Habáname
Wendy Guerra. “Ebbó” contro l’autocensura dalla mia casa all’Avana
05 Febbraio 2018
 

Entri nel delicato, fragile, complesso luogo dal quale sai perfettamente di poter uscire ferito, la tua famiglia è in pericolo, la mutilazione finisce sempre tra il carcere e l’esilio.

Compi, nonostante tutto, questo primo passo verso le zone in cui non dovresti navigare, testi la temperatura delle acque e noti con orrore che sono... o troppo gelide o troppo bollenti, ma ti butti comunque verso il fondo, ti addentri nell’oceano della tua verità agitando le braccia controcorrente e raggiungi il vortice di idee a cui mai più lascerai spazio.

Gli amici del quartiere smettono di salutarti, non ti invitano più a niente di ufficiale e non sei incluso in tavolate, antologie o foto di gruppo, la tua famiglia inizia a “proteggerti” e questo implica ritagliare parti della verità che non devono conoscere, divulgare o maneggiare dalle tue pagine, sono materiali che ti porterebbero problemi, argomenti abrasivi che producono esplosioni al contatto. Sai che ci sono detenuti, manifestazioni, isolamenti, vessazioni e morti, inizi a vedere un paese che poco a poco si ingrandisce davanti ai tuoi occhi, ciò che ti nascondono viene a galla e la tua lucidità si ingigantisce mentre lo descrivi in azioni, quando trapianti nelle tue pagine la sopravvivenza stessa.

Dubiti, hai timore, ma la realtà è più forte di qualsiasi ragione, hai bisogno di scrivere quello che i tuoi personaggi patiscono, quella potente luce sociale entra dalla finestra, ti abbaglia, si impadronisce di te e delle tue creature, qualcuno da qualche parte ti detta tutto quello che molti vogliono o devono ignorare per paura.

Una vera e propria colonna vertebrale, arricchita di storie condivise, miscuglio di auto-finzione e letteratura contemporanea, smuove la problematica reale dei tuoi personaggi. Scrivi ogni giorno, sudando, tratteggiando, toccando e flirtando con la sottile linea tra la verità che brucia le tue dita sulla tastiera e il dolore che ti provoca scendere in pista. Metti il punto finale, lasci il libro – finalmente – nelle mani del tuo agente, dei tuoi editori e dei traduttori. Apri e chiudi gli occhi ogni giorno pensando… il dado è tratto.

Lanci il tuo libro ed è come se tutto ciò che hai detto si trasformasse in titoli da prima pagina, ciò che è “domestico” diventa virale perché Cuba è sempre stata interpretata in un altro modo.

Chi può andare contro i simboli? Migliaia di giovani vestiti in verde olivo con il Che sulle loro magliette assistono a concerti rock in qualsiasi parte del mondo. Come ordinare allora una nuova biblioteca con un altro riferimento nelle loro teste?

Scrivendo con attendibilità di ciò che a noi tutti sembra abominevole, incomprensibile, surreale. Se esageri qualcosa sei perduta, perché solo la realtà ha il brevetto per esagerare, calcare la mano, la letteratura per essere credibile deve essere verosimile.

La critica internazionale può dare cinque stelle ai tuoi libri, i lettori a Cuba, quelli che vogliono scontrarsi con la verità, lo fotocopiano, scannerizzano, lo fanno circolare per dare aria e luce alle tue trame... da alcuni mezzi indipendenti nazionali qualcuno che ha voglia di avanzare, ti regala una eccellente recensione scavando in ciò che si dice nel midollo delle tue storie. Apprezzi questo coraggio, soprattutto perché viene da coloro che percorrono la tua stessa realtà nella loro storia quotidiana.

Allora scattano i blog che si scrivono da altre parti del mondo, critiche bellissime, profonde, preziose, dure, deliranti… alcuni colleghi già in pensione ti chiedono ancora e ancora e ancora rischio, coraggio e audacia, raccontare tutto fino a restare solo, solo, solo… dalle loro trincee europee o americane hanno bisogno – per crederti – che tu metta sempre più carne al fuoco, che ti sacrifichi con loro e per loro.

E possono dirmi che è accaduto a loro quando vivevano a Cuba? Perché non sono rimasti a combattere – con quello stesso coraggio – tutto questo incubo? Chi ha chiesto loro di sbatterci la porta in faccia? Forse qui non c’era molto da dire? Cerchi negli archivi e sai dalle date e dai riferimenti che molti di questi terribili critici “di casa” vengono da periodici come il Granma, la rivista Verde Olivo o dirigevano importanti riviste legate a organismi di Stato. Cosa hanno fatto loro per pretendere tanto da me? Perché non vengono e dimostrano qui e ora tutto questo coraggio? Mi piacerebbe vederli riportare informazioni dal luogo dei fatti.

Ti svegli completamente sola sull’isola, guardi il tuo foglio bianco, sai che una tua parola si amplificherà in diversi media e che da tempo hai preso a calci tutti i limiti, sei andata molto più in là della paura, sei cresciuta in te stessa, hai sorpassato la barriera del dolore.

Cerchi di non restare in silenzio, di non censurarti, crei universi visivi ed etici coerenti, immaginari o no, in cui, senza smettere di fare la tua letteratura, con una estetica e una voce molto personale crei personaggi che parlino dell’orrore e del piacere senza ereditare le tue paranoie.

Sorge il sole all’Avana. Suona la sveglia e scendendo dal letto sai che ciò che scriverai oggi infastidirà le autorità e anche i critici più duri tra quelli che ti censurano.

Scrivi le tue storie semplicemente ricordando la verità dei tuoi personaggi che, in molti casi, dovrà essere la stessa.

Lasci l’autocensura nell’acqua che all’alba salta dal tuo corpo, e pensi, mentre ti lavi dal cima a fondo con acqua pulita e nuove idee a un potente ebbó contro l’autocensura:

Vado a scrivere, che mi censuri un altro, quello che non ha il coraggio di fare ciò che faccio e da dove lo faccio. Io sono semplicemente una donna che desidera raccontare senza limiti, in qualunque secolo e in qualunque patria. Io sono una scrittrice che ha bisogno di raccontare tutto.

 

Wendy Guerra

(da el Nuevo Herlad, 2 febbraio 2018)

Traduzione di Silvia Bertoli


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