In tutta libertà
Gianfranco Cercone. “L'ultima ora” di Sébastien Marnier
08 Luglio 2019
 

Tra i sentimenti che possono nascondersi nell'animo umano, e che possono essere espressi nelle opere d'arte, ce ne è uno che è tra i più penosi e tra i più inammissibili. Un sentimento che, se sincero, se profondamente radicato, non può non sconvolgere la propria vita e i propri rapporti con gli altri: ed è il sentimento della fine del mondo.

Dico: inammissibile, perché chi lo prova, anche se esso si basa su ragioni certo discutibili ma tutt'altro che futili, può diventare facilmente oggetto di derisione e di disprezzo: perché la prospettiva irrimediabilmente catastrofica entro cui è vista la specie umana e che dà origine a quel sentimento, è rifiutata da chi vuole mantenere la forza di vivere, magari ciecamente; oppure di sperare, armato di conoscenza.

Ora: è proprio il sentimento, estremo, della fatale fine del mondo, a essere al centro di un originale film francese, diretto da Sébastien Marnier – un regista al secondo lungometraggio – e intitolato: L'ultima ora. Un sentimento che nel film più che attribuito è oggettivato in una classe di studenti delle scuole superiori, studenti eccezionalmente dotati per gli studi e per questo isolati nella classe sperimentale di un collegio esclusivo. Dico che il sentimento si oggettiva in loro, perché i connotati di quella classe rivelano una possibile ambiguità di quel sentimento: che da un lato è nutrito dall'avversione lucida contro certi mali del mondo, che siano l'aggressività dell'uomo nei confronti dei propri simili e degli altri animali, e la distruzione dell'ambiente; ma che, d'altro lato, istintivamente può sfociare in una simpatia inconsapevole per quella stessa distruttività, tanto che si può finire per coltivarla dentro di sé.

D'altronde se non c'è più niente da fare, se l'apocalisse è inevitabile, ogni attività vitale, che sia lo studio o che sia l'impegno politico, perde di senso, E così l'“istinto di morte” – e cioè le tendenze autodistruttive, suicide della personalità – possono finire per regnare incontrastate; e possono, come si sa, come ci ha insegnato la psicanalisi, facilmente estrovertirsi nella violenza contro gli altri.

Così la classe di studenti che, acutamente, sottilmente, descrive Marnier ha i tratti nobili di una consapevolezza effettivamente superiore; ma ha anche la qualità quasi demoniaca di chi ha sviluppato dentro di sé quello stesso male che riconosce, e che aborrisce, nel mondo esterno.

Quegli studenti sono messi a confronto nel film con un insegnante che ha, rispetto a loro, una personalità più comune, e che serve a evidenziare per contrasto la loro eccezionalità.

A tale personaggio, Mernier ha attribuito una diversa ambiguità: l'interesse con cui osserva i suoi studenti, a volte li spia; l'attrazione che sviluppa per quel mistero che ai suoi occhi essi incarnano, non ha soltanto un movente umanitario, non è animata cioè dal puro intento di salvarli; ma compensa una solitudine sentimentale, ha forse origine da un'omosessualità repressa o inconsapevole.

È questa una complicazione psicologica tutt'altro che inverosimile, ma che risulta un po' estranea al tema vero e profondo del film.

Si tratta comunque di un film da vedere.

 

Gianfranco Cercone

(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 6 luglio 2019
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QUI la scheda audio)


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