In tutta libertà
Gianfranco Cercone. “La casa sul mare” di Robert Guédiguian
22 Aprile 2018
 

Ogni personaggio in un racconto può essere considerato da due punti di vista complementari.

Il primo è quello che privilegia l'aspetto sociale del personaggio: che considera, per esempio, il lavoro che svolge, la classe o il ceto a cui appartiene, le idee politiche in cui crede, il cittadino che è in lui.

L'altro punto di vista considera invece in primo luogo la sua intimità, ciò che quel personaggio sente quando è solo con se stesso, i suoi drammi privati che possono essere del tutto slegati o almeno non completamente determinati dalla sua identità pubblica.

Ora, il regista Robert Guédiguian nel suo film intitolato La casa sul mare ha cercato di considerare un gruppo di personaggi da entrambi i punti di vista, cercando dunque di fondere in ognuno l'aspetto intimo e l'aspetto sociale, che del resto sono di fatto fusi nell'esistenza concreta di ogni persona. I personaggi in questione sono un gruppo di uomini e di donne, perlopiù in età matura, che si riuniscono per l'appunto in una villa sul mare, vicino Marsiglia, dopo che il padre di alcuni di loro è colpito da un ictus, che lo ha reso quasi incosciente e semiparalizzato.

Nessuno dei fratelli può dirsi davvero felice.

C'è un'attrice teatrale di successo, la cui vita sentimentale si è spenta, si è del tutto inaridita, dopo che proprio in quella casa, tanti anni prima, in seguito a un tragico incidente, ha perso la figlia ancora bambina.

C'è un professore, che è stato da poco licenziato, che nutre aspirazioni letterarie frustrate, che è legato sentimentalmente a una ragazza forse troppo giovane per lui, la quale mal sopporta la sua depressione.

Il terzo fratello è l'unico rimasto fino ad allora a fianco del padre, gestendo insieme a lui un ristorante che fa buon cibo a buon prezzo, ma i cui affari sembrano andar male, tanto che il ristorante è a rischio di chiusura.

Insomma: su tutti e tre i fratelli, come anche sugli altri personaggi del racconto, pesa un senso di crisi, che riguarda, a seconda dei casi, più la loro sfera intima, privata, o più la loro sfera lavorativa.

In questo secondo ambito, Guédiguian offre della crisi una spiegazione fin troppo chiara: i tempi, sembra dire, sono cambiati; si è affermata una spietata economia di mercato; l'avidità di guadagno prevarica i costumi tradizionali e il rispetto delle persone. Ecco perchè un uomo in età matura può essere licenziato su due piedi; ecco perché il ristorante che offre buon cibo a buon prezzo è schiacciato dalle speculazioni finanziarie; ecco perché due anziani vicini di casa si vedono triplicare l'affitto della casa che hanno abitato da una vita intera, e sarebbero costretti ad abbandonarla se quell'affitto non fosse pagato dal figlio, pienamente integrato nel nuovo sistema economico.

A questa modernità, fa da contraltare la grazia antica di quel paesino sul mare; i vecchi, commoventi arredi delle sue abitazioni; la gentilezza di chi vi risiede da tempo.

E ciò che risolleva i personaggi dalla crisi, infonde in loro una rinnovata vitalità è l'incontro con un gruppo di bambini clandestinamente immigrati in Francia, che secondo la logica della legge, in linea con la crudeltà dei tempi, dovrebbero essere consegnati alle guardie che probabilmente li smisterebbero in un orfanotrofio nel loro paese di origine, e che invece i tre fratelli decidono di ospitare nella loro casa sul mare.

Ora: cosa non convince del tutto in questa esplorazione della crisi, che comprende una diagnosi e una terapia? Io credo proprio la sua eccessiva semplicità. Che si occupi, di quella crisi, degli aspetti privati (come il trauma subito dall'attrice per la morte della figlia) o o degli aspetti pubblici, Guédiguian sembra offrire una chiara spiegazione di ogni problema, come avviene nella drammaturgia rudimentale, o quando l'ideologia si sostituisce all'osservazione della realtà, che sarebbe altrimenti più misteriosa e contraddittoria.

Va detto tuttavia che i suoi attori – gli attori ricorrenti nei film di Guédiguian, da Ariane Ascaride a Jean-Pierre Darroussin – sono bravi. E che l'autore ha la mano particolarmente felice nella descrizione degli ambienti e degli abitanti della Francia tradizionale: come quei due vecchi coniugi, che si sono visti aumentare l'affitto, e finiranno per suicidarsi, compostamente, mitemente, nel loro letto coniugale.

È insomma un film che può dare adito a delle riserve, ma è comunque interessante, di qualità.

 

Gianfranco Cercone

(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 21 aprile 2018
»» QUI la scheda audio)


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