L'ultimo dei milanesi
Mauro Raimondi. Toccare la storia: Il rifugio antiaereo di via Bodio a Milano
02 Novembre 2016
 

Esistono due segreti per fare amare la Storia: coinvolgere chi ti ascolta con l’immaginazione e, quando è possibile, toccarla con mano.

Il Rifugio 87, situato sotto la Scuola “Giacomo Leopardi” di via Bodio 22 a Milano, permette entrambe le cose. E di conseguenza un sentito ringraziamento va alla Preside Laura Barbirato che qualche anno fa, supportata dai Docenti, ha deciso che il ricovero antiaereo della Seconda Guerra Mondiale dovesse essere pulito e risistemato proprio per farlo diventare un pezzo di Storia. E così nel 2010 la Scuola, insieme a Legambiente, l’Associazione Speleologica Cavità Artificiali, la Federazione Nazionale Cavità Artificiali, l’EcoMuseo Urbano metropolitano Milano nord, la Zona9 e i tecnici della Bovis Lend Lease hanno fatto il miracolo: ridare vita a quello che ormai era solo un brutto scantinato, trasformandolo in un Museo.

Sì, perché il Rifugio 87, nonostante il suo aspetto spoglio, è davvero un Museo, cioè un luogo dove incontrare la Storia, che qui è drammaticamente passata. Già all’esterno, sui muri della scuola inaugurata nel 1929, nell’ampio spiazzo dove – come ci racconta il testimone d’eccezione Ermanno Olmi nel suo Ragazzo della Bovisa – i Balilla e le Giovani Italiane si radunavano per l’alzabandiera e i consueti rituali del Regime, è infatti possibile osservare le scritte US indicanti l’uscita di sicurezza a chi, dall’esterno, avrebbe dovuto estrarre la popolazione nel caso le normali porte fossero state inagibili per le macerie. Un’eventualità che, per fortuna, qui non si verificò, visto che il ricovero non venne mai colpito, ma che altrove accadde.

La vera emozione, però, la si sente quando si entra. Scesi alcuni scalini, è quella che una volta era una delle due uscite che ci accoglie con qualche foto di bombardamenti, documenti d’epoca, spiegazioni, una piantina del rifugio. Ma più che altro è il luogo stesso che ispira commozione: le vedete quelle persone che escono con una piccola valigia contenente i loro oggetti più preziosi, felici di essere vive ma anche atterrite dall’idea che qualcosa potrebbe essere accaduto a uno dei loro cari? E la loro casa, sarà ancora in piedi?

Dopo l’ingresso si imbocca un corridoio ben illuminato che, oltre a mostrarci immagini di alunni della scuola e di altri rifugi milanesi (erano più di 15.000, per lo più improvvisati e assolutamente insufficienti per proteggere tutta la popolazione che si aggirava sul 1.200.000 abitanti), ci conduce a due ampie stanze: la cucina, perché comunque un ricovero doveva essere pronto anche a dare da mangiare, e il primo dei due bagni – con tanto di acqua potabile – che erano stati previsti. Purtroppo gli ambiti sono vuoti, ma paradossalmente proprio la loro crudezza contribuisce ancor di più a darci l’idea della desolazione che si è vissuta lì sotto. Poco oltre, infatti, iniziano le celle, cioè le stanze dove le persone stavano sedute su lunghe panche in attesa della fine del bombardamento. E qui non si può davvero non fermarsi a “vedere attraverso il tempo” il viso di quei milanesi che, in silenzio, ascoltavano i rumori che provenivano dall’esterno cercando di capire se il bombardamento – come un temporale – si allontanava o si avvicinava. Chi pregando, chi maledicendo, chi piangendo: di quanta paura, di quanto strazio sono impregnate quelle mura cui possiamo appoggiare le nostre dita?

In un paio di questi ambiti si trovano quei tronchi che servivano a puntellare il soffitto nel caso l’edificio sovrastante fosse stato centrato. Sono lì, piantati in mezzo alla stanza, e dopo averli visti a sorreggere la copertura a volta ancora formata dai suoi mattoni originali (come il pavimento), ci si allieta che la scuola sia stata risparmiata perché la loro efficacia pare davvero dubbia di fronte alla potenza delle bombe dirompenti sganciate a tonnellate dagli Alleati.

Osservati questi luoghi assolutamente emozionanti (uno di questo viene utilizzato anche per spettacoli teatrali), l’itinerario all’interno del Rifugio 87 continua regalando altre sorprese. Del resto, con i suoi 220 mq che potevano ospitare fino a 450 persone, era tra i più grandi di Milano. Poco oltre, ci aspetta un lungo corridoio non ripristinato che, con la sua oscurità, ben ci fa rivivere la cupa atmosfera che si respirava. Quindi, delle stanze vuote che ai tempi erano adibite ad aule perché, secondo le intenzioni di chi le aveva concepite, gli alunni della “Rosa Maltoni” (madre del duce) avrebbero dovuto vivere la scuola in modo normale anche se costretti a rinchiudersi lì sotto. Un pensiero che a noi adulti fa sorridere ironicamente, ma che, chissà, per dei bambini era forse possibile. Infine, il percorso si chiude con la visita di una stanza per le docce, allora necessaria poiché molti alunni non avevano la possibilità di lavarsi a casa con l’acqua calda e la pulizia, di conseguenza, risultava assai precaria. Come tutto, a quei tempi.

Inutile dire che, quando si esce all’aria aperta, pare di tornare a vivere. Perché, per davvero, nel Rifugio 87 il tempo sembra essersi fermato. Passa la filovia, guardi gli alberi, il cielo, le case, e ti sembra impossibile che tutto quello che hai appena visto sia veramente accaduto. Eppure, è così. Ed è per questo che proporre una visita al ricovero è un dovere da cui noi appassionati di Storia non possiamo esimerci.

Saludi

Mauro Raimondi


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