Habáname
Wendy Guerra e la letteratura dei figli della Rivoluzione 
“Siamo alla fine degli estremi”
(culto.latercera.com)
(culto.latercera.com) 
17 Luglio 2019
 

La scrittrice cubana ha parlato con Culto de El mercenario que coleccionaba obras de arte (Alfaguara), il suo nuovo romanzo che tratta la vita di Adrián Falcón, la placca distintiva di un uomo che ha giustiziato e visto giustiziare “il peggio di entrambe le parti”. L'autrice sentenzia: “In un mondo in cui Maduro e Trump sono i canoni, dobbiamo accettare che si tratta del declino ideologico più grande della storia contemporanea”.

 

È da poco arrivato nelle librerie El mercenario que coleccionaba obras de arte (2019, Alfguara), il romanzo di Wendy Guerra che – come racconta la scrittrice a Culto - “riscrive la mia versione personale dell'utopia”.

Nel libro narra la vita di un uomo di oltre sessanta anni che è stato nel mirino dell'FBI e che ha operato contro il comando dell'Unione Sovietica e di Fidel Castro; un soggetto che, assicura, “è stato al centro del sordido” e che oggi vive “una vecchiaia tranquilla accanto ai suoi nipoti, per quanto questo significhi contraddire tutto quello che è stato”.

È molto strano vederlo citare Borges e raccontare come ha sparato a bruciapelo a un giovane in piena foresta centroamericana”, riflette la scrittrice e poetessa. La sua storia ha permesso all'autrice di Domingo de Revolución e Posar desnuda en La Habana, di “vedere ciò che accade dall'altro lato delle rivoluzioni”.

Accorgersi di come iniziano drammaticamente a somigliarsi mi ha tolto qualsiasi illusione”, sentenzia.

Intervistata da Culto, Wendy Guerra si riferisce inoltre alla izquierda caviar e ai repubblicani che diventano democratici e viceversa, come la mutante tendenza di un tempo ormai assunto come “decadente”, e che, assicura, “è toccato vivere a noi figli della destra e della sinistra”.

 

- Karl Ove Knausgard dice di essere diventato scrittore perchè gli hanno rovinato l'infanzia. E tu, perchè scrivi?

Come ho raccontato in svariate occasioni, il mio lavoro è basato su un diario intimo di cui raffino ciò che mi sembra trascendere a livello drammaturgico. Todos se van (2006, Bruguera), il mio primo romanzo, appare come un lavoro di liberazione, una sorta di early diary raccontato in tono di finzione. Dopo questi primi abbozzi l'esercizio si è ripetuto e tutta l'espressione letteraria che sto sperimentando, sgorga dalle note personali accumulate nell'intimità di un fragile, effimero quaderno di carta. Così, separando “il riso dal gelsomino” comunico con i miei contemporanei, regalando loro ogni peripezia personale, cogliendo esperienze, gioe e orrori sulle quali mi soffermo per dar loro vita come un fungo che si inumidisce e ricresce. Quello che inizialmente era una enorme, infinita lettera a mia madre è ormai la sedimentazione di un tempo condiviso con i miei lettori, una visita a un museo personale, una lunga promenade realizzata attraverso un frammento di vetro dai colori caleidoscopici, che a poco a poco, dai suoi tomi originali, finiscono in una cassa dell'archivio dell'università di Princeton. L'ossessione alla sedimentazione è il mio stile, il mio modo di impacchettare questo strano mondo, circostanze turbolente, azioni fuori dal comune nelle quali sto vivendo, e dalle quali lascio trasparire una finzione macchiata di realtà.

 

- Nell'epigrafe de El mercenario que coleccionaba obras de arte, il tuo ultimo libro, c'è una contraddizione fondamentale: “In molti casi l'eroe non è altro che una variante dell'assassino”. Da dove viene questo marchio che segna tutto il libro?

Quando ho conosciuto Falcón (il protagonista del romanzo) a una mostra di pittura cubana, ho capito subito che si trattava di un personaggio letterario e non di un essere comune. Anni dopo, quando ho deciso di accompagnarlo nel suo lungo viaggio, per capire la sua ossessione per la contraddizione, per il suo andare “contro”, il piacere che provava a camminare in senso opposto al traffico, mi sono resa conto che questo sarebbe stato un libro ripudiato dalla sinistra e dalla destra radicali. Il libro è uno specchio che lascia trasparire il peggio dei due mondi.

L'essere umano spogliato da qualunque ideologia a prescindere dalla maschera di “rivoluzionario” o “mercenario” provocherebbe una indigestione scomoda, un incubo in grado di accompagnare l'eco interiore di chi acquista questo libro che irrompe con la citazione di Victor Hugo. “In molti casi l'eroe non è altro che una variabile dell'assassino”. Così è stato, i quotidiani sovvenzionati dalla sinistra, quelli che parteggiano per Chávez, Maduro, Fidel o il Che, si indignano con il desolante panorama di paralisi o morte ideologica, connesso al narcotraffico e alla doppia morale, mostrato dal suo protagonista. La profonda delusione del mercenario verso la CIA e L'FBI, il suo schifo e la sua repulsione per le trappole delle istituzioni che la destra impone a lui e alla sua truppa spaesata, dopo aver ingaggiato battaglie finanziate da tutte queste organizzazioni sono, in realtà, un terribile inno alla fine di quelle che hanno rappresentato il credo principale dell'uomo del mondo contemporaneo, qualcosa che nemmeno la destra vuole ammettere con maturità e sobrietà. Soltanto chi si è visto perseguitato per decenni, due estremi ideologici che funzionano contemporaneamente, azione-reazione. Solo così è possibile comprendere il viaggio di “conficcato in fondo al mare” proposto da El mercenario…

È molto simpatico vedere, dal campo di battaglia in cui mi colloca il mio dovere di autrice, lo stratagemma, la miseria umana, il lavoro di un critico dalla sicura comodità del suo appartamento, di un qualsiasi giornale di entrambi gli estremi, nel tentativo di minimizzare ciò che lui stesso patisce quotidianamente, ovunque stia vivendo. Chi paga comanda. Bisogna crivellare la verità perchè fa male, così agiscono gli estremi e tutte queste azioni confermano soltanto ciò che qui stiamo raccontando. Abbassare la visione del testo con banalità, cercando di trovare parti infelici che facciano scomparire la vera tragedia di cui questo libro è testimonianza. Siamo alla fine degli estremi, in un mondo in cui Maduro e Trump sono i canoni o i modelli che ci accompagnano, dobbiamo ammettere che si tratta del declino ideologico più grande della storia contemporanea.

Capisco che faccia male, fa molto male stuzzicare la ferita, soprattutto se è sulla tua pelle, ma quale altra possibilità ci resta se non rigirare la carne con l'alcool fino ad arrivare all'osso per estirpare l'infezione alla radice, cancellare la biografia del disincanto? Mettere a tacere la catena di orrori da un lato e dall'altro? Chiudere gli occhi davanti a tanta sopraffazione? Sederci ad aspettare che l'essere umano si nasconda dietro le ideologie per fare ciò che vuole con i suoi simili? Tutto quanto in nome di un'idea. Sostenere l'idea che contraddice la vita dell'uomo. L'uomo ha bisogno di fermarsi, meditare, ripulirsi e riformularsi, poi possiamo parlare delle dottrine e del loro bagaglio.

 

- Perché credi che gli Adrián Falcón si disilludano delle ideologie?

Perché essendo protagonista del contro e venendo da dove viene, ha visto lo sporco, è stato centro del sordido, ha giustiziato e visto giustiziare il peggio di entrambe le parti.

 

- In un passaggio del romanzo, il protagonista dice:”Ci stiamo inventando un'isola che non esiste”. L'ideologia è un'isola?

L'isola come ideologia o la condanna infinita che Cuba resista isolata, immolandosi sempre, resistendo in qualunque circostanza come un'utopia di ciò che dovevamo essere, ma non siamo stati. Anche se noi abitanti non abbiamo vita, non importa, la sinistra ha bisogno che noi ci sacrifichiamo.

 

- Come hanno preso il romanzo a Cuba?

In tutti questi anni di carriera a Cuba hanno pubblicato solo un mio romanzo sulla vita di Anaïs Nin (Posar desnuda en La Habana) che si svolge tra gli anni 1922-23 del secolo scorso. I contenuti attuali, i romanzi che parlano di ciò che accade in questi anni del presente non hanno avuto la stessa fortuna. La mia prima poesia, quella adolescenziale, è stata pubblicata a tempo debito. Magari mi sbaglio, ma sento che El mercenario que coleccionaba obras de arte tarderà a vedere la luce nelle librerie dell'isola. È un libro che si svolge in America Centrale e in Francia, ma tutti i percorsi toccano margini scomodi e affini alla nostra realtà.

 

- La letteratura è ciò che le parole risvegliano nel lettore? Cos'è per te?

Narrativa setacciata di sensazioni, con la musicalità, il colore e il sentimento di chi la intona. Le parole sono la partitura per far suonare lo strumento nella tua testa. La letteratura è la mia forma di vivere, a volte poso per i miei libri e a volte i miei libri mi costringono a vivere in pericolo. Accompagnare un uomo come Falcón poteva e ancora può costarmi molto caro. Vivere sul filo del rasoio, questo fa parte della letteratura della mia vita. Sono schiava della mia letteratura, è la mia scelta.


- So che sei stata per oltre un anno di lavoro insieme al vero Adrián Falcón, l'uomo sotto pseudonimo. Com'è stata questa esperienza, questo rischio?

Pericolo, paura, stupore, dolore per tutto ciò in cui ho creduto e, nell'entrare in scena, scoprire le sfumature di questa guerra infinita. Dall'altro lato, è molto strano vederlo citare Borges e poi raccontare come ha sparato a bruciapelo a un giovane in piena foresta centroamericana. Come incassare a chi è in debito con un narco, mentre i suoi figli, così ben educati e sensibili, lo ascoltano narrare la sua vita, che è la loro, rivivendo l'universo di orrore e barbarie davanti ai loro occhi. Sentire che cantare Silvio o Pablo è stato per loro il modo di combattere le rivoluzioni, ha rappresentato per me la contraddizione più grande in cui mi sono imbattuta, vederlo nominare il Che per demistificarlo perchè per lui non esiste condottiero che sostenga la sua biografia con coerenza. Ma questi sono i grandi personaggi che un autore incontra per raccontare il tempo in cui ha dovuto vivere. Non sono il tipo di donna che guarda dall'altra parte, la paura non mi paralizza.

Il protagonista del libro ha chiesto che in quarta di copertina venisse scritto che lui era un uomo di sinistra, i miei editori avevano già chiuso il processo di stampa. Questa montagna russa di argomenti sconcertanti mi ha lascito sconvolta, a battere all'alba sulla tastiera il romanzo che riscrive la mia personale versione dell'utopia. Oltrepassare il muro e vedere cosa accade dall'altro lato delle rivoluzioni, vedere che “il contro” e le rivoluzioni si scontrano eticamente, accorgersi di come inizino drammaticamente a somigliarsi mi ha tolto qualsiasi illusione.

 

- E che lettura dai a un uomo di sessanta anni che, con la vita che ha vissuto Falcón, ora colleziona opere d'arte?

La stessa di Valentina Villalba, la sua controparte letteraria, che, a quarant'anni ritorna da qualsiasi azione contraddica le sue idee. Lo stesso comportamento del mio vicino dei bassifondi, ex militare formato con onore nel KGB, Комите́т госуда́рственной, che oggi va e viene, percorrendo questo ponte invisibile che va dall'Avana a Miami. Eccolo in fotografia, sorridente, in posa davanti al mare insieme ai suoi figli, festeggiando il 4 luglio con vodka e arancia ghiacciata che mescola con il dito indice, proprio come lo prendeva quando studiava in Unione Sovetica e ora lo assapora nostalgicamente a Miami Beach, mentre attende i benefici di Medicare di nascosto, una vecchiaia tranquilla insieme ai suoi nipoti, anche se questo significa contraddire tutto quello che è stato. Questo è ciò che alcuni chiamano “godere il meglio dei due mondi”. La izquierda caviar, i repubblicani che diventano democratici e viceversa per vincere un'elezione, il mutante esercizio del tradimento o il mimetismo politico come morbillo, insolazione, tendenza di un tempo decadente che è toccato vivere a noi figli della destra e della sinistra.

 

Alejandro Jofré

(da Culto, 8 luglio 2019)

Traduzione di Silvia Bertoli


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