Diario di bordo
Vincenzo Donvito. Cannabis terapeu­ti­ca e non solo. Quan­to tempo perso…
19 Ottobre 2017
 

Firenze – La Camera ha approvato le norme sulla cannabis terapeutica, ed ora il testo passa al Senato. Non è una novità particolare, visto che la materia era già regolamentata da uno specifico decreto ministeriale aggiornato nel 2015, e poi ci sono diverse Regioni che si sono già dotate di una propria legge. Ma è un mettere dei paletti nazionali in modo più chiaro e preciso rispetto a quanto possa fare una disposizione ministeriale che, tra l’altro non è stata fin ad oggi il massimo per funzionalità e uso di terapie a base di cannabis.

Rimane, grosso come un macigno, il problema della legalizzazione della cannabis in assoluto (quindi anche a scopo ricreativo) e quello di tutte le altre droghe illegali. Un mercato che oggi è libero non secondo le leggi di una comunità civica, ma secondo le leggi della giungla. Ovunque si possono acquistare queste sostanze, senza nessuna garanzia che i prodotti rispondano a determinate caratteristiche di sicurezza sanitaria e più in generale; e i profitti sono della malavita piccola e grossa. Profitti che altrimenti andrebbero allo Stato e a tutti i diversi cicli produttivi e commerciali che, dove queste sostanze sono legali, sono diventate uno dei motori delle economie locali, oltre che contenere, circoscrivere, prevedere e disciplinare gli aspetti sanitari.

Sarà per un’altra volta? Ce lo auspichiamo. Ma per ora siamo in alto mare. Anche perché il faro politico mondiale in materia (Usa) non è ancora unanime a livello federale, mentre è a macchia di leopardo per i livelli statali.

Alto mare che comporta tutta una serie di problemi che, pur se affrontati in maniera sistematica, rispondono a caratteristiche di intervento che non hanno fatto altro che peggiorare la situazione politica, sanitaria, economica, commerciale e umana.*

Eppur si continua. Come, per l’appunto, ha voluto fare oggi la nostra Camera dei deputati, non consentendo l’approvazione di proposte che, pur nella limitatezza di quanto consentito dai trattati internazionali proibizionisti siglati anche dal nostro Stato, avrebbero quantomeno aperto il percorso a pratiche più civili, sanitarie ed umane.

Per capirci. Un Paese come il Canada è proprio in questi giorni impegnato a trovare migliori soluzioni per rendere pratica la propria decisione di legalizzazione della cannabis e per affrontare l’emergenza oppiacei che, pur se dilagante nel territorio del suo vicino Usa, ha toccato anche loro. Per farlo, il ministro federale e i ministri delle singole province si incontrano. Il nostro ministro della Salute, invece, cosa fa? È stato in prima fila per contrastare tutte le iniziative parlamentari che andavano oltre la mera legalizzazione terapeutica e, rispetto alle Regioni, non ci risulta che ci siano iniziative prese di concerto.

Sempre per capirci. Stiamo parlando di una sostanza, la cannabis, consumata da percentuali gigantesche di italiani, e i cui effetti primari e secondari sono – come riconosciuto da qualunque studio a qualunque livello – molto minori rispetto alla più diffusa droga legale del nostro Paese, l’alcool.

Non sveliamo nulla. E non ci dimostriamo avventuristi nel credere che la gestione legale dei fenomeni di massa (ed è innegabile che il consumo di droghe illegali sia un fenomeno tale) sia molto più fruttuosa sanitariamente, economicamente, socialmente ed umanamente. Oggi si preferisce dedicarvi solo una piccolissima parte – a mo’ di tampone casuale – delle risorse sanitarie ed una gigantesca parte di quelle per l’ordine pubblico.

Continuiamo a farci male.

 

Vincenzo Donvito, presidente Aduc

 

 

* Aduc redige quotidianamente uno specifico notiziario: https://droghe.aduc.it


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