Habáname
“Si è simili al proprio paese e più lo si nega, più lo si diventa”: Wendy Guerra 
La scrittrice cubana pubblica “Domingo de Revolución”. Intervista di Héctor González
Wendy Guerra con Anagrama Editor (Guadalajara)
Wendy Guerra con Anagrama Editor (Guadalajara) 
24 Maggio 2017
 

Cleo è una giovane poetessa che vive all’Avana, un’autrice fonte di sospetti. La Sicurezza di Stato e il Ministero della Cultura credono che il suo sia un successo congegnato dal “nemico” come arma di destabilizzazione, un’invenzione della CIA. Per un certo gruppo di intellettuali dell’esilio, invece, Cleo con i suoi argomenti critici, è un’infiltrata dell’intelligence cubana. Intrappolata in questo andirivieni di ragionamenti, censurata e ignorata a Cuba, è la scrittrice controversa ma di successo tradotta in diverse lingue che scuote chi la legge fuori dall’isola. Dalla protagonista di Domingo de Revolución (Anagrama, 2016), emergono alcuni tratti personali di Wendy Guerra. “Mi interessa la politica dell’intimità. In questo sì, Cleo possiede un pezzo della mia anima. Come in tutti i miei romanzi, la politica entra dalla finestra”, riconosce la stessa autrice di titoli come Todos se van, Posar desnuda en La Habana e Negra, tra gli altri.


Il rapporto difficile tra i cubani e il loro Paese è un argomento che la perseguita, perché?

Deve essere perché mi trovo ancora dentro al Paese. Ora che iniziamo a vedere le trasformazioni che hanno seguito la morte di Fidel Castro, mi domando se tutti noi cubani, nel bene e nel male, non abbiamo un po’ di lui nel sangue. Credo che il problema sia instillato in noi. Non credo che mi perseguiti, è qualcosa che si trova dentro di me e fuoriesce nella letteratura, dove non si può mentire. La letteratura è un’analisi del sangue.


Nel romanzo parla di una scrittrice che ha vinto un concorso di poesia, ogni similitudine con la realtà non è una semplice coincidenza?

Sì, ma non è il mio caso. Nel romanzo parlo di un premio esagerato e molto remunerato. La mia esperienza è stata diversa. Quando vinsi il mio primo premio tramite l’Università dell’Avana, con la raccolta di poesie Platea oscura, avevo quattordici anni e lo condivisi con Alex Fleites, un eccellente poeta, giornalista ed essere umano. Allora dissero che mia madre mi scriveva le poesie; quando lei morì pensavano che i miei libri li scrivesse García Márquez o Eliseo Alberto. Ho avuto parecchi problemi di credibilità in esilio, soprattutto in Messico.


Perché?

Pensavano che mi avesse addestrato la Sicurezza di Stato. Sono processi o espedienti mentali intricati, che funzionano solo nella testa cubano, che ha vissuto in questo sistema così chiuso. Affinché questi attacchi non mi danneggino li sfrutti per parlare di Cleo, la mia protagonista.


In Domingo de Revolución parla di politica ma dalla trincea dell’individualità.

Mi interessa la politica dell’intimità. In questo sì, Cleo possiede un pezzo della mia anima. Come in tutti i miei romanzi, la politica entra dalla finestra. Per quanto uno serri la casa, la realtà è più forte. La verità, il dolore e il sospetto entrano sempre dalla finestra.


Il personaggio della collaboratrice domestica diventa, in questo senso, enigmatico per l’ambiguità che racchiude.

È così, perché non sai se ti protegge o ti sorveglia. Il mio rapporto con Cuba è simile, non so se mi salva o mi distrugge, ma il prezzo pagato da Cleo e da me stessa è restare a difendere cose che sono nel tuo sangue e non sono estranee. È la politica della mia vita.


All’inizio ha detto che Cuba ha qualcosa di Fidel dentro; anche in Messico si dice che tutti portiamo qualcosa del PRI (Partito Rivoluzionario Istituzionale, ndt). Fino a che punto i governatori sono riflesso della loro società?

Si è simili al proprio Paese e più lo si nega, più lo si diventa. Se negassi la mia parentela con Cuba, negherei una verità proprio come Cuba nega molte delle sue tacite verità. Condivido con la mia terra l’aspetto indomito, solitario e indipendente. Le assomiglio nel bene e nel male. È ovvio che adesso Cuba si discosta di più dai suoi figli e inizia ad avere reazioni più anomale. Parliamo sempre meno del sistema che i nostri genitori e i nostri nonni hanno voluto fondare. Cuba inizia a somigliare a sé stessa e noi incominciamo a emigrare o a scrivere questi tipi di libri. L’utopia e la sinistra ci hanno abbandonato.


Senza Fidel Castro quale nuova configurazione si dà la letteratura cubana?

Fidel è inoculato nelle strutture. La rivoluzione cubana è un fatto ed è difficile scappare.

 

Héctor González

(da Aristegui Noticias, 21 maggio 2017)

Traduzione di Silvia Bertoli


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