermati, incassi sicuri certo, ma poca voglia di rischiare, nessuna scelta coraggiosa, tanto meno sui nomi italiani.

Per carità, è solo il parere di chi come me per ogni concerto deve programmare 4 ore di viaggio tra andata e ritorno, ma grossi stimoli non ce ne sono. Per un appassionato non di primo pelo si tratta di nomi abbondantemente visti, e per quanto si tratti di stelle di prima grandezza, almeno adoperando il metro comune del business, c’è ben poco di nuovo fatte salve poche eccezioni.

Non dubito che i teatri ed i clubs faranno il pieno, anzi, me lo auguro. Spero solo che tutto questo infonda “coraggio” per le prossime edizioni…

Questo scrivevo nel 2016 sul portale di Tracce di Jazz ormai non più in linea. Tanta acqua è passata sotto i ponti ma poco è cambiato a JazzMi. Rimane un grande festival, sopra potete leggere i protagonisti di questa edizione, l’unico ormai di respiro internazionale che anima Milano, ma siamo sempre lì: nomi arcinoti passati innumerevoli volte in città, nessuna o quasi apertura ai nuovi fermenti provenienti dagli States, nemmeno una piccola incursione tra le nuove leve italiane tra le quali non posso certo annoverare l’Artchipel, una meravigliosa orchestra ma che a Milano è di casa. Se poi si dà una occhiata al costo dei biglietti ci si convince che il festival non è fatto per lavoratori precari. Da 40 a 80 euro più prevendita (quest’ultima un vero furto legalizzato) per Hancock, certamente un maestro ma abbondantemente visto e non certo nella fase più ispirata della sua carriera, mi paiono eccessivi. Eppure sul sito del festival compare la dicitura Sold Out, quindi non datemi retta, sono il solito talebano brontolone che non riesce ad entusiasmarsi per nomi consumati fino all’usura ma che tanto vanno per la maggiore. Infine, una certezza ormai acquisita: a JazzMi non sanno che farsene del “coraggio”…

 

Roberto Dell’Ava


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