Diario di bordo
Luigi Sartorio. Fatti la galera. (E taci) 
Ma la verità non può essere taciuta, nemmeno a mio figlio Lorenzo. Nemmeno per 'ragion di stato'
24 Agosto 2017
 

“SOLO LA VERITÀ

AI NOSTRI FIGLI”

Sono Luigi Sartorio, detenuto nel carcere di Padova perché condannato dal regime militare cubano a 20 anni di reclusione per un reato inventato e fabbricato dalla polizia cubana.

Ho un figlio di 7 anni e sono stato arrestato quando lui aveva solo 4 mesi di vita. La mia compagna Ilen, mamma di Lorenzo, in questo dramma ha subito minacce e rischiato la prigione solo per avermi sempre difeso e per aver avuto il coraggio di dire la verità, sia durante le interrogazioni della polizia che nel processo burla fatto a Cuba dove era già stata decisa la mia condanna. Dopo un primo periodo passato in Italia ora Lorenzo e sua madre abitano a Cuba dove, con l'affetto dei nonni, vivono meglio che da soli in Italia, visto che io rimango in prigione anche nel mio Paese. All'età di 4 anni mio figlio ha cominciato a fare domande alla mamma, quando osservava delle stuazioni dove si vedevano delle carceri. In un cartone animato, che mostrava un uomo dietro le sbarre, disse alla mamma “guarda mamma, come papà”. Poi cominciò a chiederle “perché papà è in prigione?”. Ritengo che la mamma di mio figlio sia una donna che lo ha educato nei migliori dei modi e gli abbia dato tutto l'affetto e l'amore necessari. Ma lei vive a Cuba dove comanda un regime militare e dove esistono ancora prigionieri politici che hanno solo criticato quella dittatura, dove non esiste la libertà di opinione. Il popolo cubano vive nel terrore e nella paura e molte volte è obbligato a mentire per non andare contro il sistema. Alla domanda di mio figlio, la mamma rispose “tuo padre ha sbagliato e ora è in prigione”. Ilen mi riferì questo, ma io dissi che per me non aveva risposto in modo corretto ma non continuai il dialogo.

Il problema si ripresentò ancora con la crescita di Lorenzo, che continuava a chiedere informazioni sul padre e a fare la solita domanda “perché mio padre è in carcere?”. Ilen più volte mi ha riferito di essere in difficoltà nel dare una risposta al suo amato figlio, cercando di cambiare discorso. Ilen è stata anche una mia testimone al processo, con prove e foto che dimostravano la mia innocenza, ma, come ho già detto, tutto questo non è servito a niente contro le menzogne della polizia. Ilen sa bene che il padre di suo figlio è innocente, ma non sa come farlo capire a Lorenzo. Ricordo che a Cuba un giorno lei mi disse “qui ti insegnano a non fidarti neanche dei tuoi genitori, perché anche i muri hanno le orecchie”. A Cuba la polizia, con i suoi sistemi di tortura e di minacce, riesce a fabbricare reati anche con le false testimonianze di famigliari, tipico dei sistemi totalitari. Quando ero in carcere a Cuba chiedevo sempre alla mia ragazza di fare il massimo per me, portando di continuo lettere alle false associazioni di giustizia che esistono a Cuba. La mia ragazza, in difficoltà, mi diceva “Luigi non serve a niente, ma io faccio quello che mi chiedi” e poi anche “hai visto cos'è capitato alla mia zia poliziotta che ha perso il lavoro solo per aver detto la verità e difenderti”. Poi un giorno, dopo le mie continue insistenze, mi disse piangendo “tuo figlio ha già perso il padre, vuoi che perda anche la madre?”. Da quella volta mi sono rassegnato e non ho più chiesto a Ilen di adoperarsi inutilmente per la mia causa e cercare di avere qualche appoggio, per evitare il rischio di creare problemi all'intera famiglia.

Tutto questo per dire che Ilen è i grosse difficoltà nel raccontare la verità al suo bambino e sul perché il padre sia in prigione. Dopo aver lasciato gestire questo problema a lei, ora sono arrivato a capire che cosa, secondo me, sia meglio dire a nostro figlio. Credo sia sempre sbagliato mentire a un bambino, in modo particolare a tuo figlio. In futuro ogni bugia si pagherà, anche se è stata detta solo per la paura di non andare contro la polizia che comanda con il terrore a Cuba. Perciò non si deve dire che il padre è in prigione perché ha sbagliato. Ilen conosce molto bene tutti gli abusi che ho subito laggiù, ma purtroppo queste ingiustizie possono capitare anche in Italia, che si considera un Paese democratico. Ho subito molte ingiustizie a Cuba, dove sono nati sia Lorenzo che sua madre. Un Paese che io amavo e che mi ha dato tanto, per cominciare Lorenzo e Ilen, le persone più importanti per il mio futuro. Capisco che non è facile dire a Lorenzo che i paese dove vive ha fatto un errore e ha commeso un'ingiustizia proprio con il padre, ma questa è la verità, anche perché la stessa madre è stata una mia testimone contro i reati per i quali sono stato condannato e conosce bene la verità e gli abusi che ho subito. In ogni caso Ilen in questi 7 anni ha cresciuto Lorenzo da sola e non mi posso lamentare se ha dovuto dirgli così solo per paura di quel regime militare. Sono sicuro che ha dato a nostro figlio la migliore educazione e tutto l'amore possibile. Ma se lei vuole la mia opinione, può essere solo questa. Non potrò mai accettare tutta la vergogna e la cattiveria subite dalla giustizia cubana, ma mi devo fare forza, perché il papà di Lorenzo è una vittima della giustizia cubana e non un delinquente. Ho sempre lavorato onestamente e non ho mai fatto, ripeto MAI FATTO, quello di cui mi accusa e che ha FABBRICATO la giustizia cubana. Anche se non è facile, specialmente in un Paese dove si ha sempre paura, bisogna dire a Lorenzo che il suo papà è un uomo onesto, che ha subito una grande ingiustizia. Un Paese che lo obbliga a rimanere in carcere da più di 7 anni. Ma lui vuole tanto bene a suo figlio e spera di uscire il prima possibile, per recuperare il tempo perduto con il suo tesoro.

 

OMICIDIO A PRESCINDERE

Nei miei scritti ho sempre cercato di parlare delle chiare prove che confermano la mia innocenza e non mi sono mai soffermato sulle ingiustizie subite dai miei compagni di sventura. Ma voglio parlare dell'ingiustizia e dell'umiliazione subite dal povero Simone Pini, mio coimputato. Prima accusato e poi condannato per un OMICIDIO commesso a Cuba in un giorno in cui era ancora in Italia, come chiaramente provato. Ma andiamo con ordine.

Cuba ha commesso molte illegalità nel nostro caso e il mio Paese, l'Italia, pur conoscendo il modo di lavorare di quel regime militare, ha accettato tutte la accuse contro di noi. Per dodici mesi non è mai stato emesso un capo di accusa e noi tre italiani siamo rimasti incarcerati e sequestrati in modo illegale. Solo verbalmente era stato detto ai nostri diplomatici che noi quattro italiani (in prigione a Cuba non c'era Daniele Fallani, che è rimasto in Italia grazie a una decisione dei Magistrati di Firenze e dunque non estradato) eravamo investigati per un omicidio avvenuto il 14 maggio 2010 a Bayamo (Cuba). A questo punto l'Ambasciata ha inviato molti documenti, confermando che il giorno del presunto omicidio sia io che Simone Pini non eravamo sul suolo cubano. La Console Giacinta Oddi mi disse “abbiamo spedito più di 70 lettere ma non rispondono”. Cuba si protegge con la non risposta e qualsiasi richiesta, anche la più legittima, non viene presa in considerazione. La Giustizia cubana si era anche protetta dichiarando il caso di “maxima segretivita”. Secondo il nostro avvocato cubano, questo tipo di investigazione è normalmente riservato ai soli casi di terrorismo e droga, ma è stato egualmente utilizzato per noi dal Magistrato, anche se nel nostro caso non ci sono questi capi d'accusa. Praticamente con la segretività nessuno, neanche gli avvocati della difesa, può controllare l'andamento degli interrogatori della polizia, che in questo modo può fabbricare qualsiasi accusa senza nessun ostacolo.

In ogni caso nessun avvocato a Cuba si permette di ostacolare la Polizia del Regime e questa è un'arma in meno a sua disposizione. Chiedevamo aiuto all'Ambasciata per sapere di cosa eravamo accusati, ma gli avvocati statali cubani, gli unici consentiti dalla Dittatura, dichiaravano “non abbiamo accesso agli atti perché il caso è SEGRETO”. Noi tre italiani siamo stati sequestrati da fine giugno del 2010 e la prima accusa scritta è arrivata solo nel giugno 2011. Sia io che Pini siamo stati interrogati solo in relazione all'omicidio del 14 giugno 2014, mentre Angelo Malvasi era crollato sotto le pressioni e le minacce della polizia cubana, autoaccusandosi anche di altri reati commessi in varie altre date. Voglio chiarire che di queste dichiarazioni estorte al Malvasi noi non abbiamo nessun documento, ma solo lo scritto dell'accusa che sostiene che Malvasi ha confessato il reato senza pressioni. Bisogna ricordare che Malvasi, al processo, ha dichiarato il contrario e cioè di aver firmato sotto tortura, perché Cuba non rispetta le leggi internazionali, secondo le quali un accusato ha DIRITTO alla difesa legale nelle interrogazioni.

Ma soffermiamoci sull'abuso subito dal povero Pini. Con Cuba non esiste dialogo, perciò l'Ambasciata, in base a quanto riferito dai diplomatici cubani, ci ha consigliato di produrre i documenti che certificavano che eravano in Italia e non a Cuba il giorno dell'omicidio. La mia famiglia si mette al lavoro per ottenere tutte le testimonianze a mio favore, che devono essere raccolte da un notaio, tradotte in lingua spagnola, consegnate all'Ambasciata di Cuba a Roma o al Consolato di Cuba a Milano per la certificazione e infine inviate a Cuba e certificate anche dal Minrex (Ministero degli esteri cubano). La mia famiglia, per comodità, scelse il Consolato di Milano essendo pià vicino a Vicenza. Inizialmente si eseguirono solo documenti di prove per il 14 maggio 2010, per l'unico reato di cui pensavo di essere accusato. Nel giugno 2011 mi viene formulata un'accusa scritta e, con mia grande sorpresa, vengo a sapere che era caduta quella di omicidio ma inspiegabilmente Cuba mi aveva accusato di altri quattro reati per i quali io e il Pini non eravamo mai stati interrogati.

Secondo l'avvocato cubano che ebbe accesso agli atti, non esisteva nessuna documentazione scritta relativa a queste nuove date, ma solo qualche dichiarazione estorta al Malvasi. Un'altra irregolarità di Cuba fu che eventuali nuovi documenti di prove dovevano essere consegnati entro 20 giorni. Praticamente loro hanno avuto 12 mesi per fabbricare le nuove accuse di cui io non ero a conoscenza e a noi hanno dato solo 20 giorni per produrre le prove della nostra innocenza, tenendo conto delle lunghe procedure cubane. Era dunque impossibile riuscire a ripercorrere tutto l'iter per le mie nuove prove. La mia famiglia tentò ugualmente di soddisfare queste richieste con costi enormi, specialmente le partiche richiesta al Consolato cubano, ma non riuscì a far autenticare i documenti dal Minrex, anche con l'aiuto dell'Ambasciata italiana a L'Avana. Le pratiche si arenarono proprio al Consolato e siamo riusciti a velocizzarne l'istruttoria solo pagando ulteriori somme di denaro destinate ai diplomatici cubani a Milano, cash e senza ricevute. La mia famiglia mi ha riferito che ha dovuto spendere complessivamente oltre € 22.000 (ventiduemila euro) tra notaio, traduzioni, Consolato e Minrex, ma la maggior parte di questa cifra è stata consegnata “in nero” ai funzionari cubani. Oserei dire che Cuba, oltre ad avermi rovinato la vita, mi ha anche TRUFFATO, rubandomi del denaro perché grazie a questi documenti mi ha tolto l'accusa di omicidio ma mi ha comunque accusato di altri reati, sempre fabbricati. Purtroppo la mia famiglia dispone solo di una minima parte della documentazione delle spese che ha dovuto sostenere per questo servizio, perché il Consolato di Cuba a Milano ha preteso pagamenti esclusivamente in contanti e quindi non rintracciabili. Tutto questo l'ho più volte dichiarato, ma il mio Paese non ha mai espresso solidarietà al cittadino Luigi Sartorio, riconoscendo però senza discussioni la mia condanna cubana.

Il povero Pini, che non aveva la stessa disponibilità economica della mia famiglia, non è riuscito a farsi togliere questo orribile reato di omicidio anche se quel giorno, come me, non era a Cuba. Infatti le prove della sua presenza in Italia, non essenso state asseverate dall'Ambasciata, secondo la logica cubana non valevano niente.

Nel 2016 il nuovo avvocato cubano Martinez, difensore di Pini e Malvasi, chiede la seconda revisione della causa a Cuba perché la prima era già stata rigettata in precedenza. Come ulteriore prova l'avvocato, dopo ben 6 (sei) anni di richieste ignorate anche dall'Ambasciata italiana, ottiene dal Ministero dell'Immigrazione il documento che certificava che Simone Pini il 14 maggio 2010 non era presente a Cuba. La prova dunque non è più solo italiana ma è delle stesse autorità cubane, ma -come sempre- viene ignorata e non considerata. In precedenza Pini aveva tentato in tutti i modi di denunciare l'abuso subito e la conseguente condanna. La Giustizia cubana avrebbe dovuto condannare per spergiuro e falsa testimnianza anche i ben 105 testimoni a nostro favore, ma non condanna nemmeno il Pini per ingresso illegale, ben sapendo che non era a Cuba. Lo stesso è stato fatto con me: sapevano che non ero a Cuba, ma mi hanno torturato per ottenere firme estorte in modo che invece risultasse che ero lì proprio quel giorno e fabbricare, con mezzi illegali, un reato inventato. Poi queste firme sono sparite, in modo inspiegabile perché l'avvocato ha dichiarato che nella prima visione del fascicolo erano presenti tra la documentazione. In ogni caso, l'omicidio per me è stato tolto. L'avvocato di Pini chiede spiegazioni su come sia stato possibile che la minore abbia riconosciuto senza alcun dubbio la presenza di Luigi Sartorio sul luogo dell'omicidio il 14 maggio 2010, visto che poi è stato duimostrato che lui quel giorno era in Italia e come sia stato possibile che i periti abbiano trovato un pelo di Luigi Sartorio nello stesso luogo. Altra prova assurda è la presenza di una “impronta odorosa” del Malvasi a circa 30 centimetri dal corpo della povera vittima: l'infallibile cane cubano aveva trovato l'odore del Malvasi in un luogo in cui, conferma lo stesso Magistrato cubano, l'accusato non era presente.

Tutti questi casi senza logica sono tipici a Cuba, dove spesso la condanna viene decisa prima del processo. Questo me lo confermò Ernesto Borges, ex poliziotto cubano finito in prigione a Cuba per aver difeso un collega accusato, a suo avviso, di un reato inventato. Borges mi disse che, quindici giorni prima del processo, si incontravano Giudice, Magistrati, Polizia e anche l'Avvocato della difesa e si decideva la condanna. Il processo diventava così una sorta di rappresentazione teatrale, come la definì il mio avvocato Luparon. È così che qualsiasi prova a tuo favore viene ignorata e vengono prese in considerazione solo quelle fabbricate per condannarti, come l'impronta odorosa del Malvasi. Il mondo intero sa come funziona la Giustizia a Cuba e negli altri regimi militari. Talvolta qualche innocente cade in questi drammi, ma il tuo Paese non muove un dito!

 

MAI RISPOSTO ALLE NUMEROSE RICHIESTE

Più volte ho riferito che tra Italia e Cuba non esistono rapporti diplomatici. Cuba è uno stato sovrano ma governato da 60 anni da un regime militare dei fratelli Castro. In questi anni molti paesi civili hanno cercato di contrastare i dittatori cubani. In modo particolare gli Stati Uniti d'America, dove risiedono molti esuli cubani fuggiti dalle ingiustizie compiute dai militari comandati dal regime.

Il Governo dei Stati Uniti d'America ha cercato di contrastare e ostacolare con l'embargo economico l'assolutismo dai fratelli Castro, spinto anche da esuli cubani costretti a fuggire da un paese allo stremo dove comandano solo i militari, ma l'isola dei Caraibi ha sempre resistito grazie anche a una forte adattabilità del popolo cubano, abituato a soffrire. Come già detto, Cuba è un Paese “non allineato”; non ha rapporti diplomatici con i paesi democratici. L'Unione Europea in passato dava molti aiuti economici al popolo cubano, ma tutto poi si sospese per una denuncia fatta da Messico e Svezia che trovarono prove chiare che i prodotti donati al popolo cubano venivano venduti dal sistema corrotto di Castro. Sì, proprio così: l'uomo che gridava di essere il padre di Cuba e che aiutava il popolo in tutti i modi, vendeva al suo popolo quello che altri paesi regalavano. Popolo alla fame anche dopo un ciclone che aveva messo in ginocchio un'isola che aveva l'embargo economico e perciò con molte difficoltà economiche nell'acquistare i materiali per la costruzione delle case. Il mondo democratico non ha mai accettato il regime militare cubano e ha cercato in vari modi di contrastarlo, chiedendo più volte ai Castro che venissero indette “elezioni libere” e di poter almeno avere, nell'isola dei Caraibi, la libertà di stampa e la possibilità che l'opposizione avesse un ruolo in un Paese dove da 60 anni tutto questo non è permesso. Cuba si è sempre chiusa a riccio e il suo motto è sempre la non-risposta; praticamente mai si risponde a qualsiasi logica richiesta di un altro Paese o, quando risponde, passano tempi lunghissimi.

Voglio ricordare che, per il mio trasferimento dopo il cancro al cervello, per il quale le autorità cubane avevano promesso un rimpatrio in 20 giorni, trascorsero invece ben 8 mesi, e questo anche per colpa della burocrazia italiana. La Console a Cuba, Dr. Cinzia Oddi, più volte mi disse che non avevano mai ottenuto una risposta ad ogni lettera o richiesta fatta al Ministero degli Esteri cubano, oppure risposte nient'affatto chiare o addirittura concernenti altri argomenti. In mano io non ho un documento dove l'Ambasciata, o il Governo italiano, affermano che Cuba non risponde alle loro domande, ma la Magistratura di Roma mi ha consegnato un documento che spiega chiaramente tutto ciò. Il mio avvocato, Gianluca Adamo, esegue un'istanza per ottenere dei giorni premio nel mio periodo di carcerazione cubana ed esegue la stessa operazione anche presso l'Ambasciata italiana a Cuba. Dopo anni di difficile lavoro ottiene dall'Ambasciata un documento via e-mail, a mio avviso molto importante, nel quale il Governo cubano mi concede 120 giorni premio, poi ottenuti con la Magistratura di Venezia, e, addirittura, per la Giustizia di Cuba, la mia libertà nel 2020.

A questo punto dimentichiamo la precedente richiesta fatta a Roma e accettiamo il risultato parziale dei 120 giorni ottenuti da Venezia. Ma il 16 febbraio 2017 arriva un colpo di scena tipico della cattiva organizzazione italiana, dov'è evidente che non ci sono dialogo né contatti tra le Magistrature. L'Ufficio di Sorveglianza di Roma risponde, dopo tre anni di lavoro e di mia conseguente attesa: “Che non risulta possibile acquisire informazioni dall'autorità cubana in relazione al periodo dal 25/04/2006 al 14/02/2008, in quanto mai risposto alle numerose richieste di notizie”.

Allora qui esiste un errore, che non capisco se sia del mio avvocato che chiede i giorni o del magistrato, perché io non sono mai stato in galera nel citato periodo tra il 2006 e il 2008. Questo a mio avviso mette in evidenza che il dialogo con la dittatura cubana proprio non esiste. Cuba avrebbe potuto rispondere alle “numerose richiesta fatte dall'Italia” che si stanno sbagliando circa il periodo, almeno per una volta che aveva anche l'occasione di rispondere in modo positivo. Invece, come da consuetudine del regime, CUBA NON RISPONDE A NIENTE. Neanche all'evidenza, com'è capitato al povero Simone Pini, condannato per omicidio avvenuto in un giorno in cui non era a Cuba e malgrado abbia in mano un documento originale cubano che appunto certifica che quel giorno non si trovava sull'Isola. Ma allora come si può credere che questo Paese abbia la legalità quando nemmeno esiste la coerenza?

 

CHI DOVREBBE REALMENTE

CONTROLLARE LA VERITÀ

Sono in prigione da quasi 7 anni. Ho avuto la fortuna di nascere in una famiglia sana che mi ha dato un'istruzione e un'educazione. Mai avrei pensato di venire in galera, ma il triste destino ha voluto che anch'io sprofondassi in questo pantano, dal quale non si riesce più ad uscire.

Quando ero un uomo libero avevo una concezione della galera e del detenuto molto negativa. Praticamente pensavo che un uomo che entrava in prigione era perché aveva sbagliato e che era giusto non potesse più vivere da uomo libero, costituendo un pericolo. Ero sicuro che esistesse la giustizia e non avevo dubbi sulle decisioni dei giudici. Dopo la mia entrata in prigione, però, ho cambiato completamente questa visione, perché purtroppo mi sono reso sempre più conto che in alcuni casi non si vuole consegnare alla giustizia la verità, ma un colpevole, in modo che il caso sia risolto.

Ma perché tutto questo???

Voglio chiarire che io sono ignorante di legge e che tutti i miei concetti vengono dalla mia esperienza personale e di altri detenuti, in base alla quale non ho la certezza che mi sia detta la verità; e ciò trova riscontro in talune trasmissioni televisive nelle quali vengono evidenziati gli errori della giustizia italiana.

Ma torniamo al concetto che ho espresso prima, secondo cui si permette a Questori e Pubblico Ministero di rovinare la vita di innocenti senza prove certe. Molte volte questi personaggi che gestiscono la verità non esaminano né verificano le prove a favore dell'accusato e si fidano di collaboratori o altre persone che in realtà vogliono solo la rovina dell'accusato. Prendono per certo quanto riferito sull'accusato, senza verificare il contrario e inoltre, quando poi la persona accusata grida la sua innocenza con le prove a suo favore, non viene minimamente considerata. Ma io mi chiedo perché tutto questo?!! Forse è, come dicevo io prima, che per un PM e per un Magistrato è meglio chiudere un caso trovando un colpevole, non importa se sia il vero colpevole, ma l'importante è chiudere il caso in fretta. Forse è la pressione dei superiori che ti porta a questo, perché in caso contrario ti prendi i rimproveri del tuo capo e perciò cerchi di trovare una soluzione più veloce possibile con le poche prove che hai in mano; non importa se sono inventate o fabbricate, l'importante è risolvere il caso. Non si può dire che la persona è innocente per insufficienza di prove, anche perché è una sconfitta professionale, diranno cioè che non sei capace di fare il tuo lavoro.

Io sono caduto in questa vergogna, dove nessuno risponde alle mie grida e alle mie prove chiare. Io mi trovo con un reato straniero e non italiano, ma anche nel mio caso chi dovrebbe verificare se il mio reato e tutto il lavoro fatto da Cuba per addossarmelo sia giusto non lo fa, ma ignora tutto e così si lascia un innocente in galera. Praticamente se ha un reato italiano è molto difficile ottenere una revisione della pena e di conseguenza si campi una condanna, perché chi lo dovrebbe fare, in caso di nuove prove a tuo favore, dovrebbe andare contro le decisioni prese in precedenza dal Giudice. Se invece, come nel mio caso, hai un reato straniero, ti rispondono che non sono stati loro a condannarti e stanno solo eseguendo gli accordi presi con il Paese che ti ha condannato. Praticamente si lascia un innocente in prigione, in galera, per non cambiare gli accordi firmati con il Governo del regime militare cubano fatti per il mio trasferimento.

Continuo a credere che molte volte non si voglia e non convenga lavorare bene per chi, invece, dovrebbe farlo. Non riesco a darmi altre spiegazioni a tutte queste ingiustizie.

 

“FATTI LA GALERA!”

Questa è un'espressione che si usa molto in carcere, specialmente tra detenuti. Io personalmente non la uso, anche per rispetto, ma è facile sentirla dire appunto tra detenuti. Possiamo definire questa frase “terminologia carceraria”.

Succede che molti detenuti si lamentano per la condanna, ingiusta o esagerata, o per le condizioni di vita in carcere, e allora altri ti rispondono in questo modo. Mi sono dovuto abituare a sentire questa frase in carcere dai detenuti, ma in realtà, anche se non espressa direttamente a voce, me la ribadiscono di fatto anche tutte le autorità italiane. Da più di 4 anni sono in Italia e nessuna autorità mi ha mai dato una spiegazione sull'abuso terribile che ho subito. Praticamente, anche se le autorità del mio Paese non mi hanno mai detto “Fatti la galera”, per me è come se me l'avessero detto ogni giorno. Mi sono sentito dire, molto troppo a difesa delle autorità, “non possono far niente”; “non possono cambiare le decisioni firmate e la condanna di Cuba”; “non possono intervenire”... Tante parole, da avvocati, detenuti, amici ma mai nessuna spiegazione da chi, credo, invece, dovrebbe darla. Anche se ho una condanna cubana non credo sia giusto che il mio Paese non faccia nulla per dare la giusta libertà a un innocente.

In carcere ho trovato qualcuno che mi ha dato solidarietà per la vergogna che ho subito, al principio molte personalità sono state vicine al mio dramma cercando di aiutarmi in vari modi. Ricordo le 4 interrogazioni parlamentari, le trasmissioni televisive e gli articoli di giornale a mio favore. Addirittura ho trovato un articolo che narrava di un Senatore vicentino, Filippi, che aveva consegnato personalmente documenti al Comandante della compagnia aerea Blue Panorama, Dr. Pecci, per essere poi recapitati all'Ambasciatore italiano a Cuba, Dr. Baccin. L'articolo definiva questa operazione il mio salvacondotto per la libertà. Ma non hanno tenuto conto che si stava trattando con il regime cubano che, dopo questi documenti, mi ha tolto il reato di omicidio ma subito dopo inventato un altro reato nei miei confronti. Il Governo italiano è a conoscenza di questi giochi della dittatura, ma anche se io ora sono in Italia solo grazie al cancro, non fa niente per darmi la libertà o, almeno, qualche altro beneficio.

Carcere di Padova, 23 agosto 2017

 

Luigi Sartorio


TELLUSfolio - Supplemento telematico quotidiano di Tellus
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