Arte e dintorni
Alberto Figliolia. Meret Oppenheim al LAC di Lugano 
Opere in dialogo da Max Ernst a Mona Hatoum
Meret Oppenheim,
Meret Oppenheim, 'Ritratto con tatuaggio', 1980 - Fotografia con intervento a pochoir, 29.5x21cm 
07 Marzo 2017
 

Non sono io che ho cercato i surrealisti,
sono loro che hanno trovato me

Meret Oppenheim

 

 

Musa ispiratrice, ma anche soggetto creatore. Testimone privilegiata e operatrice artistica ad ampio raggio. Meret Oppenheim (1913-1985) – padre tedesco e madre svizzera – ha attraversato il Novecento come una delicata bufera, dolcemente dirompente il suo prestarsi e agire nell'alveo surrealista, suggestionando e suggerendo, posando (anche in senso letterale) e proponendo le proprie intelligenti, originali, infinite variazioni. Sino al 28 maggio il LAC-Lugano, Arte e Cultura ospiterà la mostra Meret Oppenheim. Opere in dialogo da Max Ernst a Mona Hatoum”.

I maestri, colleghi e compagni di viaggio rispondevano al nome di Man Ray, Marcel Duchamp, Max Ernst, Alberto Giacometti, Hans Arp et alii: «...emerge soprattutto quanto l'artista abbia contribuito con la propria personalità e il proprio fascino a influenzare l'immaginario surrealista in cui gli oggetti divengono feticci, si intrecciano fantasie oniriche ed erotiche, la donna è ora creatura candida ora ambigua sullo sfondo di una natura misteriosa».

Muovendosi, nella sua ricerca, fra figurativo e astrattismo, fra pittura, fotografia e installazione, la Oppenheim ha fortemente segnato di sé non pochi decenni dell'arte europea, punto di riferimento per i vari Daniel Spoerri, Birgit Jürgensen, Robert Gober, Mona Hatoum. I lavori di Meret, difatti, sono nella mostra posti in dialogo con quelli coevi o successivi di altri, con la medesima tempesta di sensibilità, in un percorso cronologico-creativo affascinante e foriero di potenti stimoli, come ben evidenziato dalle sezioni dell'esposizione (e del bellissimo catalogo Skira): Riflessi dada e surrealisti; Invito a colazione; Corpo e materia; Sogni e archetipi; Creature della natura; Fra terra e cielo; Autoritratti, amici, ritratti; Maschere.

Icona della mostra è il Röntgenaufnahme des Schädels M.O., ossia la radiografia del cranio dell'artista, provocatoria fotografia in bianco e nero del 1964, ripresa tecnologica di un'idea rinascimentale, soltanto in apparenza iconoclastica (quali i confini che racchiudono il bello, il cui orizzonte invece si espande?).

Del 1966 è Bon Appetit, Marcel-La regina bianca (materiali vari), nel quale un pezzo degli scacchi (di natura carnale e femminile) viene posto in un piatto su una scacchiera, con tanto di forchetta, coltello, tovagliolo e bicchiere: una sorta di colazione in odor di tabù, fra lo ieratico e il cannibalico.

Fra il disturbante e il sarcastico è il Porträt mit Tätowierung-Ritratto con tatuaggio (1980, fotografia con intervento a pochoir), magnifico pendant-parallelo con il nudo scattatole da Man Ray nel 1933: Erotique voilée, Meret Oppenheim à la presse chez Louis Marcoussis, immagine di disinibizione conturbante nelle sue linee e curve fisiche e meccaniche, l'inchiostro a sporcare il corpo, quasi un principio di simbiosi fra essere umano, spirito e macchina.

Procediamo nella visita... Das Paar (1956), scarpe in pelle che si baciano, inutilmente romantiche o romanticamente inutili; i Sandals pour Schiaparelli-Projekt für Sandalen (1936, acquerello e matita), calzature pelose e dentate...; Tisch mit Vogelfüssen-Tavolo con zampe d'uccello (1939/1982, piano: legno intagliato e dorato-piedi: bronzo), ludicamente inquietante; Handschuhe (Paar)-Guanti (Paio), con vasi arteriosi serigrafati, a confondere ancora una volta sensi e intelletto: anatomia, funzioni e finzioni; l'olio su cartone del 1940 Die Erlkönigin-La regina degli elfi, fiabesco e perturbante, con l'imponente chioma dell'albero candidissima e acida; l'esoterico, cupo e naturalistico Die Waldfrau, uno splendido olio su pavatex del 1939; Mädchen, Arme über den Kopf erhoben-Ragazza con le braccia sopra la testa (1961, matite colorate), prova di semiastrattismo geometrico a denotarne l'immensa versatilità; Vogel mit Parasit-Uccello con parassita (1939, olio su tavola), parafrasi di un tarlo sociale (o dell'anima?): l'orribile similpipistrello che sorge dal dorso dell'uccello in volo, sua metastasi, scuote la coscienza; Einige der ungezählten Gesuchter der Schönheit-Alcuni degli innumerevoli volti della bellezza (1942): sognante, amniotico, nebuloso come una ridda di pensieri simbolici; la geniale Steinfrau-Donna in pietra (1938), fra il minerale e l'organico, e Les Galets-I ciottoli (1933), biancogrigio accumulo di materia in/su un altro più tenue biancogrigio, ossia i colori del nulla; l'incredibile La fin embarassade-Fine e scompiglio (1971, olio su tela): un fallo crocifisso con due chiodi e un bruco ai piedi della croce, che giace su un uovo-grembo, a lanciare un muto urlo di dolore e impotenza.

Meravigliosa appare, inoltre, la sezione delle maschere: fra il ferino e il divertissement, dalle più profonde e remote zone dell'inconscio al disegno della devianza, al gioco multiforme della diversità, cui non è estraneo il gusto del travestimento, tipico dei surrealisti, mischiato al tema dell'identità (individuale o di genere) o all'ossessione dell'idea del doppio e della metamorfosi.

Stupiscono anche le opere degli altri artisti che fungono da “contraltare”: il Red Shoe in cera colorata di Robert Gober, Le modèle rouge di René Magritte, la Femme debout di Alberto Giacometti, il Guant de femme aussi di André Breton, la Sfinge di Leonor Fini, e Man Ray, Yves Tanguy, Marcel Duchamp, Francis Picabia, Max Ernst...

Come sempre, peraltro, l'allestimento al LAC si rivela prezioso e perfetto. L'itinerario di visita è come un lento disvelamento, sino all'ultima sala, quella dall'amplissima vetrata che si getta sul lago e sulle sue liquide luci: lì campeggia Hermesbrunnen-La fontana di Ermete (1966, gesso dipinto e metallo), in cui i due serpenti intrecciati, simbolo di sessualità e fertilità, convivono con la farfalla, simbolo di candore, terra e inferi da un lato-aereo slancio e anelito dall'altro. Quel che in fondo è la vita, con la sua magnificente imprevedibile dicotomia.

 

Alberto Figliolia

 

 

Meret Oppenheim-Opere in dialogo da Max Ernst a Mona Hatoum. Sino al 28 maggio 2017. LAC Lugano Arte e Cultura, Piazza Bernardino Luini 6, Lugano (CH).

Orari: martedì-domenica 10-18, giovedì aperto fino alle 20, lunedì chiuso.

Info: +41 (0)588664230,

info@masilugano.ch, www.masilugano.ch


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Dir. responsabile Enea Sansi - Reg. Trib. Sondrio n. 208 del 21/12/1989 - R.O.C. N. 7205 I. 5510 - ISSN 1124-1276