Prodotti e confezioni [08-20]
Poesia d'autore/ Vladimir Majakovskij. In morte di Esenin 
Superbamente interpretata dal grande Carmelo Bene
17 Marzo 2017
 

Voi ve ne siete andato,

come suol dirsi,

all'altro mondo.

Il vuoto…

Volate,

fendendo le stelle.

Senza un acconto,

senza libagioni.

Sobrietà.

No, Esenin,

questo

non è dileggio, -

in gola

ho un groppo di pena,

non un ghigno.

Vedo

che con la mano recisa, esitando,

dondolate il sacco

delle vostre

ossa.

Smettetela,

cessate!

Siete matto?

Lasciarsi

imbiancare

le guance

dal gesso mortale?

Proprio

voi che

sapevate sbizzarrirvi,

come nessun altro

a questo

mondo.

Perché,

a che scopo?

L’incertezza ha provocato scompiglio.

I critici borbottano:

«Le cause

sono queste

e quelle,

e in specie

lo scarso affratellamento

per effetto

della molta birra e del molto vino».

Si dice

che se aveste sostituito

la bohème

con la classe,

la classe avrebbe influito su di voi

e non vi sareste più accapigliato.

Già, come se la classe

spegnesse la sete

col «kvas».

La classe

anche lei non scherza nel bere.

Si dice

che, a mettervi accanto

qualcuno di «Na postù»,

sareste diventato

assai più bravo

nel contenuto:

voi

avreste scritto

al giorno

centinaia di versi

stucchevoli

e lungagginosi,

come Doronin.

Ma, a parer mio,

se si fosse avverata

una tale incongruenza

vi sareste soppresso

ancor prima.

Meglio infatti

morire di vodka

che di tedio!

A noi

non sveleranno

i motivi della perdita

né il cappio

né il temperino.

Forse,

ci fosse stato

inchiostro all’«Angleterre»,

non avreste avuto ragione

di tagliarvi

le vene.

Gli epigoni si rallegrarono:

«Imitiamolo!»

Poco mancò

che un drappello di loro

non facesse di sé giustizia.

Perché

aumentare

il numero dei suicidi?

Meglio

accrescere

la produzione d’inchiostro!

Ora

per sempre

la lingua

è chiusa tra i denti.

È inopportuno

e penoso

coltivare i misteri.

Il popolo,

creatore del linguaggio,

ha perduto

un reboante

sbornione apprendista.

E c’è già chi porta

rottami di versi in suffragio

da precedenti

esequie,

quasi senza rifarli.

Nel tumulo

conficcano

pali di ottuse rime, -

è così

che bisogna onorare

un poeta?

Per voi non è stato sinora

fuso alcun monumento

dov è

il bronzo squillante

o il granito a faccette? -

e già ai cancelli della memoria

poco per volta

hanno ammucchiato

le ciarpe delle dediche

e delle ricordanze.

Il vostro nome

nei fazzolettini è moccicato,

Sobinov sbava

la vostra parola

e canticchia

sotto una betullina stenta:

«O amico mio,

né un so-o-o-spir».

Eh,

poter discorrere altrimenti

con codesto

Leonid Lohengrinyč!

Potersi qui levare,

tonante attaccabrighe:

«Non vi permetto

di cincischiare

i miei versi!»

Poterli

assordare

con un fischio a tre dita

contro la nonna

e Dio, la madre, l’anima!

Perché si disperda

l’inetta marmaglia,

gonfiando

come vele

un nuvolo di giacche,

perché

alla spicciolata

Kogan se la batta,

storpiando

i passanti

con le picche dei baffi.

Finora

il canagliume

s’è poco diradato.

Molto è il lavoro,

occorre fare in tempo.

Bisogna

dapprima

trasformare la vita

E, trasformata,

si potrà esaltarla.

Quest’epoca

è difficiletta per la penna.

Ma ditemi

voi,

sciancati e sciancate,

dove,

quando,

qual grande si è scelto

una strada

più battuta

e più facile?

La parola

è un condottiero

della forza umana.

March!

Che il tempo

esploda dietro a noi

come una selva di proiettili.

Ai vecchi giorni

il vento

riporti

solo

un garbuglio di capelli.

Per l’allegria

il pianeta nostro

è poco attrezzato.

Bisogna

strappare

la gioia

ai giorni futuri.

In questa vita

non è difficile

morire.

Vivere

è di gran lunga più difficile.

 

 



TELLUSfolio - Supplemento telematico quotidiano di Tellus
Dir. responsabile Enea Sansi - Reg. Trib. Sondrio n. 208 del 21/12/1989 - R.O.C. N. 7205 I. 5510 - ISSN 1124-1276