In tutta libertà
Gianfranco Cercone. “A casa tutti bene” di Gabriele Muccino
10 Marzo 2018
 

Forse la prima decisione che deve prendere un narratore, al momento di impostare un racconto, riguarda la distanza da mettere tra sé e l'oggetto del proprio racconto. Quella distanza può essere azzerata fino a un'identificazione assoluta (o quasi assoluta) tra l'autore e uno dei personaggi della storia. Oppure chi racconta può mantenersi equidistante rispetto a tutti i personaggi; intuire i loro sentimenti quel tanto che basta a farli sembrare vivi, ma senza approfondire l'introspezione; privilegiando, piuttosto che lo scavo nella loro individualità, quei tratti che li rendono simili o opposti tra loro, inducendo lo spettatore – nel caso di un film – a un confronto tra loro.

Mi pare che questa seconda impostazione sia quella scelta da Gabriele Muccino per raccontare la folla di personaggi che popola il suo ultimo film, a mio parere bello, intitolato: A casa tutti bene: personaggi tutti sapientemente abbozzati, ma non approfonditi; nel corso del racconto, tutti, o quasi tutti, in conflitto tra loro, fino alla nevrastenia; eppure tra loro somiglianti, di una somiglianza di cui non soltanto non si accorgono, ma forse che non vorrebbero mai ammettere, non sopportando di rispecchiarsi gli uni negli altri.

Si tratta di un gruppo di familiari riuniti su un'isola per festeggiare le nozze d'oro dei nonni, una coppia felicemente sposata. Il clima all'inizio appare amichevole e festoso, perfino ostentatamente e volgarmente festoso; ma quando la convivenza si prolunga per una durata imprevista, a causa del maltempo che impedisce a tutti quanti di prendere un traghetto e li costringe a soggiornare nell'isola, ecco che affiorano, si sviluppano e scoppiano i conflitti.

È uno schema convenzionale.

Ma all'interno di questo schema risaputo, Muccino ha modo di profondere la sua bravura nell'affrontare, in tante variazioni, il tema che gli sta più a cuore, che gli è più congeniale: il rapporto di coppia.

Se la coppia dei due anziani ospiti, i proprietari della villa sull'isola, costituisce una specie di modello positivo (e ha quel tanto di irrealtà che è proprio dei modelli positivi), il meglio del film è nel disegno delle coppie reali: tutte gravemente in crisi, dolorosamente imperfette.

Per esempio: c'è la coppia che in apparenza “funziona”, ma nella quale in effetti il marito sopporta la moglie, a cui resta unito forse solo per interesse economico, mentre tutti i suoi pensieri vanno all'amante lontana. C'è una coppia che si è formata in un secondo matrimonio del marito, il quale amerebbe pure la nuova moglie, se lei non lo perseguitasse con la sua gelosia per quella prima moglie da cui l'uomo ha avuto una figlia, a cui egli non rinuncia a fare da padre.

C'è lo scapolo in apparenza felice della sua libertà, ma che in effetti vagheggia di riunirsi con un suo amore di gioventù. C'è una coppia di lavoratori precari, i più poveri del gruppo, che forse si amano davvero, o che forse si aggrappano l'uno all'altro per disperazione.

E c'è la coppia più giovane, di due minorenni, la più armoniosa, la più idealistica, che guarda con un filo di supponenza all'infelicità delle altre, ma che, ci viene sottilmente suggerito, forse con il passare degli anni diventerà simile a quelle.

Perché la coppia nel film è come una prigione da cui tutti vorrebbero fuggire, ma a cui, al tempo stesso, nessuno sa rinunciare. Un paradiso per chi la guarda dal di fuori, un inferno per chi la vive da dentro, minata dal male inestirpabile della possessività nei confronti del partner. Se una morale si può trarre da questo amaro quadro di vita, è che, come suggeriva Arthur Rimbaud, l'amore andrebbe reinventato.

Ma, morale a parte, la qualità del film è nella capacità di Muccino e dei suoi bravissimi attori di sintetizzare i sentimenti, i problemi intimi dei personaggi, più che attraverso le parole, attraverso gesti, comportamenti minimali, variazioni espressive, che ce li fanno sembrare sempre, o quasi sempre, autentici.

 

Gianfranco Cercone

(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 10 marzo 2018
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