Il mortaio
Renato Ciaponi. L'uomo che accarezzava i formaggi 
Un ricordo di Primo Ciapponi che è anche l'affresco di un'epoca
Primo Ciapponi, 1980
Primo Ciapponi, 1980 
09 Settembre 2016
 

L’ultima volta che l’ho visto era seduto sulla panchina all’esterno del suo negozio, con le spalle appoggiate al muro portante della storica bottega, quasi a proteggerla, quasi a non volerla abbandonare, a sostenerla ancora con la sua esperienza.

Seduto in bellavista vicino al fratello Dario, chiacchierava e sorrideva ai tanti conoscenti che si fermavano a salutarlo. Mi sono fermato anch’io e mentre mi parlava, nei suoi occhi ho notato la felicità di poter comunicare ancora con qualcuno, ma anche la rassegnazione di una vita ormai alla conclusione, il meritato riposo, ma forse il desiderio di essere ancora dietro il banco a tagliare il formaggio migliore per i suoi clienti.

Ho sempre avuto un’ammirazione particolare per questo negozio. È qui che per la prima volta ho assaggiato un Bitto di dieci anni.

Erano i primi anni 90. Da poco mi interessavo di formaggi dopo aver frequentato il primo corso ONAF per assaggiatori di formaggio.

Dovevo scrivere un articolo per la rivista Valtellina Magazine ed entrambi i fratelli mi avevano accolto calorosamente cercando di spiegarmi in poco tempo tutti i segreti del Bitto.

Mentre mi raccontava i pregi di questo meraviglioso formaggio, Primo, ha preso con delicatezza una forma di Bitto invecchiata, l’ha appoggiata sul tavolo della cantina tenendola in verticale, l’ha accarezzata, poi l’ha appoggiata sul tavolo continuando ad accarezzarne la faccia superiore, invitandomi a sentire la consistenza e la levigatezza della superficie. “Non tutte le forme sono adatte per essere invecchiate” mi diceva continuando ad accarezzare il formaggio “bisogna saperle scegliere, bisogna sapere come le vacche sono state alimentate, in quale periodo il latte è stato prodotto, quanto latte di capra è stato usato”.

Lui sapeva scegliere, conosceva tutti gli alpeggi delle valli del Bitto, conosceva tutti i caricatori, sapeva in quale periodo le vacche pascolavano le erbe migliori di quel determinato alpeggio e così poteva scegliere le migliori forme da portare nelle cantine del negozio per iniziare quel rito di stagionatura che iniziava appena le forme arrivavano a Morbegno e che soli li, in quegli anni si potevano trovare.

Già, le famose cantine di “Ciapun”, che scendono di due piani per circa 10 metri, dove le migliori forme di Bitto delle valli vicine iniziano la loro stagionatura che può durare anche 10 anni.

Un continuo lavoro di raschiatura, di ribaltamento sia delle forme sia delle assi sulle quali sono poste, di cure particolari, di stagionature, di forme poste in verticale su appositi scaffali, dove ogni tanto vengono ruotate leggermente come per la lavorazione dello champagne.

Le cantine dove la temperatura è per tutto l'anno dagli 8 ai 13/14 gradi, con volte a muratura a secco, con pavimentazioni differenziate (piattoni o ghiaia) a seconda del prodotto da stagionare, perfettamente areate tramite finestre che danno direttamente all'esterno.

Le stesse cantine che durante la guerra venivano utilizzate come rifugio, durante le incursioni aeree, sia dagli abitanti della casa che dai clienti che si trovavano in negozio.

Così mi raccontava mostrandomi con orgoglio gli spazi dove le sue creature si trasformavano lentamente.

Ho un altro piacevole ricordo di Primo. Durante una mostra del Bitto di quegli anni Primo e Dario erano stati invitati per il taglio di una forma di Bitto di dieci anni.

Ricordo uno spazio sotto un tendone, colmo di gente, le telecamere di Raitre che riprendevano l’evento, l’emozione e la sicurezza di Dario e di Primo, le loro mani che accarezzavano la forma, che segnava per mezzo di un righello e di un coltellino una riga precisa, il silenzio quasi sacro del pubblico e poi il rito di un’arte che non tagliava ma scolpiva la forma fino ad avere due mezze forme perfette e il clamoroso applauso del pubblico.

Ricordo Primo sorridente. Guardava nella telecamera quasi incredulo dell’interesse che aveva suscitato.

Eravamo nei primi anni novanta, quando pochissimi negozi valtellinesi puntavano sulla valorizzazione dell’enogastronomia valtellinese, quando molti piccoli negozi di paese erano già stati chiusi o trasformati secondi i nuovi modelli commerciali dove il self service aveva annullato il rapporto cliente/negoziante.

Ma Primo e Dario non hanno cambiato, hanno continuato a ricevere i lori clienti nella bottega, togliendo dagli scaffali i vari prodotti, incartandoli nelle vecchie carte per alimenti, conversando con loro e tagliando con cura il formaggio richiesto raccontandone le caratteristiche. Con molta lungimiranza avevano creduto nella tradizione, e non hanno mai trasformato il loro negozio. Ma soprattutto hanno creduto nei prodotti di qualità del nostro territorio, cercando di valorizzarli nel modo migliore, trasformando la bottega in un luogo di rispetto per la cultura contadina e soprattutto per quella casearia.

E così, ancora oggi i figli Alberto e Paolo continuano a gestire la bottega nello stesso modo presentandola ai clienti come un luogo magico dove si respira il sapore degli alpeggi e della vita contadina, dove mobili e suppellettili rustici ed antichi sono utilizzati per esporre la merce.

Un intreccio tra il vecchio e il nuovo dove, nel tipico arredamento del bottegone di una volta, con i cassetti con i numeri di porcellana dipinti a mano, le vecchie originali antine a vetrina dei vari scaffali, trovano posto i migliori prodotti valtellinesi: il miele, la pappa reale e propoli, i funghi, le grappe (secche, aromatiche, giovani, vecchie, al lampone, alla fragola), i vini delle principali cantine valtellinesi, esposti nelle cantine sotto il negozio, gli amari, i biscotti, le bisciole, le farine gialle o di grano saraceno rigorosamente macinate a pietra,le marmellate, le caramelle dell'Alta Valtellina.

Tutto come una volta. Tutto come quando il negozio era gestito da Emilio e Paolo (padre di Primo e Dario).

Tre generazioni che si sono tramandate quell'amore per la terra ed i suoi prodotti genuini, tre generazioni che hanno trasformato nel tempo la vecchia bottega dell'orologio anche in un piccolo museo dove la cultura contadina trova spazio tra una forma di formaggio, una bottiglia di vino, una bottiglia di grappa.

 

Ciao Primo, grazie per aver dedicato la tua vita ai prodotti del territorio, ai formaggi delle valli del Bitto, grazie per aver fatto conoscere il nostro territorio a tante persone.

 

Renato Ciaponi

(dal Blog il gusto del gusto, 5 settembre 2016)


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