Aperitif all'Apeiron
René Descartes ci pensa su 
di Gianfranco Cordì
18 Marzo 2017
 

Incontro René Descartes, all’Ápeiron, in una fredda mattina di gelo. Il filosofo francese è da qualche giorno nella nostra città, ospite in casa di amici. Non si sente volare una mosca nell’Ápeiron: tutto sembra distante, tutto sembra che sia stato già pagato. Probabilmente, penso, questo è l’effetto che fa Descartes al mondo degli uomini. Il livellatore, l’uomo che ha inaugurato il pensiero moderno fondando ogni cosa sulla ragione e sulla soggettività. Un cameriere alto ci serve l’aperitivo.

GIANFRANCO: «Ho scritto una poesia che ti riguarda».

DESCARTES: «Come si intitola?»

GIANFRANCO: «L’uomo che aveva ragione».

DESCARTES: «Se ti va puoi recitarmela».

GIANFRANCO: «Eccola». Cominciai così a recitare alcuni versi:

«In vita non sono stato mica un fesso

Io feci del mio problema me stesso

Così pronto a ogni situazione

Formulai il principio dell’unità della ragione

Gli elementi del mio metodo, fai attenzione

Sono tali solo se presentano chiarezza e distinzione

E adesso?

Mi sono nascosto in un recesso:

Avendo paura del lupo di Gubbio

Misi tutto quanto in dubbio

Alla fine, dopo un goccio di rum

Restava solo che: cogito ergo sum

Questa era la grande verità

Il fondamento è la soggettività».

Descartes parve apprezzare: «Molto bella» disse.

GIANFRANCO: «La verità è che tu hai creduto molto nell’uomo: gli hai dato una chance».

DESCARTES: «In cos’altro dovevo credere?»

GIANFRANCO: «Ma dopo di te l’uomo sarà sempre più decentrato. Copernico dirà che non è il centro dell’universo. Freud che contiene dentro di sé delle parti inconsce, inconoscibili, Darwin che sopravvive solo grazie a dei meccanismi di evoluzione di tipi adattativo e che quindi non ha alcuna forza e alcuna gravità centrale che lo sorregga».

DESCARTES: «Il mio problema era diverso: volevo scoprire il metodo con il quale opera la ragione in riferimento ai processo di conoscenza».

GIANFRANCO: «Sì. Tu volevi scoprire ciò che è vero e ciò che è falso».

DESCARTES: «Infatti».

GIANFRANCO: «E hai trovato una giustificazione e un fondamento per tutti gli esseri umani».

DESCARTES: «Infatti. Il mio cogito, ergo sum al di là di tutti i dubbi che uno può avere è l’unica certezza originaria».

GIANFRANCO: «Io penso, siamo d’accordo».

DESCARTES: «Se non pensassi non potrei mettere in dubbio ogni cosa».

GIANFRANCO: «Io sono sostanza».

DESCARTES: «Sì, res cogitans: sostanza pensante».

GIANFRANCO: «Non sono l’oggettività dell’estensione rispetto agli altri caratteri dei corpi».

DESCARTES: «Ci sono la res cogitans e la res extensa».

GIANFRANCO: «Io sono sostanza pensante: penso, metto tutti in dubbio e salvo solo me, che penso tutto quanto questo: io devo essere alla fine qualcosa se sto pensando».

DESCARTES: «Io penso, dunque sono».

GIANFRANCO: «Io penso dunque penso».

DESCARTES: «Ho capito dove vuoi arrivare: a tuo giudizio ho caricato l’uomo di troppe responsabilità. Ma l’unica cosa che non ho potuto mettere in dubbio è proprio la soggettività umana».

GIANFRANCO: «Potevi farlo. Potevi dire: io sono pensato da qualcosa…»

DESCARTES: «Non c’è dubbio ma esiste un evidenza chiara e distinta: io stesso sono pure qualcosa».

GIANFRANCO: «Ma tu potevi mettere in dubbio anche questo: io stesso non sono che una cosa che dubita e una cosa che dubita è solo un particolare stadio di un essere umano. Una sua particolare conformazione».

DESCARTES: «Come lo è il pensare».


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