Arte e dintorni
I Grandi Maestri. 100 anni di fotografia Leica
30 Novembre 2017
 

Si è aperta a Roma nel Complesso del Vittoriano la mostra “I Grandi Maestri. 100 anni di fotografia Leica” (unica tappa italiana, sino al 18 febbraio 2018) che rende omaggio alla prima macchina fotografica 35 mm provvista di pellicola, alla fotografia d’epoca e a tutti gli artisti che hanno utilizzato la Leica dagli anni venti ai giorni d’oggi, celebrando le loro immagini.

Oltre 350 opere dei maggiori e più prestigiosi autori – da Henri Cartier-Bresson a Gianni Berengo Gardin, da William Klein a Robert Frank, a Robert Capa a Elliot Erwitt e molti altri ancora – decine di documenti originali, riviste e libri rari, fotografie vintage, macchine fotografiche d’epoca, compongono questa ricca esposizione.

Nel 1914, quando costruì la prima macchina compatta con pellicola cinematografica 35 mm, Oskar Barnack aveva già individuato alcune soluzioni che si ritrovano come tratti distintivi anche nei modelli di Leica digital più recenti.

Molto prima della Leica, Oskar Barnack (1879 – 1936) era un appassionato fotografo amatoriale, ma pare sia stata proprio la pesante e inflessibile macchina a lastre 13x18 a spingerlo a cercare qualcosa di più maneggevole. Insomma Barnack aveva già una certa esperienza quando nel 1914 adattò quella che chiamava “la macchina lilipuziana” – poi “Leica” – alla pellicola cinematografica. Forse all’inizio voleva solo capire come inserire e far scorrere la pellicola, ma presto cedette al desiderio di esporre una striscia con l’aiuto di questo nuovo apparecchio.

Barnack si cimentò nella fotografia di ritratto, riprese individui ma anche gruppi; realizzò foto di paesaggi e di animali – una produzione di cui ci restano duecento fotografie in tutto – mostrando un’ampia gamma di possibilità fotografiche, presentate in bianco e nero e in formato sia verticale che orizzontale.

Ciò che conta, tuttavia, non è solo questa capacità di spaziare tra generi diversi. Ben più importante è lo sguardo fresco, innovativo con cui il taciturno ingegnere tedesco riuscì ad anticipare quel movimento di avanguardia fotografica che più di dieci anni dopo si diffuse con il nome di “Neues Sehen” (“Nuova Visione”).

L’invenzione della Leica non ha solo rappresentato la “nascita” di un nuovo apparecchio fotografico. Con il suo corpo macchina piccolo ma estremamente efficiente, la Leica ha rivoluzionato la pratica fotografica e allo stesso tempo ha spianato la strada a nuovi scenari visivi.

Chi aveva una Leica sempre “al collo” non era più un osservatore distaccato del mondo ma parte degli eventi intorno a lui e questo portò alla nascita di un universo visivo che infrangeva ogni regola per spalancare lo sguardo su una nuova era.

Certamente, anche prima della nascita della Leica sono state realizzate molte fotografie di valore e impatto giornalistico. Eppure, questa macchina ha rivoluzionato profondamente il fotogiornalismo. Piccola, del peso di appena 400 grammi ed estremamente compatta grazie all’obiettivo retrattile Elmar: la Laica era sempre a portata di mano. Non dava nell’occhio e permetteva anche di scattare fotografie in rapida successione, aspetto che ben si adattava al nuovo genere del reportage. Inoltre, gli obiettivi intercambiabili (dagli anni Trenta in poi) consentivano di cogliere aspetti diversi della realtà senza cambiare punto di osservazione.

Nel 1930 Erich Salomon fu il primo a portare la Leica negli Stati Uniti e, durante la Guerra civile spagnola, divenne uno strumento indispensabile per autori come Henri Cartier-Bresson, David Seymour e Robert Capa.

Mentre in Germania il dibattito tra le due guerre era monopolizzato dalla “Neues Sehen” e dalla “Nuova Oggettività”, in Francia la fotografia intraprese una strada che entrò nella storia del mezzo come “fotografia umanista”. Il riformismo sociale, il trauma della Prima guerra mondiale e la letteratura sempre più coinvolta nella descrizione della vita quotidiana delle persone comuni crearono le premesse per la nascita di un’arte fotografica meno interessata agli esperimenti formali che alla vita “vera”: il mondo cittadino come proscenio, la vita di ogni giorno come teatro – riflesso diretto di stati di aggregazione profondamente umani – furono ciò che spinsero i fotografi a lavorare vagabondando per le strade, in un’affinità intellettuale con scrittori come Mac Orlan e in seguito come Jacque Prévert.

Se da un lato non esistono più riviste illustrate che possano o vogliono permettersi di assumere in pianta stabile i fotografi, dall’altro le fotografie sono entrate nella collezione dei musei, nelle gallerie d’arte, negli smisurati archivi delle banche immagini, e gli autori con una maggiore sensibilità artistica sono diventati, volenti o nolenti, un punto di riferimento della cultura visiva postmoderna. Nell’esaminare il settore con un occhio particolare alla fotografia Leica contemporanea, viene naturale distinguere sei diversi generi di fotografie d’autore – le cui linee di demarcazione sono, ovviamente, piuttosto sfumate.

I giovani fotografi continuano a essere fedeli al reportage, ma non viaggiano più su commissione, spesso si dedicano per lunghi periodi a progetti personali cercando di elaborare uno stile riconoscibile che li distingua nella massa di immagini usa e getta veicolato dai media elettronici.

Il reportage fotografico – solitamente di viaggio – si è trasformato in un’analisi critica e sofisticata di un mondo in subbuglio. Eppure resta attuale, così come lo studio delle tematiche sociali, che tuttavia è ora contraddistinto da un personale punto di vista narrativo.

I fotografi utilizzano la loro macchina per superare traumi individuali o anche solo per esplorare la realtà circostante, creando una sorta di diario visivo: alcuni di loro usano intenzionalmente l’attrezzatura per violare le regole riportate sulle istruzioni, spingendo sempre più in là i limiti del mezzo, alla ricerca di un modernismo classico che potremmo forse chiamare “visualismo”. Altri, fotocamera alla mano, si pongono domande fondamentali: in che modo ci serviamo delle immagini? In che modo le immagini si servono di noi? Come influenzano i nostri pensieri, la nostra conoscenza? Il materiale esistente viene recuperato, classificato e riattivato in questo contesto. “Citazionismo” è lo slogan del momento: le sue manifestazioni spaziano dalle istantanee alle foto iconiche, arrivando fino al cinema.

 

Maria Paola Forlani


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