Archeologia editoriale
Silvano Martini. Tre tempi per un cielo/ 4. 
Frammenti di un discorso sull’arte
Gino Bogoni
Gino Bogoni 
15 Febbraio 2017
 

Una donna sale per una scala che sporge nuda da una parete. Ma la scala è là, isolata,con i gradini dissolti davanti e alle spalle della figura che ne occupa pochi gradini. Da un pavimento aperto lo sguardo va sulla città, bassa e lontana, e da questa in un’altra città sottostante. Le scatole dell’essere si schiudono senza fine sotto l’attenzione penetrante di chi sa guardare dentro le cose. Un corpo dorme nel cielo. Nel cielo si cammina, si naviga e ci si perde come in una foresta. Lo spazio si fa grande e invade l’essere. Il piccolo si fa smisurato. Un ammasso materico perde la sua pesantezza, e vola. C’è dunque un al di là delle cose. Le cose non hanno i limiti che attribuiamo loro. I limiti cadono e si dissolvono. Le cose si dilatano e occupano tutto lo spazio loro concesso. Entrano e si danno altri volti e altri nomi. Noi siamo e possiamo essere il circuito della memoria. Il presente dev’essere oltrepassato per diventare un presente veramente vissuto. Tutto si adagia in un fondo e si ordina secondo statuti che hanno dell’inverosimile, del meraviglioso e dell’estremamente concreto. Le cose non sono soltanto in quello che immediatamente concedono. Sono un al di là di se stesse. Un passo dentro di esse. Una mano che scosta la loro carne per rivelare il gioco di sorprendenti interiorità. La vita sembra avere uno sbocco nell’immenso ogni volta che obbedisce al richiamo che dice: più in là. Dietro quella collina. Dietro quella nube. Dietro tutta quella luce folgorante. Là dove sembra estendersi il vuoto e sembra morta qualsiasi luce. Così il discorso germinato conosce la sua unità, nei colori di una fervidissima immaginazione.

 

 

 

Silvano Martini, Tre tempi per un cielo

Frammenti di un discorso sull’arte

Anterem Edizioni, 1995, pp. 88

 

4 – segue


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