In tutta libertà
Gianfranco Cercone. “Loro 1” di Paolo Sorrentino
02 Maggio 2018
 

Cosa distingue una buona caricatura, da una caricatura grossolana, non riuscita? La differenza, io credo, è nel grado di intuitività della caricatura; se cioè, oltre la deformazione del personaggio raffigurata, e anzi attraverso quella deformazione, essa riesca a mettere a nudo un tratto essenziale della sua personalità.

Paolo Sorrentino – nel suo film intitolato Loro, di cui è uscita in questi giorni nelle sale la prima parte – ha messo in scena un vasto affresco tutto popolato di caricature: un universo, nel quale campeggia, come saprete, la caricatura di Silvio Berlusconi.

Come si conviene a chi è al centro di un impero – di un impero, per come è descritto, quantomai degradato – la figura di Berlusconi in questa prima parte del film è isolata rispetto alla folla degli altri personaggi. È collocata nella sua villa in Sardegna, dove trascorre una vacanza dalla vita pubblica, circondato soltanto dai collaboratori più fidati, alle prese con un problema tutto privato: la moglie gli è ostile ed egli tenta con tutti i mezzi di riconquistarla: regalandole un diamante, con dichiarazione d'amore sdolcinate, assumendo pose romantiche affettate, facendole cantare una serenata dall'autore in persona della canzone d'amore che ha accompagnato i primi momenti della loro storia.

È in questi tentativi ostinati, indefessi, che si rivela il senso del ghigno quasi immutabile che è un po' “la sigla”, il tratto più ricorrente, della caricatura: è il ghigno di chi è convinto che prima o poi l'avrà vinta. Un ottimismo forse autentico o forse simulato, ma da cui non può recedere neanche per un istante, perché l'ombra della sconfitta non deve mai inquinare la prospettiva di una vita che ha da essere tutta baciata dal sole, come il parco della villa in Sardegna; e cioè votata all'allegria e al successo. E la stessa imperterrita fiducia in se stesso, la stessa presunzione di una vittoria immancabile, la si ritrova nell'opera di seduzione di un calciatore, che dalla Juventus dovrebbe passare al Milan (una seduzione che somiglia a un tentativo di corruzione, e a cui infatti il giovane, nero, reagisce con il risentimento di un moralista); o all'umiliazione di un avversario politico che vorrebbe scalzarlo nel suo stesso partito; o alle lezioni a un nipote, a cui insegna l'arte si farsi credere quando si propina una panzana. Insomma: il suo sorriso è quello di un “eterno fanciullo”, convinto che il mondo sia fatto per piegarsi a tutti i suoi desideri. Un sorriso che in un uomo invecchiato non può che diventare grottesco, mostruoso, un ghigno pietrificato.

Ora, se questo tratto colga l'essenza, o almeno un aspetto, della personalità reale di Berlusconi, non sta al critico cinematografico stabilirlo. Certo, la maschera inventata da Sorrentino, insieme all'attore che la interpreta, Toni Servillo, è impietosa, ma anche incisiva, nel senso che, Berlusconi a parte, coglie un tipo umano, caratterizzato da un difetto: come in certi classici della commedia un tipo poteva essere caratterizzato per esempio dall'avarizia o dalla misantropia. Qui il difetto è una forma di narcisismo ideale: di un narcisista che non ama tanto se stesso per come è davvero, ma un'immagine idealizzata di sé, che è un po' come un intramontabile miraggio.

Mi sono soffermato sulla figura di Berlusconi, ma, come anticipavo, il film di Sorrentino fa sfilare un folto gruppo di caricature, maschili e femminili.

Tra le prime, c'è l'arrivista di provincia, che altro non sogna che di incontrare Berlusconi per rilanciare i propri affari, ed è sicuro di riuscirci, così come riesce a conquistare facilmente le donne o a corrompere, servendosi di quelle donne, i politici locali. C'è il ministro, che in amore esercita la retorica di un romantico piagnucoloso ma poi paga le donne per andarci a letto; che adula in modo abietto Berlusconi, ma nel suo cuore cova, come un peccato, il sogno di soppiantarlo.

E poi le donne: quelle che fanno della prostituzione più esclusiva una forma di snobismo; o le novizie, le inesperte, che si avviano a prostituirsi fra tremori e finti candori.

Sono soltanto degli esempi a riprova del talento di caricaturista che, a mio parere, Sorrentino indubbiamente possiede, e che già possedeva, eccome, Federico Fellini. Certo, le caricature non possono avere tutte le sfumature dei personaggi realistici. Ma qui sono disegnate con cura, con fantasia e sono sempre, a loro modo, penetranti.

Così se sul film è necessario sospendere il giudizio, visto che ne è uscita soltanto la prima parte, si può già scommettere che anche la seconda sarà da vedere.

 

Gianfranco Cercone

(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 28 aprile 2018

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