Itinerari
Stefano Bardi. Quaranta due anni senza di te 
In ricordo di Massimo Ferretti
20 Novembre 2016
 

Per molti marchigiani Chiaravalle significa Maria Montessori, la grandissima pedagogista che attraverso il suo metodo di insegnamento ha rivoluzionato il modo di insegnare nelle scuole d’infanzia, mettendo al centro del suo metodo il bambino e il gioco. Una donna sulla quale poco si dice e alla quale bisognerebbe rendere giustizia con iniziative di qualità e spessore, che purtroppo non avvengono, o se avvengono sono poche e rare. Però Chiaravalle non significa solo ed unicamente Maria Montessori, ma significa anche l’Abbazia di Santa Maria in Castagnola e dal 2014 significa Bosco Sabbatini, l’operaio della Manifattura Tabacchi ucciso dai tedeschi il 20 giugno 1944 all’interno della fabbrica, per difendere il suo posto di lavoro e i macchinari.

Ma Chiaravalle è anche la terra natale di uno dei più grandi scrittori novecenteschi, Massimo Ferretti (Chiaravalle, 13 febbraio 1935 – Roma, 20 novembre 1974). Nativo di Chiaravalle, visse e lavorò fino alla sua morte a Roma, e una volta dipartito ritornò nelle sue adorate Marche, dove oggi riposa nel Cimitero locale di Jesi, in totale pace e all’ombra degli alberi. Una vita sempre in movimento, tipica delle grandi firme letterarie!

Non è del Ferretti poeta che voglio parlare, il quale sarà ripreso da me verso la fine, ma del Ferretti romanziere, di cui sono personalmente convinto che è stato ancora più grande del Ferretti poeta. È il 1961 quando esce la prima edizione del suo romanzo di formazione, Rodrigo. In questa edizione la trama del romanzo si ispira ad un fatto tragico successo nella sua famiglia, cioè il suicidio del cugino; suicidio dovuto dalla disperazione di non avere più nulla economicamente e affettivamente. È del 1963 l’edizione definitiva di questo romanzo, in cui la dimensione autobiografica è messa da parte e il suicidio di suo cugino, e la vita di Massimo Ferretti, sono presenti solo attraverso delle rimembranze sparse. Rodrigo è un sogno oscuro di un vate che ha abitato nella lingua, e la voce di Massimo Ferretti è alternata con quella di Rodrigo, le quali sono affiancate dalle nostalgie, che sono rimembrate per essere volutamente oscurate. Il protagonista del romanzo si è ammazzato perché stanco di divertirsi. La storia intima del personaggio è una storia di agonia, che rimanda alla parola morte, seppure la morte non è presente all’interno del romanzo. La lingua del romanzo, è un lingua che si muove fra il vernacolo e la koinè piccolo borghese.

Nel 1965 esce il suo secondo romanzo dal titolo Il gazzarra. Un romanzo sperimentale, e proprio come i romanzi di questo genere, si concentra sul “come” fare un romanzo, cioè sulle modalità, le tecniche, lo stile, e il linguaggio; e cerca di dare una risposta alla domanda tipica di ogni scrittore, cioè, che cosa può essere e fare la Letteratura? Più precisamente questo “canovaccio scritto senza scopo e senza destinatari”, vuole investigare fino alla fine l'intera falsità della canonica lingua italiana, per scovarne tutte le sue usabilità. Questo romanzo è privo di contenuto, non ha una trama, ed è fortemente “illeggibile” e intransitivo. Nel romanzo, il gioco è inteso come insignificanza totale, decadimento dell’uomo, e ritorno alla prelogica; la parola si sostituisce all’azione, cioè la parola ha il compito di creare e sviluppare il romanzo. Non una ma tre conclusioni, per quest'opera. Secondo la prima summa, possiamo affermare che questo romanzo è scritto, ma non è letterario, poiché per il Ferretti la letteratura è fragilità, scaltrezza, purezza, logica, e stoltezza. La seconda summa, vede quest'opera come una distruzione della letteratura e una salvaguardia della lingua italiana, attraverso la quale, il Ferretti fa sopravvivere il Mondo degli Uomini seppur visto e analizzato, in modo pessimistico e demoniaco. La terza e ultima summa, concepisce quest'opera come una letteratura fuori dalla letteratura, ovvero, una letteratura senza più nessun canonico mezzo stilistico.

Nel 1974, poco prima della sua morte, inizia la stesura del suo terzo e ultimo romanzo rimasto incompiuto dal titolo “Trunkful”. Poco più di cinquanta pagine, in cui si possono vedere delle rimembranze autobiografiche in riguardo all’amicizia luminosa prima e burrascosa poi di Ferretti con Pier Paolo Pasolini, attraverso i rimandi delle lettere del ventenne Ferretti, indirizzate all’amico e scrittore bolognese. L’intento del romanzo è quello di far ritrovare alla Letteratura la sua “luce”, per sottrarla alla pura e mera commercializzazione. La scrittura di questo romanzo incompiuto, è una scrittura che parla direttamente alla mente e al cuore del lettore.

 

Come detto da me all'inizio dell'analisi romanzesca, mi occuperò ora in queste parole finali del Ferretti poeta, iniziando dall'opera del 1955, ovvero, dal poema Deoso. Opera dai toni biblici, che racconta la storia del demone Deoso, generato e partorito dal Genere Umano e dalla Paura; e che desidera fortemente di uscire dalla sua condizione socio-esistenziale e ricominciare, una nuova vita. Esistenza che deve andare oltre alle infernali fiamme e alle cimiteriali melodie, ovvero, deve andare oltre il fiato che gli fu donato. Eppure il personaggio ferrettiano non ha solo qualcosa di demoniaco, ma anche e soprattutto qualcosa di celestiale, poiché questo infausto personaggio simboleggia anche Gesù Cristo e, come il figlio di Dio, anche il nostro demone dovrà percorrere la sua dolorosa e sanguinante Via Crucis, fatta di frustate, offese, e sputi per arrivare al Monte Golgota, per essere crocifisso insieme ai ladroni. A differenza però del figlio di Dio, che morì sulla Croce per poi rinascere nella luce al terzo giorno, il nostro demone muore e ricade eternamente nell'Inferno, destinato a vivere nel dolore e nel non poter mai più rinascere. Dopo queste parole, una domanda sorge spontanea, ovvero, chi è, e chi rappresenta, il demone Deoso? L'Uomo, il Ferretti medesimo, e sopratutto l'impavido-antieroe, che, pur capendo e comprendendo gli strazi ed i patimenti degli uomini, non è in grado di guarirli e illuminarli.

Il 1963 è l'anno della sua opera poetica di successo, che può essere considerata un'opera con vita propria e allo stesso tempo un'opera omnia; e l'opera in questione è la raccolta Allergia. Opera che per l'appunto contiene tutti i versi ferrettiani, scritti dal 1952 al 1962; e che si basa su tre grandi tematiche, le quali costituiscono le sue fondamenta. La prima è quella del Ferretti medesimo, che è volutamente distante ed emarginato dal Mondo, dai compagni di vita, e da se medesimo. La seconda tematica è rappresentata dalla concezione simbolica di Chiaravalle, vista dal Ferretti come una città aulica, una città dall'eterna imprudenza, e come una città-trampolino per immergersi nella vita vera, ovvero, quella degli adulti. La terza e ultima tematica alla base dell'opera ferrettiana è costituita dalla città di Jesi, che fa nascere nel nostro poeta e scrittore un forte ed intenso sentimento di odio e ribellione paterna, verso un padre-padrone che tanto l'obbligò a studi universitari legislativi, dal figlio intensamente odiati.

Opera omnia che illustra a crescita e la formazione del Ferretti, che avvenne per forza di cose attraverso il dolore, il quale secondo il nostro autore è concepito come una malattia, curabile solo ed unicamente attraverso l'esercizio psico-fisico, della scrittura. Scrittura, quella ferrettiana, intensamente attaccata alla vita, attraverso il fraterno legale di Massimo Ferretti con la dipartita. Scavando più dettagliatamente all'interno dell'opera, possiamo vedere che essa è divisa, in tre sezioni. La prima parte della prima sezione è costituita, dalla Falloforia del Principe. Le liriche di questa prima sezione illustrano la lotta contro la quotidiana piccineria dell'esistenza borghese, intesa quest'ultima dal Ferretti come un animalesco fascino e come un'antipatia verso la realtà. Sezione poetica, che vede rappresentato il Ferretti medesimo come distante dal Mondo, il quale vede le cose a lui vicine, senza però riuscire a toccarle e accarezzarle. Isolamento volutamente scelto dal nostro poeta e romanziere, che lo concepisce come una fuga dalle regole, di una sporca e corrotta società. Inoltre e per concludere su questa prima parte, possiamo affermare che questo isolamento scelto autonomamente, può essere anche letto come un'auto-analisi, sul suo essere un umano con le sue debolezze e le sue fragilità. La seconda e ultima parte della prima sezione è costituita da La croce copiativa. Protagonista principale di questa parte, è la Storia, che muta la vita di Massimo Ferretti, facendolo passare da uno stadio comune a uno stadio globale. Più precisamente, la Storia qui rappresentata è quella dell'Italia locale-nazionale divisa tra le guerre ideologiche e le albe del futuro boom economico, che esploderà definitivamente negli anni Sessanta.

La seconda sezione è costituita dall'Appendice. In questa sezione le liriche ferrettiane, rappresentano le sue avventure amorose con umili fanciulle, con donne impomatate, e con amori veloci consumati in luoghi latrinosi e sporchi. Pertanto nessun sentimentalismo ma, solo ed unicamente, erotismo e sesso carnale. Queste figure femminili sotto forma di ombre fanno scappare Massimo Ferretti da se medesimo e dal Mondo, per poi riportarlo a rituffarsi in se stesso e nel Mondo, attraverso la conoscenza e i legami altrui. Fuga che in questa sezione, non è più in chiave socio-esistenziale, ma bensì in chiave spirituale, che ha lo scopo di mutare il nostro autore da demonio a un “uomo della luce”, in grado di vivere e consumare emozioni, senza paure e brume intorno a lui. Fuga che però, per molti critici e anche per il sottoscritto, rappresenta una maschera che il Ferretti medesimo indossa volutamente, per nascondere in questo modo la sua scelta esistenziale, che doveva essere vissuta e consumata in totale isolamento ed emarginazione, dal Mondo e dall'Uomo.

La terza e ultima sezione è costituita da I versi urbani. Le liriche di questa sezione possono definirsi, come le poesie dell'addio, poiché costituiscono le ultime prove poetiche di Massimo Ferretti prima di passare alla scrittura traduttiva e prosastica. Un addio, quello ferrettiano, fatto di poesie prosastiche, farraginose, e scheggiate.

In questi tempi di piena globalizzazione ormai siamo abituati a tutto, ma la Morte è una cosa alla quale non ci abituiamo mai, non solo alla morte di parenti, amici, conoscenti, ma anche a quella dei Grandi Uomini che hanno reso l’Italia magnifica e immortale; come per l’appunto Massimo Ferretti. Quando muore uno scrittore, muore non solo un artista ma con Lui anche il suo pensiero, utile per il miglioramento sociale ed etico della vita di tutti i giorni, perché la Letteratura non è solo una mera materia scolastica, ma è (e deve essere) qualcosa di più, ovvero uno strumento per leggere i problemi sociali, etici, religiosi, e politici odierni, e uno strumento attraverso il quale cercare la soluzione a questi problemi, sempre nel rispetto della persona.

Dopo tutte queste parole, qual è stato l’insegnamento di Massimo Ferretti romanziere e poeta? Negli anni Duemila sembra scontato, ma non lo è, e il suo insegnamento è quello di tenerci stretta la vita e di non arrenderci mai, e di non abbassare mai la testa davanti ad ogni ostacolo che la vita ci mette davanti. Insegnamento che Massimo Ferretti visse in prima persona sulla sua pelle, Lui che fu un ragazzo traumatizzato e prematuramente rivelato a sé dal male a causa dei bombardamenti su Chiaravalle già a partire dal 1942. Un evento traumatico per Lui, fino alla sua morte.

 

Stefano Bardi


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