L'ultimo dei milanesi
Milano e la Mala: La mostra 
di Mauro Raimondi
13 Novembre 2017
 

Dal qualche anno, ormai, Palazzo Morando di via S. Andrea 6 ospita delle mostre su Milano. Questa volta è di scena la Mala(vita), le cui vicende sono narrate dalla tradizionale liggera d’anteguerra fino agli anni Ottanta, quando Epamoninda controllava la città. Otto sale in cui si attraversa mezzo secolo di storia della criminalità ma anche, ovviamente, di Milano.

Una cassaforte con tanto di banconote da 10.000£ ci accoglie all’ingresso, ricordandoci come i “milanesi” fossero famosi in tutta Italia per la loro capacità di scassinare. Vicino, in una vetrina, rasoi di borseggiatori, spadini e chiavi per topi di appartamenti ci rivelano gli strumenti tradizionali della liggera, già citata a fine Ottocento dallo scapigliato Cletto Arrighi e dal giornalista-scrittore Paolo Valera. Inutile, cercare un’etimologia del termine. Di certo, però, quei loro arnesi fanno quasi tenerezza e ci portano davvero in un’altra epoca, in un’altra città. Come diceva una famosa canzone: E con tucc i tram che gh’è la liggera la va a pè….

La seconda sala ci conduce nel dopoguerra. All’interno della geografia malavitosa della città le osterie del Ticinese, di via Brera ma anche del Bottonuto, un quartiere poi demolito a due passi dal Duomo, rappresentavano dei covi perfetti per ricettatori e piccoli delinquenti. A cui iniziarono ad affiancarsi dei veri e propri “personaggi” come Enzo Barbieri, tanto sfrontato da mettere un 777 (il numero del centralino della polizia) come targa della sua auto e da apparire in tribunale con un impeccabile gessato da gangster. Le sue incursioni finivano spesso con la redistribuzione del bottino fra la gente del suo quartiere, l’Isola, che lo copriva. Catturato la sera del 26/02/46 alla cascina Torrazza, fu coinvolto nella rivolta di S. Vittore dell’aprile successivo, diventando il simbolo della Pasqua rossa, sedata quattro giorni dopo, da cui Alberto Bevilacqua trasse un romanzo.

Erano i tempi di Joe Adonis, di Bollina el paesanin, di Gino lo zoppo e della Banda Dovunque, così chiamata per i ripetuti colpi a Milano, Imola e Bologna. La prima volta, però, che la città diventò oggetto di una vera rapina da film fu il 27/02/58, quando i fantasmi in tuta blu, alle 9:30 del mattino, rubarono in via Osoppo 600 milioni, di cui 120 in contanti. E proprio una tuta blu apre la sala, dove si possono vedere le foto delle celebre rapina: il camion che tamponò il furgone portavalori, le cassette contenenti il denaro degli stipendi poi ritrovate al Giambellino, il martello usato da uno dei rapinatori. L’azione fu da veri professionisti. Peccato, verrebbe da dire, che – invece – gli errori da dilettanti che la anticiparono e la seguirono causarono l’arresto di tutti i componenti della banda. Allora si gridò allo scandalo, ma quelli di via Osoppo gli unici colpi li spararono a voce, quando uno dei componenti simulò un tatatatata per bloccare i passanti. Da lì a poco, le raffiche sarebbero state vere. Quel giorno, la romantica liggera aveva celebrato il suo funerale.

La quarta sala vede come primo protagonista Luciano Lutring, detto l’Americano per la sua Smith&Wesson (che appare in vetrina) o il solista del mitra perché entrava nella banche con l’arma nascosta in una custodia di violino (i genitori lo avrebbero voluto musicista!). Arrestato a Parigi, si mise e dipingere diventando un artista quotato. Imperdibili, le foto del bar di famiglia in via Novara e del suo rilascio, con acconciatura e abbigliamento da vera rock star.

Oltre a lui e alla Banda del Lunedì, l’altro soggetto della sala sono I marsigliesi di Albert Bergamelli, autori di un’altra rapina storica, quella alla gioielleria Colombo di via Montenapoleone. Era il 15/04/1964 e alle 16:30 due Alfa Romeo Giulia si fermarono davanti al negozio, mentre altre due si misero di traverso bloccando l’accesso alla strada. Poi, si sentirono solo i mitra che sparavano al cielo. Fu uno choc: il centro di Milano era stato violato. Gli investigatori, però, furono altrettanti bravi e in soli otto giorni i sette uomini d'oro venivano arrestati.

Un’altra banda di cui si racconta è quella di Cavallero, Notarnicola e Rovoletto, immortalati in Banditi a Milano di Carlo Lizzani. Il quale mise su pellicola il loro assalto al Banco di Napoli in Largo Zandonai del 25/09/1967 e soprattutto la folle fuga per Milano sparando all’impazzata. L’immagine di uno dei tre morti, un autista riverso sul finestrino, è davvero impressionante. Così come, nella sala seguente, il corpo insanguinato di Turatello, ucciso nel carcere duro di Badu e Carros, a Nuoro. È stato lui, il primo vero boss di Milano: nulla di criminale accadeva senza il consenso del re di tutti quei locali immortalati nelle foto (Good Mood, Bounty, Pussy Cat, Le Roy, Bang bang).

In una storia della malavita milanese non poteva ovviamente mancare Renato Vallanzasca. Dal suo (bel) viso sbarbato che appare in una foto, si capisce subito che uno così, di certo, non poteva diventare operaio... Frequentato il Beccaria (inteso come carcere, non come Liceo…), fondò la banda della Comasina e da lì cominciò un’escalation che lo portò, inevitabilmente, a uccidere qualcuno. Il 16/11/1976, mentre la banda era appostata in piazza Vetra per preparare un colpo all’Esattoria Civica, venne scoperta da una volante e nella sparatoria che seguì un agente, Giovanni Ripani, fu colpito a morte. Le immagine di un altro tutore dell’ordine che piange a dirotto per la morte del collega rimane sicuramente impressa, così come quella dei genitori di Vallanzasca e del suo matrimonio in carcere con un testimone d’eccezione: l’ex nemico Francis Turatello.

L’ultima sala ci introduce in un ambito che vide Milano, purtroppo, come capitale italiana: quello dei rapimenti. A proposito, davvero tenera la foto del piccolo Alemagna. Siamo ormai negli anni di Epaminonda e dei suoi Apaches, criminali feroci e senza scrupoli. Come dimostrano le immagini della strage alla cascina Moncucco del 03/11/79: alle 0:30 due clienti si trasformarono in killer e freddarono non solo Antonio Prudente, emergente della mafia legato a Turatello, ma anche tutti gli altri presenti: la compagna, due loro amici, alcuni clienti sudamericani, la cuoca…

La povera liggera con cui avevamo iniziato il nostro viaggio, è ormai un pallidissimo ricordo. Come quella Milano che l’aveva vista all’opera.

Saludi

 

 

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