Telluserra
Maria Lanciotti. L’Azione Cattolica Italiana e la Vergine della Rivelazione 
Alla ricerca della spiritualità – 5
Le Gio
Le Gio' al Tuscolo - Frascati (RM) 
12 Giugno 2017
 

Facevo parte dell’Azione Cattolica – ma senza saperlo – prima ancora di andare a scuola. Fra gli Angioletti e Piccolissime, quando le suore mi mettevano la veste bianca, le alucce e la coroncina di fiori e m’issavano sul carro accanto alla statua del Patrono in processione per il paese, poi nella categoria Beniamine. Solo allora seppi della mia appartenenza a quel Movimento importante che – ci dicevano le suore – comprendeva tante associazioni giovanili e contava milioni d’iscritti. Una cifra che all’epoca non diceva nulla, si sentiva parlare solo di lire, ma dovevano essere tanti, tantissimi, un numero incalcolabile. Da Beniamina divenni Aspirante e cominciarono i divertimenti. Gite, gare di ping-pong, recite, incontri e tante iniziative in cui si lavorava in gruppo con entusiasmo. Si occupavano di noi le Giovani dell’ACI, Teresa e Irene le più impegnate e presenti, sempre allegre e piene d’idee, affettuosissime ma anche severe all’occorrenza. Specialmente Teresa, alta e robusta, le mani grandi di lavoratrice della terra e la voce forte quando ci sgridava richiamandoci all’ordine. Quando si faceva un’escursione o si andava in gita, Teresa si metteva alla testa della piccola colonna e ci guidava come un generale.

Si partiva a piedi per recarsi in qualche vicino convento in cui passare la giornata, spesso dai Padri Trappisti, a Frattocchie sulla via Appia Nuova, che facevano un cioccolato speciale e ce ne offrivano sempre in abbondanza. Oppure si andava alla Torre dell’Acqua Sotterra, passando per le vigne, dove all’ombra del grande pino si faceva anche pranzo e merenda. O al Sassone, in una grande tenuta con uliveto e alberi da frutta, soprattutto peschi, dove c’era una chiesina che i proprietari – si sentivano nominare Capri Cruciani e Zaccaria Negroni, impegnati in politica e con la Chiesa – concedevano per uso pubblico.

Si partiva da Ciampino la mattina presto e si tornava a sera stanchi morti e felici, gonfi di sole e di frutta. Il parroco del Sacro Cuore era a quei tempi don Vittorino, una bella tempra, che si occupava di noi ragazzi come un padre, fra una sgridata e una carezza. Lui faceva la spola con la sua Vespa e ci raccattava a turno lungo il percorso, portandoci a destinazione sia all’andata che al ritorno. Il ronzare della Vespetta si sentiva da lontano ed ecco arrivare tutto pettoruto don Vittorino, capelli al vento e tonaca stretta fra le ginocchia.

Svelte che si fa notte!” e subito Teresa issava due di noi, chi davanti e chi dietro, iniziando sempre dalle più piccole. Don Vittorino ripartiva e dopo un quarto d’ora era già di ritorno per un altro carico.

Quella volta non avevo voglia di aspettare il mio turno. Non ero più tra le piccole, mi sentivo già grande e capace. Cominciai ad avviarmi per la stradella di campagna e arrivata all’incrocio, che era molto pericoloso, mi fermai, incerta se proseguire o aspettare don Vittorino. Ma ecco che quasi subito un’auto si fermò e il conducente mi chiese se volevo un passaggio. Dietro di lui sedevano due ragazzini e pensando che fossero i suoi figli accettai l’invito, seppure con un senso di malessere sapendo bene che stavo trasgredendo a una raccomandazione che mi era stata sempre fatta: non dare confidenza agli sconosciuti.

L’uomo mi fece sedere davanti, mi chiese gentilmente dov’ero diretta e ripartì. Nessuno parlava e il mio disagio cresceva, ero già pentita di quella mia bravata e se avessi potuto sarei tornata indietro. Stavamo arrivando in parrocchia quando quel signore, rivolgendosi più ai due ragazzini che a me, disse: “Si deve stare attenti quando qualcuno offre un passaggio o qualsiasi altra cosa, non tutti sono brave persone”. E fu per me una bruciante lezione. Don Vittorino mi aspettava sul sagrato, pronto a sbranarmi. Ma quando gli fui davanti, stropicciandomi le mani a testa china, si limitò ad alzare gli occhi al cielo invocando quel diosantosantissimo che tirava in ballo nei momenti critici. Poi fu la volta di Teresa e delle altre Giovani, che mi dettero una sonora strigliata, dopo aver ricevuto la loro parte di rimproveri per non aver vigilato abbastanza.

In tutto quel trambusto stranamente mi sentii confortata, come una pecorella smarrita che ritrova la sicurezza e il calore del gregge.

 

Nella scuola c’era la cappellina, dove mi rifugiavo durante la ricreazione per parlare con Gesù e la Madonna. Mi sentivo molto in confidenza con loro, che mi guardavano con un sorriso vago e mi ascoltavano senza battere ciglio. A loro potevo dire tutto, certa che sarebbe rimasto un segreto fra noi.

Pensieri molesti mi passavano spesso per la mente, cozzando fra loro. Io stavo nel mezzo, con le spallucce curve e la testa scoppiettante, mentre forze avverse si davano battaglia aggrovigliandosi fra loro.

Si parlava allora della Madonna delle Tre Fontane a Roma, e delle apparizioni miracolose che rendevano sacro quel luogo, così chiamato perché pare che proprio lì fosse stato decapitato san Paolo e la sua testa rimbalzando per tre volte avrebbe fatto scaturire altrettante sorgenti.

La storia mi piaceva, così come mi piacevano le favole che leggevo o che m’inventavo, ma non riuscivo a convincermi che fosse vera e qui stava il mio cruccio: non avevo abbastanza fede.

Ma che cos’è la fede? chiedeva una vocetta dentro di me, e io la scacciavo con una sgrullata di spalle perché era la voce del demonio che mi voleva indurre in tentazione; mentre quella dell’angelo custode mi ricordava quello che sapevo a memoria, e cioè che la fede è un dono di Dio riservato ai cristiani.

E perché proprio a loro e solo a loro? rincarava la vocetta, ma l’angelo la metteva a tacere, mentre il diavoletto si ritirava scornato in una vampata puzzolente.

Il fatto è che la Madonna delle Tre Fontane diventò in quel periodo più rinomata di quella del Divino Amore, e i devoti per non fare torti si dividevano fra i due luoghi di culto: una domenica al santuario del Divino Amore e l’altra alla grotta delle apparizioni alle porte di Roma, nei pressi dell’abbazia dei Padri Trappisti.

E la vocina chiedeva: “Ma quante madonne ci sono?” ed io mi battevo il petto cercando di tappare la boccuccia impertinente.

Si raccontava che la “Vergine della Rivelazione”, come fu chiamata la Madonna delle Tre Fontane, si fosse manifestata a un uomo senza più fede, un cattolico che poi era diventato protestante, che non credeva alla verginità della Madonna e battagliava per demolire questo dogma della chiesa. Ma dopo l’apparizione – a lui e ai suoi tre figli – si riconvertì al cattolicesimo, e pentito e convinto divenne il primo assertore dell’Immacolata Concezione come già stabilito un secolo prima con le apparizioni di Lourdes.

E la vocina petulava: “Per favore, qualcuno mi spiega perché quando appare la madonna ci sono sempre di mezzo tre bambini? e che vuol dire immacolata concezione, si tratta sempre di questa benedetta verginità?” “Silenzio!” m’imponevo io stessa, e con la mente bloccata lasciavo la cappellina in penombra e tutti i santi misteri che racchiudeva.

Ma un giorno la domanda che non osavo neppure formulare mentalmente mi scappò fuori mentre eravamo in classe, e la suora – prendendola alla larga e con le molle – ci spiegò che cosa vuol dire immacolata concezione.

Intanto è una festa solenne che ricorre l’8 dicembre, in preparazione del Natale. Ora, quando si aspetta la nascita di un bambino, è normale che si parli della madre. Figuriamoci quando si tratta del messia che tutto il mondo aspetta! La madre di Gesù si chiamava Maria, era una giovinetta buona e obbediente ed era ebrea.

Madre, che vuol dire ebrea?

Shhh, non s’interrompe quando la suora spiega. – E continuava la lezione.

Maria, vergine e pia, era raccolta in preghiera quando le apparve l’arcangelo Gabriele (e la mia mente correva ai santini con l’annunciazione, tante immaginette diverse per raccontare la bellezza di quest’angelo splendente di luce e con le ali immense che si chiudevano sul corpicino di Maria, inginocchiata sul mattonato di un portico) e così la saluta: “Ave, piena di grazia. Il signore è con te”.

Ah, l’Ave Maria!

Shhh – sguardo severo, dito sulla bocca.

E le dice che avrà un bambino e sarà il figlio di Dio. Poteva scegliere Dio una persona che non fosse buona e pia e vergine per far nascere suo figlio?

Noooo!

Quando una mamma aspetta un bambino prepara tutto il meglio che c’è per accoglierlo, pulisce la casa, gli cuce il corredino e gli prepara la culla, e così ha fatto Dio per il suo unico figlio, preparandogli la mamma migliore. La fa nascere senza peccato fin dal concepimento, da sant’Anna e san Gioacchino, i nonni di Gesù, che erano già molto anziani quando nacque Maria, ma avevano tanto pregato per averla.

Chi, la mamma di Gesù?

Shhh! – (e la bacchetta si abbatte sui banchi e sfiora minacciosa le mani dei maschietti. Le femminucce no, non si picchiano, a loro s’insegna ad essere docili e obbedienti e pure e caste).

Maria nacque senza il peccato originale, quella brutta macchia che imbratta l’uomo da quando Adamo ed Eva, disobbedendo a Dio, mangiarono il frutto proibito e furono cacciati dal paradiso terrestre. E Maria non commise mai alcun peccato, né veniale né mortale, in tutta la sua vita. (Oh Gesù, perché io non sono come la Madonna? Perché io faccio peccati di gola, rispondo male ed ho cattivi pensieri, e mangio pure la frutta proibita quando colgo pesche e susine non ancora mature e Dio mi punisce con il mal di pancia?) Avere una mamma senza peccato originale è un dono immenso, riservato solo al figlio di Dio, a Gesù di Nazareth e per questo sarà detto il Nazareno, che era stata scelta dal Padre dall’eternità e preservata da ogni male. (Ah, allora non era solo merito di Maria!) E Maria obbedisce ma poteva pure non farlo, bastava che dicesse no. (Ma come, dopo tutta questa preparazione dall’alto…)

Madre, ma…

Shhh!!!

L’angelo non ordina, chiede. E Maria risponde: “Eccomi, sono la serva del signore, avvenga di me quello che hai detto”. E come Maria si è fidata di Dio così noi dobbiamo fidarci e dire sì alla sua chiamata in ogni momento della nostra vita. Salve Regina…

E gementi e piangenti in questa valle di lacrime, noi esuli figli di Eva passavamo dall’ora di religione al compito di matematica – finalmente due più due! – che svolgevamo sotto lo sguardo niente affatto misericordioso della nostra maestra che girava tra i banchi picchiettando con la bacchetta le testoline in ebollizione.

 

Maria Lanciotti

 

 

Alla ricerca della spiritualità

5 (segue)


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