Diario di bordo
Vincenzo Donvito. Legalizzazione droghe: agire sul piano internazionale 
Al dilagare della criminalità organizzata e al bigottismo suicida, la battaglia non può che essere transnazionale
02 Settembre 2017
 

Firenze – Non diciamo nulla di nuovo nel ricordare che il proibizionismo sulle droghe (di tutti i tipi) genera disordine pubblico, profitti per le mafie e la criminalità internazionale e locale, instabilità politiche ed economiche, massacro sociale. E niente di nuovo anche nel ricordare che coloro che in buona fede perorano tutti i divieti possibili ed immaginabili, sono di fatto complici dei risultati e risvolti del proibizionismo. E sempre per ricordare che l’unica soluzione è la legalizzazione, con conseguente informazione e riduzione del danno. È quello che da decenni le persone libere del mondo (destra e sinistra politica non discriminano nulla in merito) ripetono in continuazione, scontrandosi con la logica degli Stati e degli equilibri economici ad essi connessi, in un macabro equilibrio tra legalità e criminalità, dove quest’ultima sta sempre avendo la meglio.

I sostenitori della legalizzazione, pionieri di diritto e buon governo, stanno avendo qualche risultato, ma limitatissimo e in estrema ed intensa difficoltà. Sia nei coraggiosi Stati Usa che nei pochi Stati (europei inclusi) che, al di là delle alchimie per non farsi castigare dalle normative proibizioniste internazionali saldamente in vigore, cercano di mitigare le conseguenze del proibizionismo.

Uno dei problemi centrali per intraprendere un percorso legalitario e costruttivo è quello di incidere sui padroni dei capitali del mondo. Che sono poco interessati ad una legislatura proibizionista o meno, ma molto interessati a conformarsi ed avere contesti normativi che consentano loro di rispettare le ragioni sociali della loro esistenza, cioè fare soldi.

Cosa succede? Il caso dell’Uruguay è sintomatico. Hanno legalizzata la marijuana col controllo dello Stato. Sono passati alla fase esecutiva: distribuzione nelle farmacie. Ma siamo vicini al blocco totale dell’applicazione di una legge di uno Stato sovrano: le banche Usa, che fanno il bello e cattivo tempo in un Paese sudamericano dove il dollaro è la moneta per eccellenza, senza mezzi termini hanno detto che chiuderanno i conti bancari di chi opera con le droghe illegali: le leggi federali del loro Paese (in ottemperanza ai trattati internazionali) glielo impongono e, pur se le legislazioni nazionali dei singoli Paesi in cui operano dicono il contrario, non possono per loro avere valore prioritario. Questa è la lettura legalitaria del contesto. Mentre la lettura politica è una conferma di quanto gli Usa possono decidere tutto nei Paesi in cui le singole economie sono dipendenti dalla loro. Imperialismo o meno che lo si voglia chiamare, di fatto è così.

Del resto, altrettanto accade negli Stati Usa che hanno legalizzato la marijuana, dove le transazioni bancarie si fanno solo con piccole banche locali o in contanti, mentre le grandi banche federali non muovono un centesimo in quel contesto. Poi, ovviamente, c’è caso e caso. In Uruguay è facile che Citibank o Bank of America, per esempio, facciano muro brandendo la spada della legalità. Ma sono molto più quieti in altri contesti in cui il dollaro, per quanto importante, non è unico ossigeno (come in alcuni Paesi europei, dove -però e comunque- non c’è un esplicito coinvolgimento dello Stato come in Uruguay, ma “solo” politiche di riduzione del danno – vedi Portogallo. Svizzera, etc).

Cosa ci dice questo contesto? Due cose. La prima: la modifica delle convenzioni internazionali è fondamentale. La seconda: il contesto legislativo federale Usa è altrettanto fondamentale, visto che l’economia transnazionale e internazionale di questo Paese pervade quella di tutti gli altri Paesi del mondo (molto meno in Ue da quando abbiamo l’euro).

Facciamone tesoro. Senza un’adeguata ed incisiva politica internazionale e transnazionale, le battaglie legalizzatrici in materia di droghe sono destinate ad arenarsi. Senza sottovalutare le iniziative di riduzione del danno (distribuzione controllata delle sostanze pesanti, depenalizzazione delle droghe leggere), se aspiriamo a risultati incisivi, è il contesto transnazionale su cui bisogna lavorare (ONU soprattutto).

 

Vincenzo Donvito, presidente Aduc


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