In tutta libertà
Gianfranco Cercone. “Corpo e anima” di Ildiko Enyedi
16 Gennaio 2018
 

Come si sa, ma a volte al cinema si dimentica, non tutti i film vogliono essere verosimili. E non mi riferisco soltanto ai film di genere apertamente fantastico. Ma anche ai film che raccontano vicende quotidiane, scegliendo uno stile che esaspera, che rende un po' estremi, personaggi e situazioni, forse per farci scorgere più chiaramente il loro significato. A considerarli con il criterio della verosimiglianza, questi film possono suscitare il nostro scetticismo; ma è forse quel criterio a essere inadeguato.

Prendiamo ad esempio un film, “piccolo” da un punto di visto produttivo, ha quasi l'aria di un film sperimentale, che si è aggiudicato l'Orso d'Oro per il miglior film all'ultimo festival di Berlino. Lo ha diretto una regista ungherese, Ildiko Enyedi; è stato portato in alcune sale italiane da un distributore indipendente, “Movies inspired”. Il film si intitola: Corpo e anima.

A raccontarlo in due parole, si tratta di una storia d'amore, in fondo comune, tra il direttore di un mattatoio e una ragazza incaricata di verificare la qualità delle carni macellate.

Dico comune, ma certo non è comune l'idea di ambientare una storia d'amore in un contesto tanto cruento, che trasuda orrore.

Inoltre se il direttore, un uomo un po' indurito dall'esperienza, dalla solitudine, a volte dall'aria scostante, ma capace di momenti di generosità, ha un carattere sufficientemente sfumato da risultare realistico, la ragazza di cui si innamora ha proprio l'aria di un'aliena.

Bionda, di carnagione chiara, dall'aria perennemente assorta, dai modi quantomai timidi, stride a prima vista con un ambiente come il mattatoio che, convenzionalmente, si può immaginare abitato soltanto da rudi omaccioni.

Applica inflessibilmente i criteri di giudizio per la classificazione delle carni. Ma non è per nulla, come pure si dice di lei, una specie di automa senz'anima. A conoscerla appena un po' meglio, si scopre in lei, il candore, la sprovvedutezza (per rispetto rispetto all'amore e al sesso) di una donna rimasta bambina: ingenua a tal punto che anche per questo non si riesce a considerare il suo personaggio del tutto realistico.

E poi nel racconto è inserita una circostanza che può sembrare una fantasticheria romantica di pessimo gusto: da un test psicologico aziendale, si scopre che i due protagonisti la notte fanno uno stesso sogno, e cioè si ritrovano in un bosco innevato nei corpi di due cervi che si corteggiano. Sembra una vieta romanticheria, ma a considerare il modo in cui quel sogno è visivamente raccontato nel film, con asciuttezza, senza alcuna enfasi, si deve ammettere che il rischio del sentimentalismo è scongiurato.

Ora, cosa ha voluto dirci la regista con le sue crudezze realistiche (per esempio, relative alla macellazione delle bestie) e allo stesso tempo con la sua vena vagamente fantastica, con il suo leggero surrealismo?

Io credo che proprio grazie a certe sforzature, alcuni fatti e personaggi di “Corpo e anima” acquistano un valore simbolico, riescono a significare qualcosa di più generale rispetto alla loro particolarità.

Per esempio, il mattatoio diventa il simbolo della violenza e dell'orrore che ci circondano. La durezza del direttore e l'apparente insensibilità della donna sembrano due tipiche reazioni di difesa all'orrore. Il sogno, condiviso, di essere cervi, è certo un desiderio di evasione, ma non soltanto dal mondo esterno, ma dalla corazza caratteriale che ci si è costruiti per difesa da quel mondo. Sembra esprimere nostalgia per la parte più libera e spontanea di sé.

Il sentimento, tenue, delicato, che percorre tutto il film, più che l'amore, è l'aspirazione all'amore, che è resa dolorosa, problematica, proprio per l'isolamento in cui i personaggi si sono rifugiati e rinchiusi.

 

Gianfranco Cercone

(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 13 gennaio 2018
»» QUI la scheda audio)


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